Tra tutte le storie incredibili che hanno costellato la vita della nostra Repubblica, sicuramente un capitolo speciale deve essere dedicato una faccenda che accomuna il sequestro Moro, un allora semisconosciuto Romano Prodi e una fantomatica seduta spiritica.
È il 4 aprile 1978 e Romano Prodi è un professore di Economia industriale all’Università di Bologna. Milita nella Democrazia Cristiana e, proprio in ragione di questo suo attivismo, si sente in dovere di andare personalmente a Roma. Sì, perché deve riportare un fatto piuttosto singolare a uno dei funzionari più in alto del partito. Dice, insomma, il professor Prodi che durante una seduta spiritica ha scoperto dove i sequestratori tengono prigioniero Aldo Moro, rapito dalle Brigate Rosse due settimane prima.
La seduta spiritica di Prodi
Al funzionario, Romano Prodi racconta di una seduta spiritica che ha avuto luogo a Zappolino, un piccolo centro sui colli bolognesi, qualche giorno prima. Il 2 aprile, infatti, Alberto Clò, professore all’Università di Bologna, ha invitato alcuni colleghi e le loro famiglie nella sua villa di Zappolino. Data la pioggia, il gruppo ha deciso di trascorrere il tempo in casa facendo il gioco del piattino.
Il gioco del piattino
Si tratta di un misto tra uno svago e una pratica spiritica per porre delle domande a dei presunti fantasmi: questi risponderebbero guidando i presenti sulle lettere, manovrando appunto un piattino. Su un grande foglio si scrivono lettere e numeri, in modo tale che lo spirito interrogato possa orientare il piattino e comporre l’indizio. Questo, dice Prodi, è quello che i partecipanti hanno fatto: siccome in quei giorni l’argomento sovrano di ogni conversazione è il sequestro Moro, viene quasi naturale porre la domanda.
La domanda regina
Qualcuno chiede quindi: “Dove è tenuto prigioniero Aldo Moro?”. Mario Baldassarri, uno dei partecipanti alla seduta, riporta altri dettagli: dice che in un primo momento le lettere indicate dal piattino sono assolutamente casuali e senza senso. Solo dopo molto tempo iniziano a comporre parole non fraintendibili. I partecipanti assistono alla formazione di tre vocaboli: Gradoli, Viterbo, Bolsena. A rispondere, secondo i partecipanti alla seduta, sono gli spiriti di don Luigi Sturzo e di Giorgio La Pira, storico sindaco fiorentino. Il dubbio, ovviamente, è che qualcuno stia barando e manovrando il piattino, ma i partecipanti si dicono (e si diranno, anche davanti alle Commissioni parlamentari) sempre assolutamente certi che non ci sia nessun tipo di imbroglio. Certo, la seduta è confusa e sembra quasi più una caotica tombolata. In quasi tre ore al tavolo, i bambini corrono e schiamazzano, alcuni adulti partecipano in modo distratto, andando e venendo dal tavolo interessato, e dal piattino escono parole e numeri a caso.
“Gradoli”
I partecipanti, comunque, si insospettiscono nel momento in cui si forma la parola “Gradoli”: è un vocabolo che nessuno di loro dice di conoscere. Non sanno nemmeno se corrisponda a un luogo, contrariamente a Viterbo e Bolsena, tanto noti quanto generici. Si recupera uno stradario ed eccolo lì: Gradoli è un piccolo centro sulla statale 74, che porta a Viterbo. Tra sbigottimento, suggestione e scetticismo, il pomeriggio si conclude. I partecipanti tornano a casa. Il professor Prodi, però, sembra essere rimasto turbato da quella risposta così precisa. Così va a Roma e riferisce tutto al portavoce di Zaccagnini, allora segretario della DC.
Una segnalazione tra tante?
L’appunto che al ministero dell’Interno viene preso contiene informazioni dettagliate: “Lungo la statale 74, nel piccolo tratto in provincia di Viterbo, in località Gradoli, casa isolata con cantina”. Romano Prodi lo conferma. Lo scrive Luigi Zanda, allora collaboratore del ministro Francesco Cossiga e oggi esponente del PD. Per quanto oggi sembri incredibile, bisogna però leggere la vicenda anche alla luce del contesto: Zanda stesso, negli anni, ammetterà più volte la grande confusione data dal numero esagerato di soffiate generiche, strampalate ma non sempre sottovalutabili.
Il sopralluogo
Il giorno dopo, quindi, è il 5 aprile 1978: il vicequestore di Viterbo parte alla volta di Gradoli. Il sopralluogo dà esito negativo. Nonostante le ricostruzioni fantasiose successive, si tratta di un’operazione limitata a pochi agenti. Basti pensare che a Roma, nei giorni del sequestro Moro, vengono svolte 121 perquisizioni domiciliari al giorno. In tutta Italia vengono scandagliati 37068 appartamenti e uffici. Quella di Prodi sembra una segnalazione come un’altra. Viene presa sul serio probabilmente per l’affidabilità dei soggetti partecipanti alla seduta, ma dopo la ricerca senza risultato cade nel vuoto.
Il colpo di scena
Riacquista una certa ma tardiva rilevanza quando, due settimane dopo, a Roma, le autorità scovano l’appartamento di Mario Moretti, mente della strage di via Fani e carceriere di Aldo Moro: l’abitazione, incredibilmente, si trova in via Gradoli, sul tragitto che porta a Viterbo. Le forze dell’ordine, però, non riescono a catturare Moretti per un soffio.
Il ritrovamento di Aldo Moro
Il presidente della Democrazia Cristiana viene ritrovato morto a Roma il 9 maggio di quell’anno, nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, a poca distanza dalla sede del PCI e da quella della DC. L’uccisione di Aldo Moro complica la posizione dei partecipanti alla seduta di Zappolino: i dodici vengono più volte interrogati a proposito di quella incredibile coincidenza sulla toponomastica del sequestro. Il nome “Gradoli” era giusto, ma si doveva intendere come via e non come comune. Tutti confermano la versione di Romano Prodi e la confermano anche nei quarant’anni successivi, ogni qualvolta si torna a parlare di Aldo Moro. Lo dicono ai giornali, alle commissioni d’inchiesta e a tutti coloro che vogliono sapere di più: hanno sentito per la prima volta la parola “Gradoli” in una seduta spiritica a Zappolino. Fine. Per quanto possa sembrare incredibile.
Anni di complottismi e dietrologie
Le ricostruzioni dei 55 giorni di sequestro iniziano a puntellarsi anche a piste occulte, trame internazionali e coincidenze strambe, con dettagli che spesso vengono smontati dopo mesi o dopo anni dalle forze dell’ordine o da esperti come Vladimiro Satta. A reggere, in un angolo, è invece ancora il mistero della seduta spiritica di Prodi a Zappolino, che non ha mai visto crepe alla sua irrazionale solidità. La domanda è semplice, ma non ha mai trovato risposta. Come ha potuto la compagnia di Zappolino venire a conoscenza delle indicazioni tanto precise (quanto fuorvianti) di Gradoli e Viterbo?
Un tentativo di insabbiamento?
Quello che tutti pensano sia avvenuto, in realtà, è un tentativo piuttosto fantasioso di proteggere una fonte: il gruppo si è inventato una via un filino tortuosa per fare avere alle autorità le informazioni senza fare uscire allo scoperto qualcuno. Alcuni pensano che la fonte da proteggere abbia avuto a che fare con i servizi segreti o con un ramo secessionista delle BR, o, ancora, con il KGB. Altri hanno immaginato che tra gli studenti dei professori coinvolti ci potesse essere qualcuno vicino alle BR e a conoscenza del covo di via Gradoli: questo fantomatico allievo avrebbe fatto arrivare l’informazione al professore. Altri ancora hanno puntato il faro su Franco Piperno, allora professore all’Università della Calabria e collega di Andreatta, mentore di Prodi. Si tratta però di un copione che, anche solo per la sua stramberia, avrebbe richiamato molta più attenzione di una lettera o una telefonata anonima: perché inventarsi la pantomima della seduta spiritica e non spedire tutto a Roma in busta anonima?
Un indizio tanto preciso quanto fuorviante
Il problema, però, è la precisione quanto l’estrema interpretabilità dell’indizio fornito, sia esso arrivato da un piattino o da un gruppo di accademici che riflettono sul da farsi. L’eventuale informatore sapeva di “Gradoli”, ma non di “via Gradoli” a Roma, due luoghi posti a 50 chilometri l’uno dall’altro. Possibile? Negli anni, in molti hanno spiegato questo clamoroso errore con il fenomeno del telefono senza fili: l’informazione sarebbe passata da così tanti messaggeri da arrivare a modificarsi, fatalmente.
I dubbi
Sul malinteso, poi, negli anni si è pronunciata anche la famiglia di Moro, che sostiene di aver suggerito alle autorità anche il controllo di via Gradoli a Roma, dopo la perquisizione del comune nel viterbese, ma che nessuno abbia dato seguito alla richiesta. Le forze dell’ordine però hanno sempre smentito questa circostanza. Alcuni sono arrivati a sostenere che ci fosse qualcuno che sapesse di via Gradoli, ma che facesse in modo di non andare a scoprire quel che c’era.
Le dietrologie
La storia di Romano Prodi, il fatto che sette mesi dopo venisse nominato ministro dell’Industria e l’assunzione di ruoli di rilievo nazionale per altri dei partecipanti alla seduta spiritica bolognese, negli anni, hanno portato il castello delle dietrologie e dei complotti ad assumere contorni inquietanti.
Il contesto
Come ha giustamente puntualizzato Davide Maria De Luca, sul suo approfonditissimo articolo in merito su Il Post, bisogna anche considerare cosa fosse l’Italia negli anni Settanta. Se oggi sembra assurdo che un gruppo di accademici decida di passare un pigro dopopranzo giocando col piattino, forse alla fine degli anni Settanta lo era un po’ meno. Sempre De Luca, per far comprendere meglio la cornice culturale della vicenda, spiega che, una volta, a Mike Bongiorno, conduttore del Rischiatutto, gli autori diedero solo le domande e non le risposte del quiz. Si temeva che il concorrente in gara, professore di parapsicologia, fosse in grado di leggere le risposte dalla mente di Bongiorno. Lo stesso caso Moro fu terreno fertile per tutta una letteratura del paranormale. Medium e veggenti, ad esempio, dichiaravano un giorno sì e l’altro pure di essere a conoscenza di dettagli sul sequestro. E gli inquirenti spesso davano loro ascolto.
Una metafora del Paese
Per quanto grottesco, inquietante e strambo sia questo episodio, però, bisogna tenere conto che è una delle poche questioni tanto bizzarre quanto impenetrabili che ancora permangono attorno al dramma del sequestro Moro. Nella sua eccentricità, la storia della seduta spiritica di Prodi è la piccola metafora di un Paese in cui persino il peggiore dei crimini assume dei contorni stravaganti. Un Paese sempre al limite tra ciò che è razionale e ciò che è assurdamente incredibile, in un’atmosfera sorrentiniana.
Elisa Ghidini