Una tassa di frontiera sulle emissioni è un utile strumento per contribuire alla transizione energetica. Le politiche isolate possono essere dannose. La proposta avanzata dal ministro della Transizione ecologica francese, Barbara Pompili, ha l’obiettivo di costruire un’alleanza globale UE, USA e Cina.
Abbiamo bisogno di buone notizie. La prima: durante l’ultimo Consiglio europeo i 27 capi di Stato e di governo hanno raggiunto l’intesa sul taglio delle emissioni del 55 per cento entro il 2030. Un traguardo importante che non è stato facile raggiungere: le resistenze più forti sono arrivate dalla Polonia, uno dei paesi europei che ha una grande dipendenza dal carbone.
Il governo polacco è titubante: teme che la transizione energetica a favore delle energie rinnovabili possa nel breve periodo causare un disastro occupazionale non solo perché sono migliaia i minatori che lavorano nelle miniere di carbone nelle mani dello Stato ma anche perché è difficile avviare la transizione energetica in assenza di lavoratori qualificati.
La Polonia è riuscita poi a strappare una importante concessione, il gas naturale diventa “tecnologia di transizione”. D’accordo anche gli altri paesi europei. In gioco, lo ricordiamo, ci sono investimenti miliardari per lo sviluppo dell’idrogeno blu. A beneficiarne la Germania – che ha il miglior know how – e l’Italia alla quale spetterebbe una posizione strategica come ponte di collegamento con l’Africa nord orientale, in particolare con l’Egitto dove c’è uno dei giacimenti di metano più ricchi del mediterraneo. E infine come hub per lo stoccaggio dell’idrogeno.
L’Europa intanto festeggia il risultato ottenuto. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha parlato di leadership europea nella lotta al cambiamento climatico.
Una tassa di frontiera sulle emissioni: la proposta del ministro francese
Nella lotta al cambiamento climatico l’Europa può contare su Joe Biden. Secondo il ministro della Transizione ecologica francese, Barbara Pompili, è l’occasione giusta per rilanciare la carbon tax. Uno degli strumenti utili per accelerare la transizione energetica verso le fonti rinnovabili e ridurre le emissioni di gas serra. A livello globale, la Cina è tra i principali oppositori di questo strumento fiscale elaborato per tassare l’anidride carbonica prodotta dalle attività industriali.
Dopo una manciata di giorni dalle elezioni americane, il presidente cinese Xi Jinping annuncia che Beijing s’impegna a raggiungere la neutralità climatica entro il 2060. L’idea del ministro francese è semplice. Grazie all’alleanza con gli Stati Uniti l’Europa può finalmente costringere la Cina ad applicare la carbon tax adottando una carbon frontier tax, una tassa di frontiera sulle emissioni. In questo modo, sarà più facile rispettare il target dell’accordo di Parigi ed evitare un danno economico alle industrie americane ed europee sottoposte a tassazione.
Senza un coordinamento però il timore è che i paesi possano essere costretti a fare un passo indietro sulla transizione energetica. Applicando in modo isolato la carbon tax, infatti, le imprese europee o quelle americane potrebbero trovarsi svantaggiate. Costrette ad aumentare il prezzo dei loro prodotti, i beni provenienti dalla Cina e da altri paesi inquinatori diventerebbero competitivi anche se realizzati ancora con fonti fossili.
Una tassa di frontiera sulle emissioni per un’alleanza globale sul clima
La Francia ha l’ambizione di guidare la lotta al cambiamento climatico, soprattutto, quando nel 2022 avrà la presidenza europea. Quale occasione migliore ora che Donald Trump è fuori dai giochi? Almeno, per i prossimi (e decisivi ) quattro anni. Per il ministro Pompili la tassa di frontiera sulle emissioni, che eviti di creare dei disequilibri sul mercato, è la ricetta giusta. «Possiamo lavorare assieme agli Usa» – ha dichiarato Pompili – per persuadere la Cina ad adottare una carbon tax comune, accompagnata da una politica coordinata sui prezzi delle fonti non rinnovabili.
Nel gennaio scorso Donald Trump aveva minacciato possibili sanzioni se l’Unione europea avesse applicato la carbon tax alle industrie americane delocalizzate. Per scongiurare lo stesso schema è prioritaria una stretta collaborazione tra gli Stati Uniti e l’Europa per definire azioni condivise sul clima, come la carbon frontier tax. Secondo Pompili sarebbe «estremamente ambizioso» raggiungere un accordo già dal prossimo anno.
Il primo scalino è convincere la Cina a eliminare qualsiasi forma di sussidio alle esportazioni di carbone. E imporre aggiustamenti di prezzo per i beni più inquinanti. Nel frattempo, la Francia spinge per multe salate ai paesi che falliscono nel taglio delle emissioni di gas serra. E che non rispettano gli obblighi ambientali.
E sulla proposta di Pompili si esprimono anche i ricercatori del Climate Action Tracker confermando che politiche come queste sono cruciali per contenere il riscaldamento globale.
Chiara Colangelo