E’ un’intervista, ma è anche una riflessione sull’odio, sul ruolo della legge e sul nostro essere gregari, all’interno di una società che ancora odia e che ha solo cambiato bersaglio, nel corso del tempo. E’ il nuovo libro “La sola colpa di essere nati”, scritto a quattro mani da Liliana Segre e Gherardo Colombo.
C’è un gioco crudele che a volte fanno i bambini. Un gruppo si mette d’accordo, sussurrandosi all’orecchio: “Facciamo finta che Mario non esista“. Mario parla, ride e scherza ma nessuno lo considera. Si fa, semplicemente, come se Mario non esistesse. A un certo punto, Mario, inevitabilmente, scoppia a piangere. Se non avete mai sentito i lacrimoni di rabbia che salirvi agli occhi perché qualcuno ha giocato a “Mario non esiste” con voi o, meglio, su di voi, siete stati dei bambini fortunati. E’ un gioco crudele ma istruttivo allo stesso tempo. In che senso istruttivo? E’ il “gioco” che Liliana Segre dice di aver provato sulla sua pelle quando, a 8 anni, sono state promulgate le leggi razziali in Italia. Ne parla insieme a Gherardo Colombo, ex magistrato e suo concittadino, nel loro libro La sola colpa di essere nati, uscito qualche giorno fa ed edito da Garzanti.
La discriminazione come odio di Stato
Nella testa di una bambina di 8 anni, rifiutata improvvisamente dalle istituzioni della Milano borghese di cui si sente pienamente parte, la regola del bambino invisibile è la sola metafora con cui Liliana Segre riesce a spiegare il giorno in cui papà Alberto le dice che è stata espulsa dalla scuola elementare di via Ruffini. Un attimo prima sei parte di un gruppo, sei integrato, ti piace stare con gli altri. Un momento dopo il gruppo si mette d’accordo per escluderti e tu non esisti più. E’ un gioco stupido? Innegabilmente. Ma è anche un gioco comodo: permette, attraverso una regola tanto crudele quanto semplice, di fare gruppo contro qualcuno.
E’ nata prima la legge o la discriminazione?
La domanda di Colombo, a questo punto, è una: è la regola che inventa il pregiudizio dal nulla o è la voglia di sopraffazione che viene semplicemente formalizzata per avvantaggiare chi se ne nutre, a spese della vittima? Il gioco del bambino invisibile, insomma, è la formulazione normativa di una voglia di discriminare ed emarginare che già strisciava nelle dinamiche del gruppo? Necessariamente. Dire che la discriminazione verso gli ebrei è stata inventata con le leggi razziali ed è finita con la loro abrogazione è una semplificazione mendace. Se il razzismo viene inquadrato nelle maglie strette di articoli, commi e timbri, quindi, è meno razzista e disumano? O è solo uno scudo di carta con cui nascondere la nostra paura del diverso e incanalare la nostra voglia di odiare, facendo finta che gli altri siano invisibili?
E’ la stessa logica dei recenti decreti sicurezza. Non sembra poi molto diverso dai respingimenti di polizia che stanno lasciando 3000 persone all’addiaccio in Bosnia, in questi giorni. Tutti giustificati, bollati, timbrati sugli ordini delle autorità locali.
Integrazione come rinuncia alla propria identità?
La sola colpa di essere nati è un libro in cui Colombo e Segre parlano anche ai retropensieri che spesso animano le nostre conversazioni sul diverso, anche oggi nel 2021. Quando parliamo di integrazione come rinuncia alle proprie radici, ad esempio. Quando diciamo che un migrante merita la cittadinanza italiana perché ha compiuto qualcosa di eroico, come se l’essere destinatario del rispetto fosse un premio da guadagnarsi o comunque comporti la rinuncia a qualcosa che è parte di noi. Non è bastato nel caso di Alberto Segre. Ha rinunciato alle sue radici, facendosi battezzare per salvare la figlia Liliana che, in questo modo, non sarebbe risultata figlia di un ebreo. Completamente inutile.
L’inganno del merito
E non basta compiere nemmeno qualcosa di eroico agli occhi del regime di turno: non basta che Alberto Segre e il fratello abbiano combattuto nella Grande Guerra. Il regime li cancella dalla lista degli ufficiali in congedo. Non basta nemmeno che lo zio di Liliana sia dichiaratamente fascista. Incredibilmente, non è sufficiente nemmeno essere benestanti, avere un’azienda, dei gioielli o una preziosa collezione di francobolli: arriva il regime e ti confisca tutto. Non serve neanche aver studiato, perché il regime prende i tuoi titoli e ne fa carta da macero. Ma a un certo punto non è solo lo Stato a perseguitarti: arrivano anche i soldati semplici, le persone comuni dell’esercito dell’odio, che ti schivano o ti insultano per strada.
Sfuggire all’odio come missione di vita
Il libro ripercorre poi tutta la vita di Liliana Segre: la deportazione, la sua vita nel campo di Auschwitz, il suo lavoro nella fabbrica di mitragliatrici. Le continue umiliazioni subite, il terrore costante e la deumanizzazione con cui ha dovuto fare i conti, da adulta, orfana alla ricerca di un’identità. E poi ancora: la missione di testimone attiva della Shoah, portata avanti in modo attivo e determinante anche nel ruolo di senatrice a vita, dal 2018. Ed è incredibile constatare come, a distanza di ottant’anni in cui cose terribili e bellissime sono accadute nella sua vita, l’odio sia una compagno infingardo ma costante di Liliana Segre, per cui è stato necessario disporre una scorta, dopo gli insulti che ancora oggi riceve in ragione delle sue decisioni politiche. Esattamente come accadeva nell’autunno del 1938, quando qualcuno si prendeva la briga di telefonare a casa Segre e la piccola Liliana si sentiva urlare “Muori” dalla cornetta.
La voglia di odiare
Passano gli anni, cambiano i governi, le tecnologie e anche i bersagli della nostra frustrazione. L’insegnamento che La sola colpa di essere nati vuole lasciare, quindi, attraverso le parole di Gherardo Colombo e Liliana Segre, è quello di non lasciarci sopraffare dalla voglia di odiare. Neanche quando questa viene legittimata da un pezzo di carta.
Elisa Ghidini
Mi e’ piaciuto molto l’articolo, comprero’ sicuramente il libro. Purtroppo l’argomento necessiterebbe di altre platee e di altre teste per essere approfondito e reso edibile per tutte le persone che vogliono capire e migliorarsi.
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