Quel che è accaduto oltreoceano negli ultimi giorni ha comprensibilmente canalizzato globalmente l’attenzione mediatica, proponendo svariati spunti di riflessione. Non deve dunque stupire se le vicende statunitensi si riflettono inesorabilmente anche sulla politica nostrana, soprattutto a seguito del solito valzer di dichiarazioni, prese di posizione, accuse e smentite che un avvenimento di tale portata assicura. Gli ultimi eccessi del trumpismo diventano terreno di (ri)posizionamento politico e arma di attacchi incrociati in Italia. L’assalto al Congresso è in Italia un tema di scontro politico dai forti connotati ideologici, un segno della parabola discendente del trumpismo e del conseguente subbuglio che caratterizza ogni fase spartiacque.
Il tempismo dei Dem: tutto troppo facile
Il tempismo, nella comunicazione politica, è un ingrediente fondamentale. Hanno dimostrato di saperlo bene gli esponenti del Partito Democratico italiano, omonimi dell’attuale opposizione statunitense e storicamente schierati in modo compatto e senza vacillazioni dalla loro parte. Le reazioni del PD, e di buona parte della galassia alla sua sinistra, arrivano puntuali insieme alle prime immagini dal Campidoglio. Molti esponenti del centrosinistra condannano con fermezza ed immediatezza quanto accade a Washington, mettendo in seria difficoltà addetti stampa, portavoce e social media manager di Lega e Fdi. Le repliche da destra infatti tardano ad arrivare e risultano poco convincenti, divenendo presto oggetto di facili attacchi da parte del centrosinistra.
Attaccare l’attacco: le giravolte di Giorgia Meloni
Il trumpismo italico compreso entro l’arco parlamentare va in confusione, tentenna, reagisce farraginosamente per poi, in alcuni casi, aggiustare il tiro in seconda battuta. Giorgia Meloni affida inizialmente il suo pensiero ad un tweet, che parrebbe dipingere Trump come un “pacificatore” per via del suo intervento ex post facto atto a richiamare le sue truppe. Non fa una piega, se non fosse per il fatto che gli assaltatori erano stati precedentemente aizzati dallo stesso Trump e descritti come “patrioti” e “persone speciali”. Tale posizione nebulosa è terreno fertile per le critiche del centrosinistra, che spingono Meloni a replicare tramite una lettera al Corriere della Sera. La leader di Fdi si dichiara convintamente schierata dalla parte del tycoon dicendo però al contempo, molto genericamente, di non avere mai avuto timidezza nel condannare la violenza.
La tecnica comunicativa da lei utilizzata è quella che gli spin doctor chiamano “attaccare l’attacco”. Più che una netta cesura dalle istigazioni all’assalto al Congresso da parte di Trump, la risposta della leader di Fdi sembra essere un tentativo di delegittimazione della “sinistra”, da cui, dice, non accetta lezioni. Meloni sposta ripetutamente l’attenzione, prima paragonando le vicende del Campidoglio alle rivolte del movimento Black lives matters, e poi accusando la sinistra di non rispettare sempre la volontà popolare, a differenza sua.
La posizione di Salvini sull’assalto al Congresso
Ancor più pallida è la posizione espressa sui social da Matteo Salvini. «La violenza non è mai la soluzione, mai. Viva la Libertà e la Democrazia, sempre e dovunque» è il suo giudizio sulla sommossa di Washington. Seguono slogan buoni per tutte le stagioni “per me l’Italia e gli italiani vengono prima di tutto”. Incalzato dagli avversari politici anche lui cerca di correggere il tiro: “Sostenevo le idee dei repubblicani, dei conservatori e di Trump ma un conto è il voto, un conto è entrare armati in Parlamento”. La domanda è: si può davvero discernere in questo caso il mandante dai fatti?
Chiaramente, rinnegare improvvisamente la fede nel trumpismo sarebbe stata una giravolta troppo pericolosa persino per il leader del carroccio. Come dimenticare la mascherina pro-Trump sfoggiata con orgoglio da Salvini nei mesi scorsi? Ma soprattutto come giustificare il suo appoggio alle teorie cospirazioniste sulle ultime elezioni americane? (“Se in alcune contee ci sono più votanti che elettori vuol dire che qualcosa è successo”; “Trump sui brogli ha ragione, vigileremo su possibili fregature anche da noi”, sono state alcune delle sue ultime affermazioni al riguardo). Non a caso si è guadagnato la qualifica di cheerleader europeo di Trump da parte dell’Indipendent. E poi, i modi di Trump sono davvero così dissimili da quelli di colui che solo un anno e mezzo fa millantava la richiesta di “pieni poteri”?
Scricchiolii nel centrodestra
Oltre ai botta e risposta tra destra e sinistra, le vicende di Washington hanno causato anche qualche scricchiolio all’interno della compagine del centrodestra. La frattura sembrerebbe aprirsi tra trumpiani e anti-trumpiani vecchi e nuovi. Tra le fila di Fratelli d’Italia, Guido Crosetto viene additato come traditore dall’ultradestra e applaudito dalla sinistra. La sua colpa (o il suo merito) è stata quella di sottolineare “l’impressionante differenza” tra la timida iniziale reazione delle forze dell’ordine all’attacco di Capitol Hill e “lo schieramento in occasione della manifestazione del Black lives matter”. L’esponente di Fdi ha aggiunto poi con schiettezza che “Trump ha danneggiato la destra italiana”. E ancora: “sembra che abbiano fatto il casino a Washington solo per utilizzarlo per le nostre polemiche interne”.
Un clima simile si respira in casa Lega, dove spiccano le parole di Luca Zaia, in palese contrapposizione con quelle del segretario: “L’accaduto è scandaloso, è un attacco alla democrazia se non accetti il responso elettorale”. Ma fanno ancor più clamore le dichiarazioni di Guglielmo Picchi, salviniano e trumpiano convinto: “Oggi è oltre. Da me nessuna difesa”.
Sovranisti di ferro contro liberal-atlantisti
Questa fase di assestamento che precede il (possibile) tramonto della stagione del trumpismo fa affiorare con più forza la dicotomia tra sovranisti di ferro e liberali atlantisti. Ciò si riflette con tutta evidenza entro la coalizione di centrodestra già non più così compatta come in passato. Giovanni Toti, la cui parabola politica lo aveva portato a spostarsi da Forza Italia verso posizioni più sovraniste, adesso fa dietrofront: “Avrei votato per Trump. Oggi mi tocca dire: sbagliando.”
L’assalto al Congresso diviene invece per Forza Italia un altro punto sulla base del quale smarcarsi dagli alleati di coalizione. Il partito fondato da Berlusconi ha di frequente mostrato insofferenza nei confronti degli eccessi nei toni sovranisti degli alleati. Non è la prima volta che gli azzurri prendono le distanze da Trump. Ma quel che colpisce è che alcune delle critiche più decise al tycoon provengano proprio da Berlusconi e Tajani, quasi a rimarcare la differenza di vedute con Lega e Fdi, acuendo le già evidenti frizioni degli ultimi mesi.
Nuova linfa per la crisi di governo
I 5 Stelle sono stati invece più ondivaghi nel loro giudizio su Trump. Inizialmente attratti dalla verve anti-establishment, ora non più sostenitori così decisi di Trump, ma nemmeno i suoi più spietati detrattori. Altra prova della proprietà camaleontica dei grillini: tendono ad assumere gradazioni di colore dell’alleato di governo di turno.
Discorso simile per il premier degli ultimi due governi, che si esprimeva così ai tempi dell’alleanza con la Lega: “il mio governo e l’amministrazione Trump sono entrambi governi del cambiamento”. Non è un mistero che durante la fase di transizione tra governo gialloverde e giallorosso, “Giuseppi” godesse ancora dell’endorsement di Trump. L’ambiguità di Conte su Trump diviene allora terreno fertile per l’invettiva dei renziani.
Italia Viva non si lascia sfuggire l’occasione per alimentare i contrasti entro la compagine di governo, soffiando su quell’aria di crisi che si respira già da qualche settimana. Renzi trova nell’assalto al Congresso americano un appiglio concreto da impugnare come tema di scontro politico. Gli accadimenti di Washington e la reazione non troppo decisa di Conte danno nuova linfa ad una crisi giocata sinora quasi esclusivamente sull’odio personale tra il leader di Italia Viva ed il premier.
L’assalto al Congresso è il punto più basso raggiunto dal trumpismo, un simbolo del suo inesorabile declino. Un ultimo atto che per la sua portata ed imprevedibilità ha assestato non pochi colpi sugli equilibri della politica italiana.
Marco Giufrè