Nella giornata di Venerdì 11 Dicembre Monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, ha pronunciato la sua tradizionale benedizione natalizia da un luogo molto particolare del capoluogo lombardo.
Non potendo andare casa per casa ad incontrare le famiglie a causa delle regole di distanziamento imposte per limitare il diffondersi della pandemia da Covid-19, il religioso ha scelto di tenere la propria preghiera natalizia in via Padova, la strada più multietnica di Milano.
La scelta di Monsignor Delpini è stata tutt’altro che casuale, pensata con l’intento di coinvolgere una comunità culturalmente diversificata ma non per questo necessariamente disomogenea, come destinataria di un messaggio di rinascita e di speranza ancora più necessario in un periodo difficile come quello che stiamo ancora attraversando.
Durante la sua visita al quartiere l’arcivescovo nominato nel 2017 da Papa Francesco, ha incontrato inizialmente la comunità parrocchiale della chiesa di San Giovanni Crisostomo di cui fanno parte anche volontari della Caritas impegnati nella distribuzione di generi alimentari.
Dopo questo primo momento di preghiera Mario Delpini si è spostato nel parcheggio antistante la chiesa dove ha impartito la benedizione ad un gruppo di commercianti di diverse origini ed etnie, per poi spostarsi al civico 115, nei pressi di una macelleria islamica, per consegnare al responsabile della casa della cultura musulmana di via Padova, Mahmoud Asfa, una lettera di natale indirizzata alle famiglie di fede islamica. Infine ha benedetto le famiglie da alcuni cortili di palazzi popolari.
Interpellato dalla stampa locale Monsignor Delpini ha spiegato il significato di questi gesti affermando che la sua intenzione era quella “di riuscire a trovare un linguaggio comprensibile e accessibile a tutti, non solo a quelli che parlano italiano, non solo a coloro che festeggiano il natale come festa cristiana, ma anche a tutti i bisognosi di speranza, a chi ha paura del futuro, a chi si sente solo, a quelle donne e uomini che sono in allarme per le povertà che si annunciano”.
Il suo desiderio, cioè, era quello di dimostrare a tutte queste persone che “la chiesa esiste per dar loro speranza, che Gesù viene per essere principio di vita nuova” e che l’intenzione di chi ne annuncia la parola è quella di contribuire a “vincere la crisi sociale e spirituale”.
Monsignor Delpini non è nuovo a questo tipo di pensiero e a questi gesti.
Durante il primo lockdown, nel periodo pasquale, aveva organizzato insieme alla Pastora Daniela Di Carlo e al Padre ortodosso Traian Valdman, una preghiera ecumenica al cimitero monumentale della città di Milano.
L’arcivescovo di Milano ha quindi ancora una volta compiuto un atto semplice, talmente in linea con il vangelo cristiano che in quanto uomo di chiesa è tenuto a seguire prima che ad annunciare, che dovrebbe sembrarci ordinario, non degno di nota.
In un periodo storico complicato, durante il quale le nuove criticità, le nuove povertà e le nuove divisioni si innestano su vecchi vizi ideologici tornati ad influenzare il pensiero della popolazione italiana, però, le azioni e le parole di Mario Delpini ci sembrano straordinarie.
Siamo abituati a sentire rimbalzare sui media discorsi relativi al Natale che hanno spesso un retrogusto divisivo.
Siamo abituati a sentirci dire che la festività natalizia è qualcosa da difendere, da chiudere in un recinto entro il quale qualcuno non è ammesso. Gli anni scorsi c’era il presepe da fare a tutti i costi nelle scuole, le recite di natale e i canti dei bambini.
Quest’anno la questione più discussa è stata quella delle messe: farle in un orario consono al rientro dei fedeli nel rispetto del coprifuoco è stata definita come una proposta gravissima, contraria alla tradizione, quindi offensiva.
Nazionalismo e cristianità vengono continuamente mischiati come se fossero compagni naturali.
Assuefatti a questo tipo di dibattito, rischiamo di dimenticarci che è fuorviante. Rischiamo di dimenticarci che la religione, in qualsiasi espressione si presenti, non è un fattore divisivo, che il cuore del cristianesimo non ha niente a che fare con tradizioni temporali più o meno recenti, che la fede personale non ha relazione con la cittadinanza e con la possibilità di convivenza tra membri della popolazione.
Se non stiamo attenti rischiamo di cadere nella trappola di chi ci dice che le culture, di cui le religioni sono una possibile espressione, non possono convivere.
Quasi dimentichi di cosa sia normale, quindi, il gesto di Monsignor Delpini rischia di apparirci straordinario. La realtà dimostra spesso, però, che l’incontro tra culture, tra religioni, non è difficile, è qualcosa di naturale, qualcosa che avviene quotidianamente. Non si perde niente ad includere, a rivolgere la parola anche a chi si riconosce in ritualità diverse.
Ripensandoci bene, al messaggio della religione che a volte usiamo come criterio di separazione, poi, potremmo renderci conto del fatto che era stato presentato come universale, che era stato rivolto all’umanità intera.
Una volta che ci siamo ricordati questo particolare fondamentale, l’immagine di un arcivescovo cristiano che consegna nelle mani di un rappresentante della comunità musulmana della sua stessa città una lettera di natale, potrebbe addirittura apparirci come la cosa più ordinaria del mondo.
Silvia Andreozzi