Il 12 febbraio 1941, il poliziotto Albert Alexander ricevette la prima dose di penicillina. Purtroppo, quei soli 160 milligrammi non gli salvarono la vita, ma cambiarono per sempre la storia della medicina.
“Un farmaco miracoloso”
Per decenni la penicillina è stata così definita poiché ha salvato centinaia di vita umane, altrimenti condannate a morte da infezioni batteriche di varia natura. Dalle polmoniti alla febbre reumatica, ha curato molte malattie, di cui prima si moriva per mancanza di trattamenti efficaci. Infatti, all’epoca si poteva solo aspettare il decorso dell’infezione, sperando nell’efficienza del sistema immunitario del paziente. Oggi il mondo degli antibiotici è cambiato, abbiamo un mercato ampio e specifico (es. cefalexina, gentamicina, tetraciclina, eritromicina e ciprofloxacina), sul quale la penicillina non primeggia più per efficacia, almeno contro alcuni patogeni.
L’era degli antibiotici
Iniziata negli anni Quaranta del secolo scorso, ha stravolto completamente il mondo della medicina terapeutica, aprendo nuove strade di ricerca e dando ai malati maggiori speranze di guarigione. Scoperta nel Regno Unito, la penicillina è stata poi prodotta negli Stati Uniti, che hanno avuto un ruolo fondamentale nel renderla disponibile per i grandi numeri. Fu il primo antibiotico della storia, mentre oggi ne esistono moltissimi e si utilizzano per curare le infezioni batteriche, quando i medicinali tradizionali non sono sufficienti. Talvolta la somministrazione si fa a scopo precauzionale, profilassi antibiotica, per limitare il rischio di infezione dopo interventi chirurgici oppure in caso di ferite potenzialmente pericolose (es. morsi di animali selvatici). Inoltre, gli antibiotici sono un vero salva vita per gli immuni depressi, poiché la loro vulnerabilità alle infezioni è molto alta.
Alexander Fleming
Professore di batteriologia al St Mary’s Hospital di Londra, scoprì la penicillina in modo
del tutto casuale. Era il 3 settembre del 1928 quando Fleming, di ritorno dalle vacanze, notò una crescita anomala di muffe (Penicillium notatum) nel suo laboratorio. La presenza dei funghi non stupì il batteriologo, vista la sua lunga assenza, ma, invece, la mancanza di batteri in prossimità delle muffe lo sorprese molto. Infatti, sembrava che la secrezione di una qualche sostanza avesse inibito la crescita batterica. Provò quindi a estrarre il composto, detto “succo di muffa”, per testarlo anche contro altre specie batteriche. Avendo osservato lo stesso grado di efficienza, per mesi Fleming, insieme con gli assistenti Stuart Craddock e Frederick Ridley, cercò di isolare dal succo l’agente attivo, ovvero la penicillina, ma non ci riuscì.
1928-1939
“Quando mi sono svegliato subito dopo l’alba del 28 settembre 1928, di certo non avevo intenzione di rivoluzionare tutta la medicina scoprendo il primo antibiotico al mondo”, affermò Fleming qualche tempo dopo la scoperta. Pubblicò le sue scoperte un anno dopo, nel giugno del 1929, sul British Journal of Experimental Pathology, ma furono pressoché ignorate dalla comunità scientifica del tempo, complici probabilmente anche gli insuccessi di Fleming nel tentare di purificare la penicillina. Purtroppo, il laboratorio di Londra non aveva le risorse per trasformare la sua scoperta in un farmaco efficiente e quindi utilizzabile. Per più di un decennio, diversi ricercatori cercarono di isolare la penicillina, ma nessuno ci riuscì prima del medico Howard Florey. Egli, insieme a Ernst Boris Chain, riuscì sia a purificarla sia a testarne l’efficacia sugli animali presso l’università di Oxford. Era il 29 agosto del 1939 e la Seconda Guerra Mondiale alle porte: la medicina si preparava a salvare vite, la guerra ad annientarle.
Il dimenticato contributo italiano
In un secondo momento, si scoprì che la penicillina è legata anche al nome del medico italiano Vincenzo Tiberio (1869-1915). Infatti, circa trent’anni prima di Fleming, giunse alle medesime conclusioni ed era ancora uno studente. Egli notò una correlazione tra la ripulitura del pozzo di famiglia (Arzano) dalle muffe e la comparsa nei parenti di infezioni intestinali, che terminavano solo dopo la rinascita dei microrganismi. Curioso di questo fatto, Tiberio iniziò a studiare in laboratorio le muffe, dalle quali estrasse poi un siero, che iniettò in alcune cavie malate: la guarigione fu quasi immediata. Tuttavia, anche le sue scoperte furono del tutto ignorate dalla facoltà universitaria, così come la pubblicazione nel 1895 negli Annali di Igiene sperimentale. Insomma, con il titolo “Sugli estratti di alcune muffe” la ricerca di Tiberio rimase abbandonata per circa 60 anni sugli scaffali impolverati dell’Istituto di igiene sperimentale di Roma.
12 febbraio 1941
Una mattina di febbraio il poliziotto inglese Albert Alexander, impegnato a tagliare delle rose nel suo giardino, si punse con una spina. In pochi giorni, la ferita si infettò provocandogli così tanti ascessi sul corpo, da costringerlo al ricovero presso l’ospedale Radcliffe di Oxford. Nonostante la somministrazione di sulfamidici, le condizioni del poliziotto non miglioravano, pertanto si decise di provare con la penicillina. Per la prima volta un antibiotico veniva iniettato su un paziente che, in meno di 24 ore, andò incontro a un netto miglioramento. Tuttavia, la misera dose di 160 mg, ottenuta anche dalla filtrazione delle urine del paziente dopo ogni iniezione, non fu sufficiente a salvargli la vita. Ad ogni modo, a tredici anni dalla sua scoperta, il potenziale della penicillina era indubbio e, infatti, spinse Florey a partire per gli Stati Uniti con il collaboratore Norman Hartley.
Il sogno americano
Devastata dalla guerra, la Gran Bretagna non poteva permettersi di produrre la penicillina in massa. Tuttavia, le infezioni dilagavano inarrestabili tra la popolazione, sicché i due scienziati si recarono in America, sperando di promuovere la commercializzazione del prodotto. Nel giugno del 1941, Florey e Hartley giunsero a Peoria (Illinois) dal micologo Charles Thom. Insieme, isolarono il ceppo Penicillum chrysogenum, che era in grado di produrre sei volte più penicillina di quello di Fleming. Tuttavia, per avviare una produzione industriale dell’antibiotico, bisognava trovare un mezzo efficiente per coltivare le muffe; alla fine, la scelta ricadde sul liquore di mais, un prodotto di scarto, tramite cui la quantità di penicillina aumentò esponenzialmente. Alle soglie dell’ingresso in guerra, gli Stati Uniti rilevarono tutta la produzione e, se nel 1941 le scorte non bastavano a salvare un solo paziente, nel settembre del 1943 lo stock disponibile poteva curare le forze armate alleate.
La produzione industriale di penicillina
Florey visitò diverse aziende farmaceutiche per interessarle alla produzione della
penicillina, ma solo quattro dimostrarono un reale interesse: Merck, Squibb, Lilly e Pfizer. L’8 ottobre 1941, il presidente della commissione dell’OSRD, convocò una riunione a Washington con l’obiettivo di pianificare la produzione di penicillina. Vi parteciparono tutti, direttori della ricerca e presidenti delle case farmaceutiche, ma l’incontro decisivo avvenne poi in dicembre, pochi giorni prima dell’attacco di Pearl Harbour. Si stabilì che ogni centro di ricerca poteva continuare liberamente la sperimentazione, ma, qualora ci fossero state scoperte importanti, il Comitato avrebbe potuto renderle disponibili a tutti: la salute pubblica doveva venire prima degli interessi economici.
Dall’uso militare all’uso civile
In breve tempo, la domanda di penicillina aumentò esponenzialmente, ma all’inizio le disponibilità erano limitate e si diede priorità all’esercito. Nel 1943, Chester Keefer, responsabile della distribuzione dell’antibiotico ai civili, poiché inondato di richieste da parte del popolo, si trovò costretto a razionalizzare le dosi. Fortunatamente, dall’inizio del 1944 la produzione aumentò notevolmente, passando da 21 a 1.663 miliardi di unità. Finalmente, il 15 marzo 1945 il governo americano poté rimuovere tutte le restrizioni, perché la penicillina era ormai disponibile in ogni farmacia americana. Invece, in Europa la prima dose venduta al pubblico risale al giugno 1946 (Gran Bretagna).
“Non c’è tributo troppo alto da pagare per l’impresa e l’energia con cui le aziende manifatturiere americane hanno affrontato la produzione su larga scala del farmaco”
Florey era ben consapevole che quanto avvenuto in quegli anni fosse stato rivoluzionario e avrebbe cambiato per sempre la storia della medicina. Forse, per la prima volta la ricerca di un farmaco aveva coinvolto il lavoro di centinaia di persone con formazione diversa, ma un unico obiettivo comune: salvare vite. Nonostante l’iniziale scetticismo della comunità scientifica, “per la scoperta della penicillina e dei suoi effetti curativi in molte malattie infettive” Fleming, Chain e Florey vinsero poi il Nobel per la Medicina nel 1945.
L’allevamento intensivo, che consente agli allevatori di rendere animali malaticci altamente redditizi grazie all’uso di antibiotici, ha prodotto creature nuove, talvolta mostruose.
Capacità d’osservazione, perseveranza e cooperazione sono solo alcune delle qualità che accompagnano la scoperta della penicillina e la conseguente nascita della medicina moderna. Per secoli centinaia di persone sono morte a causa di infezioni, di cui oggi quasi non conosciamo l’esistenza o non consideriamo pericolose. È stata a lungo il farmaco della salvezza, mentre oggi è uno dei tanti, e nemmeno tra i più efficaci. Difatti, gli antibiotici nel tempo perdono efficienza, poiché i batteri sviluppano la cosiddetta Antimicrobial resistance (AMR), ovvero antibiotico-resistenza. Purtroppo il fenomeno nell’ultimo decennio sta preoccupando la sanità pubblica, poiché l’abuso velocizza la pressione selettiva sui batteri, favorendo la sopravvivenza di ceppi resistenti alle cure. Questa problematica ha diverse cause alla radice, dall’aumento della somministrazione in medicina umana all’uso in zootecnica e agricoltura, ma contribuiscono anche altri fattori, quali il flusso migratorio e i viaggi internazionali.
Che cos’è l’antibiotico-resistenza?
C’è bisogno di un cambio culturale
In Europa si verificano circa 4 milioni di infezioni l’anno e oltre 37 mila decessi, numeri che costano 1,5 miliardi di euro di risorse sanitarie, ma non solo. L’Italia è classificata fra i paesi dove il fenomeno è al di sopra della media europea e causa circa 4.500-7.000 decessi l’anno. Subito dopo la guerra, l’antibiotico-resistenza era solo una potenziale minaccia per la salute dell’uomo, oggi è invece una realtà che va affrontata subito. C’è bisogno di un cambiamento culturale da parte della popolazione, ma anche della classe medica, che deve educare a un corretto uso degli antibiotici, soprattutto per la salute della persona stessa. Purtroppo, alla diminuzione dell’efficacia non corrisponde mai la scoperta contemporanea di nuovi antibiotici, pertanto la cura delle infezioni diventerà sempre più difficile.
Da “farmaco miracoloso” a “farmaco pericoloso” e di questo non possiamo dare colpa ai batteri
Come spesso accade nei paesi industrializzati, la disponibilità di un bene si traduce in un suo abuso e quindi in un danno, talvolta anche irreversibile. Contraddizioni. Incoerenze che costano vite, tempo e risorse alla ricerca. Oggi la medicina ha ancora troppe battaglie da vincere per distrarsi su problematiche per cui basterebbe solo un po’ più di consapevolezza e buon senso.
Carolina Salomoni