Reclusioni di massa, sfruttamento dei detenuti, brutalità poliziesche. No, non si tratta dello scandalo degli uiguri in Cina, bensì della “democraticissima” America. Le carceri in USA ormai sono un business e questo crea diversi problemi.
Gli inizi della privatizzazione
Le prime privatizzazioni delle prigioni statunitensi risalgono agli anni Ottanta, quando una stretta sul traffico di stupefacenti provoca un progressivo affollamento delle prigioni e un conseguente aumento dei costi di gestione. Per rispondere all’emergenza, gli Stati Uniti cominciano ad affidare l’amministrazione dei penitenziari a operatori privati. Da allora, il fenomeno è in continua evoluzione: in soli vent’anni, il numero delle carceri in USA concesse in appalto è cresciuto del 600%.
Le incarcerazioni di massa
Le prigioni private stipulano un contratto al fine di riempire al 90% la propria capienza, se ciò non accade, il governo deve provvedere a pagare per le celle rimaste vuote. Non stupisce dunque che il tasso di incarcerazione negli Stati Uniti sia uno dei più alti al mondo. Nel 2013, un quarto dei detenuti mondiali si trovava in America. Il che è impressionante, se si considera che la popolazione statunitense costituisce solo il 5% di quella globale.
Nel 2015, nelle carceri in USA erano presenti quasi 7 milioni di persone, molte delle quali afro-americane o migranti. Vi sono città dove un adulto nero su due è stato in prigione.
I finanziamenti alle strutture private
L’amministrazione Trump è stata una “gallina dalle uova d’oro” in tal senso, permettendo alle principali società affidatarie di chiudere il 2017 con un fatturato complessivo di 4 miliardi di dollari. L’associazione no profit Urban Justice Center stima che più della metà degli 80 miliardi di dollari investiti nel 2018 per il sistema carcerario siano andati a privati. Nel mercato delle carceri in USA, le imprese tagliano sui costi delle proprie strutture penitenziarie per massimizzare i profitti. Questo si traduce in servizi inesistenti, condizioni di vita peggiori, cibo scadente e sovraffollamento degli spazi. Diverse inchieste denunciano l’assunzione di personale non qualificato e il trattamento brutale degli ospiti, rivelando che in questo tipo di prigioni il tasso di violenza è quasi il doppio che in quelle statali.
Lo sfruttamento dei detenuti
Ma non è tutto. Le società che possiedono le strutture carcerarie stringono accordi con altre imprese e gli assicurano la manodopera dei detenuti a prezzi indegni. Un sistema di sfruttamento in cui, se ci si rifiuta di lavorare per 25 centesimi l’ora, si rischia l’isolamento. Oltre ad essere sottopagati, raramente gli ex-carcerati potranno sfruttare la formazione ricevuta. Molti datori di lavoro adottano politiche discriminatorie nei loro confronti, rifiutandosi di assumerli.
Non è necessaria una deriva autoritaria per assistere a trattamenti inumani: basta un sistema che, invece di riabilitare le persone, punti a guadagnare sulla loro pelle.
Alessia Ruggieri