Un rapporto intitolato “Isolati e soli” redatto dalla sezione palestinese dell’ONG “Defense for children international” ha riportato l’attenzione sulle violazioni dei diritti dei minori perpetrate da parte di Israele nei confronti di bambini e ragazzi palestinesi che vivono nei territori occupati della Cisgiordania.
L’indagine, svolta nel periodo compreso tra il 1 Gennaio 2016 e il 31 Gennaio 2019, è stata pubblicata pochi giorni fa e si basa sulla raccolta e sulla verifica delle testimonianze di 108 minori che sono stati sottoposti all’isolamento detentivo finalizzato ad ottenere una confessione da parte delle forze militari israeliane.
L’organizzazione ha inserito nell’indagine le storie di ragazzi, di età compresa tra i 14 e i 17 anni, che hanno raccontato di essere stati prelevati dalle proprie abitazioni, quasi sempre nel cuore della notte, e sottoposti ad un regime di isolamento antecedente al processo e all’attribuzione di qualsiasi tipo di reato nei loro confronti, durante il quale sono stati privati della possibilità di ricevere visite da parte di familiari o l’assistenza di un legale.
Spesso questi adolescenti sono stati poi accusati di aver lanciato sassi, molotov o granate, ad uno di loro è stato imputato il possesso di un arma mentre a pochi altri è stata riconosciuta la colpa di far parte di cellule militari.
Le vicende di questi ragazzi, la cui testimonianza ha reso possibile la realizzazione del report, si somigliano molto l’una con l’altra per la brutalità da loro subita e per le pesanti conseguenze psicofisiche che ne sono conseguite.
La quasi totalità degli intervistati ha raccontato che tutto è iniziato nel cuore della notte. Gli arresti sono stati eseguiti tra la mezzanotte e le cinque del mattino. È stato frequentemente riportato nelle testimonianze dei diretti interessati l’uso della forza nei confronti dei membri delle loro famiglie, anche nei confronti dei fratelli minori. Spesso le abitazioni di queste persone hanno subito gravi danni a seguito delle pesanti perquisizioni realizzate dai militari armati.
A tutti i minori presi in considerazione nel report sono state legate le mani dietro la schiena con un cordoncino di plastica durante l’arresto, solo sei di loro non sono stai anche bendati.
Gli abusi sono continuati anche durante il tragitto nei mezzi militari: la maggior parte dei minori ha raccontato di essere stato costretto a viaggiare rannicchiato sul pavimento dei veicoli subendo vessazioni da parte degli agenti.
Una volta prelevati con queste modalità dalle loro abitazioni risulta che i ragazzi siano stati portati in prigioni situate nei territori israeliani, gestite dai servizi segreti israeliani.
Tutti i giovani palestinesi hanno raccontato di aver trascorso il periodo di isolamento in una cella molto piccola, sporca, maleodorante e priva di finestre.
L’unica fonte di luce sarebbe stata una lampadina, tenuta costantemente accesa ad illuminare il luogo di detenzione dei minori impossibilitati, in questo modo, a percepire il trascorrere del tempo. Il cibo, sempre secondo le testimonianze contenute nel report, veniva passato loro attraverso una fessura all’altezza del suolo.
La possibilità di avere interazioni umane durante i periodi di isolamento durati per questi ragazzi in media 14.5 giorni, era stata praticamente azzerata. Anche il rinnovo della loro detenzione è sempre stato eseguito dal giudice in loco, eliminando l’occasione di un’eventuale udienza da quelle disponibili per poter vedere i familiari o l’avvocato.
Ci sono numerosi studi compiuti su soggetti adulti che dimostrano che un isolamento prolungato oltre i 15 giorni inizia a provocare danni psicologici e fisici irreversibili. Si provi ad immaginare cosa può significare un’esperienza simile per soggetti ancora in fase di sviluppo emotivo e psicologico.
Se tutto questo non bastasse, anche i racconti relativi agli interrogatori cui sono stati sottoposti i 108 minori palestinesi rendono conto dell’utilizzo di metodologie psicologicamente e fisicamente coercitive.
Solo sei di questi adolescenti hanno avuto possibilità di parlare, seppur brevemente e al telefono, con il proprio legale prima di essere interrogati, a tutti gli altri è stato negato anche questo diritto.
Tutti gli intervistati, poi, hanno raccontato di aver trascorso l’intera durata dell’interrogatorio con tutti gli arti legati a sedie metalliche in una posizione che hanno descritto come molto dolorosa.
Spesso le loro confessioni sono state estorte attraverso l’uso di informatori, detenuti adulti palestinesi che collaborano con gli agenti israeliani.
Nei casi in cui questo è avvenuto ai ragazzi era stata comunicata la fine dell’interrogatorio cui era seguito il loro trasferimento in strutture in cui le condizioni detentive erano migliori rispetto a quelle del luogo in cui erano tenuti in isolamento. Qui sono stati accolti da un adulto palestinese che li ha spinti a dargli informazioni dopo essersi guadagnato la loro fiducia. Dopo pochi giorni i minori sono stati trasferiti nuovamente nel luogo del loro isolamento dove sono stati interrogati attraverso l’uso delle registrazioni delle loro conversazioni con quelli che solo allora venivano a sapere essere informatori.
Dopo questa esperienza, a prescindere dalla loro innocenza o colpevolezza, i bambini hanno tutti ammesso le accuse che erano loro state imputate fin dall’inizio. Tutto senza mai aver avuto accesso all’assistenza legale di un adulto. Ad 11 dei ragazzi la cui esperienza è raccolta nel report è stata fatta sottoscrivere un’ammissione di colpevolezza scritta in caratteri ebraici, a loro incomprensibili.
È bene specificare a questo punto che la colpevolezza o meno dei minori palestinesi non dovrebbe essere un fattore da considerare nell’operare un giudizio relativo ai trattamenti da loro subiti per mano delle istituzioni israeliane.
La legge internazionale, cui anche lo Stato di Israele è sottoposto in quanto firmatario della Convenzione sui diritti dei bambini delle Nazioni Unite, proibisce a prescindere tutti i comportamenti appena descritti.
Primo tra tutti è vietato l’utilizzo dell’isolamento come metodo detentivo applicato ai bambini, dove con tale termine si vuole intendere giuridicamente tutti i minori di 18 anni. In alcuni casi tale metodologia, infatti, è paragonabile e paragonata alla tortura.
I minori, inoltre, devono essere soggetti a detenzione solo in casi estremi, non possono essere trattenuti arbitrariamente e non possono essere soggetti a trattamenti lesivi e degradanti.
Già nel 2002 il comitato delle Nazioni Unite che si occupa dei diritti dei minori aveva espresso delle serie preoccupazioni riguardo ai trattamenti riservati ai minori palestinesi da parte di Israele.
Il giudizio era stato rinnovato anche dieci anni dopo, nel 2013, quando gli ispettori delle Nazioni Unite avevano trovato una situazione anche peggiore rispetto a quella registrata in precedenza.
Dal canto suo lo Stato di Israele, secondo quanto riportato nel report, si è sempre difeso sostenendo che le leggi internazionali sui diritti umani da loro ratificate non si applicano ai palestinesi che vivono nei territori della Cisgiordania.
Tali argomenti sono stati ovviamente rigettati dalla comunità internazionale perché completamente incompatibili con il significato universale delle norme di diritto internazionale e soprattutto con lo spirito con cui esse erano state concepite.
Il diritto universale degli uomini, infatti, era stato reso positivo negli anni successivi alla seconda guerra mondiale affinché a nessuno toccasse ancora in sorte di subire atrocità simili a quelle sofferte, prima di tutti, dagli ebrei europei per mano dei totalitarismi di destra. Affinché, cioè, la validità universale della dignità umana non venisse più negata attraverso l’offesa fatta anche ad un solo uomo, ad una sola donna, ad un solo bambino.
Silvia Andreozzi