Buchi della fine del mondo: si tratta di crateri apparsi nella zona artica a partire dal 2013. Il primo “buco nero terrestre” è apparso nel 2013 nella penisola di Yamal, Siberia settentrionale, nei pressi di un giacimento di petrolio. Da quel momento più di 30 voragini si sono aperte nella zona artica. La loro misteriosa apparizione ha destato curiosità sia nella comunità scientifica che in quella locale. Spiegazioni più o meno plausibili hanno ricondotto la loro origine a leggende, minacce aliene o piogge meteoritiche.
L’incertezza del fenomeno è dovuta alle difficoltà di perlustrazione. I buchi sono profondi circa 70 metri e presentano al di sotto un lago ghiacciato che si estende internamente per altri 10 metri. La rapidità della loro formazione impedisce di studiare il fenomeno in atto. Ma non solo: dopo circa 2 anni i buchi si riempiono d’acqua trasformandosi in laghetti. Le ricerche hanno permesso di scoprire la realtà celata dietro il mistero, destando non poche preoccupazioni.
La vera origine dei crateri
Nel 2020 si è aperto un nuovo cratere denominato C17, di circa 25 metri di diametro. il ricercatore Igor Bogoyavlensky della Russian Academy of Sciences ha pilotato un drone calato all’interno del cratere per 10-15 metri, ricostruendo il modello 3D a partire dal filmato. Ciò ha permesso di confermare quella che prima era solo un’ipotesi. I buchi della fine del mondo sono provocati da bolle di gas che risalgono verso la superficie dopo il rilascio di grandi quantità di idrato di metano presente nel permafrost siberiano: lo strato perenne di terra ghiacciata.
I sinkhole o crateri, sono una conseguenza del riscaldamento globale e dello scioglimento dei ghiacciai. La formazione delle bolle è dovuta al repentino aumento delle temperature. Le bolle infatti, sono intrappolate nel ghiaccio. Una volta sciolto, queste risalgono e la pressione del gas induce un’esplosione che fa saltare il tumulo di ghiaccio sovrastante, detto pingo. La fuoriuscita del metano provoca un cratere aperto.
Buchi della fine del mondo: a rischio la vita del nostro pianeta
Le voragini sono causa e conseguenza di un circolo vizioso difficile da arrestare. Il riscaldamento globale è la causa del fenomeno, ma il rilascio di gas nell’atmosfera provocato dalle esplosioni genera altre emissioni che contribuiscono al riscaldamento globale. Le emissioni raggiungeranno il picco nel 2030 e anche se si riuscisse ad azzerarle prima di quella data non si potrebbero fermare fenomeni già in atto. L’artico continuerà a sciogliersi, così come il suo prezioso permafrost. L’assottigliamento progressivo del permafrost conferirà alla crosta terrestre una colorazione più scura, permettendole di assorbire più calore. A rischio non solo un ecosistema ma anche il futuro della terra. Potrebbe essere necessaria la cattura del carbonio su larga scala per fermare il riscaldamento globale.
Elena Marullo