Gli elementi che risaltano agli occhi guardando il progetto del nuovo carcere di Nola, in provincia di Napoli, sono questi: disponibilità di celle singole, eliminazione delle sbarre e delle mura perimetrali. Campi sportivi e piscine, teatro e diverse aule e laboratori per le attività ricreative. Tanto verde e un sistema di sorveglianza molto sofisticato.
Nuovo carcere di Nola: la funzione rieducativa della pena nel nostro ordinamento
L’art. 27 della Costituzione Italiana nel suo significato di responsabilità penale e funzione rieducativa della pena, sancisce al 3 comma che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Due principi fondamentali, quindi: il principio di umanità della pena secondo cui viene posto al legislatore il divieto di porre in essere pene le cui modalità violino il rispetto della persona; ed il principio della finalità rieducativa della pena, secondo cui le pene non devono solo punire il reo ma mirare soprattutto alla sua rieducazione, essendo requisito fondamentale per il suo reinserimento nella società.
Come sappiamo, si è proclamato spesso a parole che il carcere è un luogo di rieducazione, di ricostruzione delle condizioni di un ritorno alla normale convivenza sociale. Si è fatto anche qualche passo in questa direzione: pochi passi, ed esitanti, e seguiti spesso da precipitose ritirate.
L’Italia viola i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di tre metri quadrati. La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha quindi condannato, diverse volte, il nostro Paese per trattamento inumano e degradante.
Donne e uomini, quando hanno la possibilità di parlare con le associazioni umanitarie, raccontano continuamente casi di schiavitù sessuale. Secondo l’organizzazione EveryOne ogni anno nel nostro paese si registrano circa 3000 casi di stupri dietro le sbarre.
Oggi, forse, da Nola, in provincia di Napoli, le cose cambieranno. Qui, il progetto della Tecnicaer, una delle aziende che ha presentato una ipotesi progettuale per la realizzazione del nuovo carcere, è tornato di attualità.
Nuovo carcere di Nola: il progetto
Sono almeno tre anni che si parla di quell’area, in località Boscofangone. Secondo le linee d’indirizzo, il modello di riferimento del progetto è quello del carcere norvegese di Halden ad Oslo.
Nel progetto di Nola – si legge nella nota dello studio di progettazione che ha concepito la proposta – “forte è la consapevolezza che il percorso di rieducazione e reinserimento nella società civile del detenuto, passi anche attraverso l’umanizzazione dell’ambiente e la flessibilità degli spazi.”
Niente più sbarre alle finestre e niente mura perimetrali. Disponibilità di celle singole; campi sportivi e piscina; teatro, aule e laboratori per le attività ricreative e per apprendere un mestiere. Infine, molto verde e un sistema di videosorveglianza sofisticatissimo. La struttura ospiterà fino a circa 1200 detenuti.
Si tratta di un’opera impattante per le considerevoli dimensioni. Per questo motivo, una particolare attenzione è stata prestata alla qualità, anche estetica, del complesso nonché alla compatibilità e sostenibilità ambientale. Sono stati selezionati sistemi costruttivi prefabbricati, in grado di ridurre i tempi di realizzazione innalzando la qualità degli elementi edili, e materiali da costruzione con un’alta percentuale di riciclabilità.
Inoltre, il nuovo istituto penitenziario è stato progettato con prestazioni energetiche in classe A4, con sostanziale annullamento del fabbisogno energetico.
Seguendo il modello Halden, in Norvegia
Rieducare persone che hanno sbagliato. O almeno cercare. Insegnare il rispetto di sé e degli altri. È questo lo scopo delle carceri nei Paesi nordici. A cominciare dalla Norvegia, come ad Halden.
Su 30 ettari di una piccola città elegante tra i fiordi del sud della Norvegia, alcuni architetti danesi hanno messo insieme il loro talento professionale. Hanno costruito qualcosa che, se non fosse per il muro che lo circonda, non sarebbe affatto una prigione. Potrebbe essere un ospedale, una scuola o qualunque altro edificio pubblico, fatto di legno, vetro, acciaio e pietra. Le finestre non hanno sbarre, non ci sono torrette di sorveglianza, fili spinati o recinzioni elettriche. Non ci sono neanche telecamere; né nei corridoi, né nelle camere, nelle aule o nei laboratori. Gli agenti non hanno armi.
Come ha detto un ex direttore del carcere, “non potrebbero essere più liberi di così. Soltanto se si dessero loro le chiavi delle celle.”
Il concetto applicato qui è: la vita in carcere non deve essere diversa da quella fuori dal carcere. L’unica differenza è la mancanza di libertà di movimento. La pena non deve privare il detenuto di ciò di cui ha bisogno. I detenuti vengono preparati alla loro liberazione fin dal loro primo giorno in carcere: essi svolgono attività di vario genere volte alla riacquisizione di un equilibrio prima di tutto umano e predisposto al reinserimento nella società.
Qui i detenuti lavorano, o studiano
Qui, i detenuti non possono semplicemente rilassarsi nelle camere di fronte alla TV, anche se hanno tutto ciò di cui hanno bisogno nella loro cella di 12 metri quadrati. Devono scegliere tra il lavoro e la scuola. Possono fare molti corsi, da quelli di creatività a quelli di chimica, fisica e filosofia; scegliere di specializzarsi in uno dei sette corsi di formazione professionale offerti, con il rilascio del titolo di studio alla fine, tra cui carpenteria, meccanica e lavorazione dei metalli. Imparare a suonare uno strumento in uno dei tre studi di registrazione del carcere.
Il successo di questo concetto è strettamente legato a come funziona il sistema giustizia. Occorre coinvolgere l’intera comunità. La Risoluzione (la Carta Bianca) approvata nel 2008, secondo cui il sistema della giustizia deve essere incentrato sull’idea di normalità e sulla riabilitazione dei detenuti, è stato sostenuto e firmato da cinque ministri: giustizia, istruzione, cultura, salute e per le autonomie locali.
Eppure, come sottolinea il direttore ogni volta, Halden è sempre un carcere.
Nuovo carcere di Nola: esistono le condizioni, nel nostro Paese?
Giunti fin qui, una domanda è d’obbligo: esistono nel nostro paese tutte le condizioni per la realizzazione del nuovo carcere di Nola? Le condizioni, cioè, per dare corso ad una nuova stagione progettuale in grado di fornire edifici carcerari rispondenti alle esigenze della gestione penitenziaria più avanzata ed alle istanze costituzionali in materia di esecuzione penale; ma anche rispettosi dei bisogni materiali e psicologici dell’utenza (persone detenute, operatori penitenziari, visitatori ecc.) attraverso soluzioni architettoniche di avanguardia.
Come scrive C. Burdese, al momento la risposta, purtroppo, è no.
Le condizioni avverse sono rappresentate dalla mancanza di veri strumenti culturali – derivanti dalla teoria e dalla sperimentazione sul campo – in grado di affrontare coerentemente il tema della progettazione carceraria; cui si affianca l’insensibilità politica e della cultura architettonica al tema e lo scoglio burocratico.
Lo stato di sovraffollamento cronico delle nostre carceri, tutt’ora presente e ulteriormente aggravato dalle drammatiche circostanze del Coronavirus, la cui soluzione sarebbe riconducibile alla realizzazione pressoché immediata di almeno 10.000 posti letto (singoli), richiederebbe ben altre risposte e tempistiche, ma anche apporti culturali.
Nuovo carcere di Nola: una soluzione a lungo termine?
E se Nola rappresentasse una soluzione sul lungo termine? Si possono ridurre le incarcerazioni attraverso pene alternative e una diversa concezione del carcere?
Se in Italia si cercano continuamente nuovi spazi per costruire strutture detentive, in molti paesi scandinavi le prigioni chiudono. Prigioni vuote. Sembra un’utopia. Tuttavia, in alcuni paesi democratici dell’Europa del nord tutto questo è già realtà.
Giulia Chiapperini