Il 10 febbraio 1990 accadeva qualcosa che dovrebbe avere una giornata dedicata: la scarcerazione di Nelson Mandela. Il premio Nobel per la Pace che in Sud Africa ha dato ben 26 anni della sua vita per contrastare l’Apartheid
La scarcerazione di Nelson Mandela merita di essere annualmente ricordata nel giusto modo. Quel giorno infatti non è soltanto cessata la sua detenzione, ma anche l’inizio della libertà e del diritto di parola in Sud Africa.
Le cause dell’incarcerazione
Nelson Mandela manifestò fin dalla giovane età un comportamento ribelle, di quelli che pensano veramente di poter cambiare il mondo. All’età di ventitre anni scappò a Johannesburg poiché avevano previsto per lui un matrimonio combinato. Lì cominciò a studiare legge, prima di essere allontanato per le sue idee anti-Apartheid.
Già in quel periodo gli ideali libertari erano fortemente presenti nel giovane Mandela, che entra a far parte dell’African National Congress (ANC), il partito politico, attualmente ancora al potere, di cui diventerà poi presidente nel 1994 e con il quale sarà protagonista della campagna di resistenza scatenatasi a seguito della vittoria del Partito Nazionale nelle elezioni del 1948.
Il massacro di Shaperville e la militanza violenta
Il 21 marzo 1960 si svolse una manifestazione a Shaperville, nel Gauteng. L’evento fu organizzato a seguito dell’Urban Areas Act, una legge che permetteva ai cittadini di colore di transitare nelle aree riservate ai bianchi solo se dotati di un particolare tesserino. Fu un vero e proprio atto di disobbedienza civile, che portò i cittadini di colore a riunirsi davanti alla stazione di Shaperville sprovvisti di lasciapassare per essere arrestati.
La polizia intervenne chiedendo di allontanarsi dalla zona, ricorrendo anche a diversi metodi di intimidazione. La folla naturalmente non si disperse e, secondo le dichiarazioni della polizia, iniziò a lanciare pietre. Le forze dell’ordine aprirono il fuoco sui manifestanti causando 70 morti e 180 feriti.
A seguito di questi avvenimenti, Mandela inizierà ad appoggiare una lotta armata ed uscirà ufficialmente dall’African National Congress. Nel 1962 verrà poi arrestato per aver organizzato alcune manifestazioni non autorizzate e il giudice deciderà per 5 anni di reclusione.
Nel corso della sua prigionia però avverrà un evento inaspettato. Infatti, nel 1963 verranno arrestati alcuni funzionari dell’ANC, con le accuse di alto tradimento e sabotaggio. Viene imputato nel processo anche Nelson Mandela e questa sarà la condanna definitiva, che attribuirà a Mandela l’ergastolo.
Nelson Mandela in prigione, la nascita di un’icona
Nel corso degli anni in prigione la figura di Nelson Mandela acquistò sempre più importanza nella lotta all’apartheid, fino a diventare un vero e proprio simbolo dei diritti civili. Durante la prigionia infatti Mandela spedì molte lettere, e in alcune di queste tratterà anche i temi che lo avevano portato in carcere, senza mai rinnegarli.
Tuttavia, nel corso della prigionia la sua visione della lotta all’apartheid sembrò cambiare. Se ad inizio prigionia incitava i compagni a continuare la lotta armata, già nel 1970, in una lettera indirizzata alla moglie, Mandela parla di come si possa ricercare il giusto pur essendo gentili, evitando prepotenza.
Un ruolo molto importante, a quanto pare, lo ha avuto un secondino che Madiba incontrò in carcere, James Gregory. Quest’ultimo era un censore, ossia l’addetto alla censura di tutte le lettere in entrata e in uscita dal carcere. Il rapporto tra i due si strinse a tal punto, che Gregory fu presente il giorno della scarcerazione.
Durante gli anni della prigionia il futuro presidente sudafricano si laureò per corrispondenza all’University of London. Nel mentre suo figlio morì in un incidente, ma non gli venne accordato il permesso di presenziare al funerale.
La vita dopo la prigione
Il 10 febbraio 1990 Frederik de Klerk liberò ufficialmente Nelson Mandela, annullando la pena. De Klerk in quel periodo era il Presidente del Sud Africa, ed aveva avviato una politica atta ad espandere a tutti i diritti che avevano i bianchi. Questa politica gli varrà poi, nel 1993, la vittoria del premio Nobel per la pace insieme proprio a Nelson Mandela.
Appena uscito di prigione Mandela pronunciò un discorso che rimase nella storia e viene ricordato ancora oggi come iconico.
Quando nel 1994 il mandato di de Klerk finì furono svolte le prime elezioni a suffragio universale della storia del Sud Africa. Mandela, presentato dall’ANC, vinse nettamente le elezioni, diventando il primo presidente nero della storia della nazione. Il suo predecessore rivestì invece il ruolo di vice-presidente, ed è ancora oggi l’ultimo presidente bianco.
La politica di Mandela fu provvidenziale per il Sud Africa in quel particolare momento storico. Prendendo in mano uno Stato in cui la transizione verso l’uguaglianza era già stata avviata Mandela non predicò mai odio o rancore, ma cercò di riconciliare le parti e far ripartire un paese unito verso il futuro.
Nel 1999 finì il mandato e Mandela si ritirò dalla vita politica, continuando però a combattere diverse battaglie, tra cui quella contro l’AIDS, una piaga che ha largamente afflitto il Sud Africa negli anni ’90, ma che ancora oggi si fatica ad estirpare.
Quella di Nelson Mandela non è una storia pirotecnica. Non ci sono effetti speciali, colpi di scena, c’è solo un uomo che ha passato 26 anni della sua vita in carcere, cercando di cambiare il mondo. C’è soltanto la sofferenza di un uomo che ha pagato sulla propria pelle il prezzo della libertà, sperando e credendo in un futuro migliore.
La storia di Nelson Mandela non ci insegna a fare gesti dimostrativi o grandi azioni, ci spiega soltanto il valore dell’impegno e del sacrificio, perché “fino a quando povertà, ingiustizia e palesi disuguaglianze esisteranno nel mondo, nessuno di noi potrà davvero riposare”.
Marzioni Thomas