A partire dal 1 Gennaio in Spagna il congedo di paternità e quello di maternità sono equivalenti. La norma che ha portato a questo risultato risale a Marzo 2019 ed era stata voluta dal governo socialista di Pedro Sanchez con l’intenzione di introdurre un provvedimento che sancisse il principio di corresponsabilità dei genitori nell’accudimento del figlio neonato.
Il provvedimento è entrato in vigore gradualmente.
In un primo momento le settimane di congedo di paternità erano state portate da otto a dodici, per poi arrivare alla piena parificazione dei diritti/doveri di padre e madre all’inizio di quest’anno.
Per capire l’eccezionalità della norma voluta dal governo spagnolo bisogna entrare nel suo dettaglio.
Il padre e la madre di un bambino hanno diritto ad un periodo di sei settimane di congedo retribuito al 100% da prendere simultaneamente nei giorni immediatamente successivi alla nascita o all’adozione.
Le successive dieci settimane sono volontarie ma sempre non trasferibili. Questo significa che la coppia di genitori può decidere di avvalersi del diritto al congedo in periodi diversi, alternandosi nella cura del figlio, o nello stesso momento.
É importante sottolineare l’aspetto della non trasferibilità del diritto al congedo parentale.
Nei paesi nordici, come Islanda, Norvegia e Svezia, i genitori hanno diritto a congedi parentali più lunghi rispetto a quelli concessi dalla legislazione spagnola, ma una loro porzione risulta trasferibile. Questo perché la titolarità dei permessi è attribuita alla coppia nel suo complesso. Il risultato è che spesso i padri si avvalgono solo del periodo di congedo obbligatorio, mentre le madri utilizzano sia il congedo di cui sono specificatamente titolari, sia la parte di permesso trasferibile.
La differenza tra la legislazione spagnola e le legislazioni dei paesi nordici, sta tutta nel principio ispiratore esplicitamente dichiarato nel commento che la Vicepresidente spagnola, Carmen Calvo, aveva rilasciato in occasione dell’approvazione della legge, nel marzo 2019:
La maternità non può essere un’arma contro lo sviluppo lavorativo e civico delle donne, ma deve essere una scelta libera, per cui dobbiamo sentirci tutti corresponsabili.
Uno degli aspetti più penalizzanti per le donne che cercano di entrare nel mondo del lavoro o di ottenere ruoli chiave in tale contesto, infatti, è proprio la prospettiva della maternità.
L’appartenenza al genere femminile è un fattore che influenza le possibilità di assunzione, il desiderio di maternità una discriminante che chi conduce i colloqui di lavoro si sente in diritto di indagare ed eventualmente usare contro chi ha di fronte.
Comparare il congedo di paternità a quello di maternità aiuta a superare il pregiudizio secondo cui assumere una donna, per quanto capace e preparata, comporterebbe costi più alti rispetto all’alternativa maschile.
In altre parole contribuisce a creare le condizioni per superare il gap occupazionale tra uomini e donne.
Se c’è qualcuno che conosce bene il pregiudizio di genere che regola il mondo del lavoro sono le donne italiane che, non a caso, risultano insieme ai giovani tra le più colpite dalle conseguenze economiche della pandemia.
L’idea dominante nel nostro paese è ancora che la cura dell’ambito domestico sia affare femminile. L’apparato legislativo, da parte sua, non fornisce segnali di cambiamento in tal senso.
I giorni di congedo di paternità in Italia sono stati portati dall’ultima legge di bilancio a dieci, il minimo necessario per riuscire ad adeguarsi allo standard imposto dall’Unione Europea.
Silvia Andreozzi