Vi siete mai chiesti come funzioni la guerra oggi? Come la si fa? Chi la combatte? Ciascuno di noi, se fortunatamente non direttamente interessato, può avere un’idea più o meno romanzata, a seconda dei film americani che ha visto sul tema. Un’idea, anche, più o meno patriottica. La realtà, però, sradica via tutti i preconcetti che la storia, la letteratura e la cinematografia hanno seminato in noi, spettatori esterni, quando non addirittura a posteriori, dei conflitti.
La storia è un’alternanza di periodi di guerre e periodi di pace. Anche il modo di combattere la guerra, però, ci può dire molto del periodo in cui viviamo, come ad esempio molto ci possono dire i contractors della società di oggi.
Chi sono i contactors?
Andiamo con ordine: già nel 1500 Machiavelli si scaglia contro l’utilizzo dei mercenari nelle guerre. I timori del filosofo e diplomatico italiano si concretizzano quasi un secolo più tardi, durante la Guerra dei Trent’anni, uno dei conflitti più lunghi e distruttivi della storia. Con la pace di Vestfalia del 1648 però, si apre un nuovo corso: gli Stati che nascono mettono da parte i mercenari e si ergono a monopolisti nell’uso della forza.
Mercenari e contractors
Oggi, però, i mercenari sono tornati sui campi di battaglia di tutto il mondo, anche se in modo diverso da come lo potevano essere nel Cinquecento. Innanzitutto, un chiarimento: oggi non si parla più di mercenari, ma di “contractors”. Si tratta a tutti gli effetti di società private che operano nel settore della sicurezza. Armano e dotano i loro dipendenti di equipaggiamenti sofisticati e vengono chiamati in questo modo proprio perché stipulano contratti. Con chi? Con i governi degli Stati che vogliono portare avanti operazioni militari all’estero, o con compiti di “supporto” all’esercito regolare.
La guerra come serie infinita di competenze
La guerra di oggi non è un’operazione semplice. Dal reclutamento all’addestramento, dai servizi logistici di trasporto delle truppe sulla scena effettiva del conflitto alle operazioni di sorveglianza: la guerra è anche questo. Gli esperti vedono nelle guerre in Afghanistan e in Iraq il modello esemplificativo per spiegare il funzionamento dei conflitti del XXI secolo. Se nella guerra del Vietnam i contractors arrivavano a rappresentare il 20% della forza impiegata dagli americani, in Afghanistan e in Iraq i mercenari moderni sono stati pari ai soldati regolari.
Un celebre studio del Watson Institute for International and Public Affairs ha evidenziato questo cambiamento attraverso il dato sul numero dei morti: nelle ultime guerre gli Stati Uniti hanno perso 7071 contractors e 6860 soldati regolari. Un interessante servizio di Vice, qualche anno fa, riprendeva questi dati, sostenendo che all’inizio delle operazioni in Iraq ci fosse un contractor ogni 10, per poi arrivare a raggiungere la maggioranza di mercenari nel 2007.
Contractors: perché no?
E che male c’è a utilizzare i contractors? Ecco: questa è una domanda che non ha una risposta univoca. Si potrebbe dire che non tutte le società (e i contratti) sono uguali oppure rispondere con una generalizzazione, facendo riferimento al famigerato caso Blackwater, che pure non rappresenta tutte le società, ma che ha fatto storia, mettendo sul piatto questioni etiche non indifferenti.
Il caso Blackwater
Blackwater è infatti una società militare privata che ha oggi sede a Reston, in Virginia. A fondarla è nel 1997 un ex Navy Seal (per intenderci un militare addestrato per la partecipazione a operazioni ad alto rischio), che si chiama Erik Prince. Il signor Prince, poi, nel corso degli anni, decide di cambiare nome spesso alla sua società, fino all’approdo al nome odierno di Academi. I suoi dipendenti sono quasi tutti ex-militari, con un background nella protezione del personale diplomatico in zone di guerra. Ne vengono formati circa 35 mila all’anno, nelle speciali strutture di addestramento e nei mastodontici poligoni di cui la società dispone.
Poco dopo la sua nascita, Blackwater si conquista presto una certa nomea grazie alla partecipazione alla guerra in Iraq e Afghanistan nel 2004. Le operazioni a cui i suoi contractors prendono parte si distinguono subito per la particolare efferatezza, con metodi che metterebbero a rischio i civili.
L’attentato di Piazza Nisour
“E’ la guerra, che ti aspetti?”: potrebbe dire qualcuno. Anche i più scalmanati sostenitori della retorica militare e dell’esportazione di democrazia, però, il 16 settembre del 2007 non possono continuare a raccontarsela, come se niente fosse. Quel giorno, infatti, a Baghdad muoiono 17 iracheni, di cui almeno 14 civili e due bambini, in un’opeazione condotta dai contractors di Blackwater. La strage viene ricordata come l’attentato di Piazza Nisour: quattro contractors aprirono il fuoco sulla folla, con l’utilizzo di granate stordenti, mitragliatrici pesanti e fucili di precisione.
I quattro responsabili
Attenzione però a quei quattro soldati: se inizialmente sembra che per il governo Bush non sia prioritario perseguirli per i crimini di guerra, il vicepresidente del governo successivo, Joe Biden, si attiva in direzione opposta. Nel 2015 arriva la condanna dei quattro: tre di questi vengono condannati a 30 anni di prigionia, mentre per il quarto, che ha aperto il fuoco sui civili, la sentenza prevede l’ergastolo.
Poteva non c’entrare Donald Trump?
A questo punto arriva Donald Trump, che nel dicembre 2020 ha concesso loro la grazia perché i quattro sarebbero stati dei “patrioti”. Il presidente di Blackwater Eric Prince è, tra le altre cose, un accanito sostenitore di Trump ed è pure il fratello di Betsy DeVos, segretaria all’Istruzione del governo Usa. Piccolo il mondo, vero? Ma questa è un’altra storia.
Lo scudo politico dei contactors
A causa degli scandali che l’hanno coinvolta, Blackwater cambia nome e diventa XE Services. L’episodio di piazza Nisour però non può essere cancellato con il semplice cambio di nome. I riflettori del mondo si accendono su una tematica etica non indifferente: anche la guerra, infatti, ha le sue regole. Il sospetto è che l’uso dei contractors porti sul campo di battaglia una dose incomprimibile di efferatezza e ferocia, tipica del loro addestramento, del modus operandi e dell’equipaggiamento particolarmente pesante di queste milizie. Il conteggio degli uomini ufficialmente impiegati su un campo di guerra da parte degli Stati, poi, non tiene conto dei contractors, così come non tiene conto delle eventuali morti tra le loro fila. Il costo politico della guerra si riduce notevolmente, così come l’impatto sulla popolazione. Gli Stati Uniti, in questo, devono essere rimasti scottati dall’ondata di malcontento durante la guerra del Vietnam.
Non solo gli Usa
Ma la domanda è anche un’altra: solo gli Usa ne fanno uso? No. Anche la Russia non è da meno e impiega delle società private nelle sue operazioni militari. Una di queste è il Gruppo Wagner, a cui è stata affidata parte della missione in Ucraina. Si tratta di una compagine di 3600 uomini, in gran parte russi e serbi. Qui appare chiaro il secondo grande vantaggio nell’utilizzo di forze irregolari. La Russia ha potuto agire quasi indisturbata, confondendo lo scacchiere internazionale su quel che stava avvenendo nella forma di un’aggressione da uno Stato a un altro, semplicemente perché a muoversi erano le milizie private.
La Cina e l’approccio soft
La Belt and Road Initiative (BRI) ha portato poi la Cina a siglare contratti con una grande quantità di mercenari, per sorvegliare la realizzazione dei progetti infrastrutturali del BRl stesso. Lo ha fatto però con un’accortezza: i contractors in questo caso non possono essere armati e non possono aprire il fuoco. Questo secondo quello che dichiara il governo di Pechino, con affermazioni che spesso, per quanto riguarda la trasparenza, necessitano del beneficio del dubbio.
L’esempio della Liberia
Molti autori si sono occupati del fenomeno dei contractors. Sean McFate, da ex contractor, ha scritto un libro (The Modern Mercenary), in cui fa un ulteriore distinguo. Dice infatti che i contractors sono diversi dai mercenari veri e propri. I primi sarebbero enti privati a libro paga di uno Stato legittimo. Pagati per fare cosa? Per addestramento e reclutamento di forze militari. E’ quello che ha fatto nel 2003 il governo americano in Liberia, attraverso la compagnia DynCorp, dotando lo stato appena uscito dalla guerra civile di un esercito più stabile. Un altro caso è quello della Somalia: qui, dagli anni Novanta, la presenza di varie compagnie private sul territorio, in assenza di un governo centrale forte, ha esasperato l’escalation di violenza e caos nel Paese.
I tanti altri casi meno virtuosi
Se si guarda alle conseguenze geopolitiche nell’utilizzo delle milizie private, come ha sostenuto P.W. Singer nel suo libro Corporate Warriors, non si può escludere che queste esercitino un grande potere sulla vita politica ed economica di un Paese. Se l’esempio della Liberia viene citato come modello virtuoso, tanti altri sono i casi in cui si dimostra che il demandare l’utilizzo della forza a una società privata possa avere conseguenze distopiche e controproducenti.
Una milizia privata a tutti gli effetti
Chiunque, quindi, a patto che abbia i fondi necessari per assoldare una società privata, potrebbe impostare il suo colpo di Stato, con la scusa di contrapporsi a un governo legittimo ma instabile. E’ quello che è successo in Sierra Leone dopo il 1995: l’intervento dei contractors ha portato stabilità nel Paese, ma poi questi sono rimasti, ottenendo concessioni per l’estrazione dei diamanti per aziende collegate alla loro società.
Le conseguenze a lungo termine
Se quindi i vantaggi sono soprattutto relativi al minor costo politico della guerra e alla possibilità di “scaricare” la responsabilità sulle singole società da parte degli Stati, gli svantaggi nell’uso dei contractors emergono in tutta la loro capacità distruttiva nel lungo termine. Se l’uso dei contractors rende la guerra meno impegnativa a livello politico, ciò può rendere più facile la strada del conflitto per la risoluzione delle controversie internazionali. Ricorrere ai mercenari, piuttosto che alla coscrizione dei volontari che genera sempre ansietà nelle famiglie del Paese, è la strategia. Il deterrente dell’opinione pubblica, in questo caso, perde di valore.
Il rischio dell’impunità
Un altro problema riguarda la potenziale impunità dei crimini di guerra. Spesso le società private hanno sede in altri Paesi, con cittadini di nazioni diverse. Questo mette alla prova seriamente la questione della giurisdizione: spesso non è chiaro quale legge applicare e le responsabilità si rimbalzano, lasciando cadere nell’oblio il reato. Non è una situazione tanto distante da quella attuale. Immaginiamo che il crimine viene compiuto in Ucraina, da un soggetto serbo che lavora per una società che ha sede in Argentina, quale diritto si applica? E non è così impossibile: è quello che accade esattamente con il gruppo Wagner. “E’ la guerra, che ti aspetti?”
Elisa Ghidini