Non è azzardato paragonare i Female Husbands ai transgender, perché nel XVIII secolo era sufficiente stare insieme a una donna per non essere femminile
Orientamento sessuale e identità di genere non erano due concetti ben distinti nell’Inghilterra del XVIII secolo, così come nelle altre parti del mondo. In ogni caso, tutto ciò che fuoriusciva dai confini dell’identificazione binaria – uomo o donna – dell’essere umano, veniva taciuto e nascosto, quindi non compreso. Per questo motivo, donne che stavano assieme ad altre donne, o che avevano comportamenti mascolini, venivano definite Female Husbands, come se stare con una persona dello stesso sesso comportasse una negazione del proprio genere femminile e, quindi, un’identità transgender ante litteram.
Due studiose in particolare ci aiutano a fare chiarezza sull’argomento: Stephanie Coontz, che insegna storia e studi sulla famiglia all’Evergreen State College, e Sarah Nicolazzo, che insegna storia della letteratura all’Università della California.
Le cosiddete amicizie romantiche erano prima considerate ingenue, poi guardate con sospetto
Non era insolito che una coppia di donne avente una relazione sessuale riuscisse a stare insieme, senza destare sospetto che ci fosse qualcosa di più che affetto.
“Solo dopo la rivoluzione sessuale del primo ventesimo secolo, quando la sessualità ha iniziato a essere vista come parte centrale dell’identità di qualcuno, che le stesse relazioni sessuali e segni d’affetto hanno iniziato a essere guardati con sospetto”, afferma Stephanie Coontz.
In particolare, il matrimonio bostoniano sarà la formalizzazione del modo in cui due donne possono vivere insieme. Il matrimonio bostoniano è un fenomeno che ha preso piede nel New England tra il 19° e il 20° secolo, e lega due donne nella convivenza senza il supporto finanziario di un uomo – cosa rivoluzionaria per l’epoca. Si tratta di donne che non si sposano perché legate affettivamente ad altre donne, indipendenti grazie a un’eredità ricevuta o al loro lavoro, oppure di femministe.
La storia di Deborah Sampson, che ha combattuto nella Rivoluzione americana come Robert
Sarah Nicolazzo ci dice che non solo i racconti che hanno come protagoniste donne che agiscono in contesti da uomini fossero molto apprezzati dai lettori dall’epoca, ma che rappresentano la documentazione storica per ricostruire la realtà dei Female Husbands. Tenendo presente che questi racconti erano scritti per incontrare le aspettative dei lettori, è esemplare quello di Deborah Sampson, che si faceva chiamare Robert Shurtliff e ha combattuto nella Rivoluzione americana.
Sampson, arruolata nel quarto reggimento del Massachussets, è l’unica donna ad aver mai ricevuto una pensione militare. Inoltre la donna non ha ricoperto una posizione marginale durante il suo servizio, non era solo un numero, ma si è distinta per aver condotto un’incursione in una casa Tory, aver scavato trincee durante l’assedio di Yorktown e aver sopportato il fuoco dei cannoni. La sua vera identità è stata scoperta solo un anno e mezzo dopo, quando è stata portata in ospedale per essersi ammalata durante un’epidemia.
Leggendo la storia di Deborah Sampson, non può che venirci in mente il fatto che si tratti di un’eccezione, una straordinaria eccezione, in cui le capacità di una donna non sarebbero potute emergere, se non sotto le vesti di un uomo, e ce lo confermano le parole del Comitato:
“La storia della Rivoluzione non ha fornito altri esempi simili di eroismo femminile, fedeltà e coraggio”.
In un articolo ci siamo chiesti Perché non ci sono state grandi artiste, allo stesso modo in cui ora potremmo chiederci Perché non ci sono state grandi donne combattenti.
Oggi, per fortuna, si sta superando la concezione binaria di genere in favore della libera espressione dell’individuo
Le mogli dei cosiddetti Female Husbands si comportavano diversamente nei confronti dei loro mariti, generando grande ambiguità: alcune guardavano ai compagni come donne, ma usavano un vocabolario eterosessuale per ottenere rispetto dalla società; altre li consideravano uomini, quindi precedevano i loro tempi nel credere che l’anatomia non c’entrasse con la definizione di uomo; altre ancora consideravano i loro sposi come appartenenti a una categoria di genere non ancora identificata.
Oggi abbiamo ancora questo problema di definzione, ma la sua importanza è diventata più formale che sostanziale, dal momento che si va verso la superazione del concetto binario di genere e la libera espressione dell’individuo, che è solo sé stesso, e non uomo o donna.
Francesca Santoro