A dicembre 2010 il Qatar ha vinto la sua scommessa: è stato scelto come paese per ospitare i mondiali del 2022. Una decisione storica. Per la prima volta infatti i mondiali si giocheranno in Medio Oriente, e per la prima volta il grande torneo si terrà durante la stagione invernale.
Nell’ultimo decennio il paese ha conosciuto un boom edilizio: stadi, hotel e grattacieli sorgono in mezzo al nulla, nuove strade e metropolitane attraversano il deserto. Il Qatar si veste di nuovo, per mostrarsi al mondo in un tripudio futuristico di lusso e modernità. Ma a quale prezzo?
Tutto questo non sarebbe possibile senza le centinaia di migliaia di lavoratori migranti arrivati in Qatar da paesi africani e asiatici: Ghana, Kenia, Nepal, India, Filippine.
Abusi e sfruttamento dei lavoratori migranti
Dietro la frenesia costruttrice qatariota si nasconde un mondo di abusi e sfruttamento: operai sottopagati, costretti a lavorare per lunghe ore in condizioni disumane. Negli anni, indagini condotte da giornalisti e organizzazioni quali Amnesty International e Human Rights Watch hanno denunciato le flagranti violazioni dei diritti umani commesse dal Qatar nei confronti dei lavoratori migranti. Nel 2017 la pressione internazionale ha portato il governo a firmare un accordo con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO).
Da allora il paese si è compromesso a ratificare e attuare una serie di riforme volte a modificare le sue leggi in linea con gli standard lavorativi internazionali. I provvedimenti mirano a porre fino allo sfruttamento e migliorare le condizioni dei lavoratori, e includono una serie di azioni riguardanti le degradanti limitazioni cui sono sottoposti i lavoratori migranti.
Nonostante gli accordi però, poco è cambiato nella vita dei lavoranti. Le riforme sono spesso rimaste solo su un piano teorico, e la loro mancata applicazione lascia i lavoratori in dure situazioni si sfruttamento. Moltissimi sono ancora vittime di abusi, intrappolati in un circolo vizioso di debiti a causa di pratiche di reclutamento illegali e poco etiche, nelle mani di datori di lavoro che requisiscono il passaporto e trattengono lo stipendio, a volte per mesi. Nonostante siano stati istituiti Comitati per la Risoluzione delle Controversie sul Lavoro, questo strumento si è rivelato inefficace, e migliaia di operai aspettano invano che giustizia sia fatta.
Il principale ostacolo alla costruzione di un sistema lavorativo sano, che rispetta i diritti dei lavoratori migranti, è il sistema di sponsorizzazione noto come Kafala, che continua a legare l’immigrato al suo datore di lavoro. Quest’ultimo diviene a tutti gli effetti un padrone con eccessivo potere sul suo dipendente.
Il costo umano dei Mondiali 2022
I lavoratori che prestano servizio nei cantieri delle grandi opere per la costruzione delle infrastrutture per i mondiali del 2022, supervisionati dal Supreme Committee for Delivery and Legacy -l’organizzazione governativa che controlla i preparativi per il grande evento sportivo-, dovrebbero beneficiare di standard lavorativi più severi in base all’introduzione, nel 2014, del Workers Welfare Standards. Ma non sempre è così.
Secondo un report di Amnesty International, oltre 100 lavoratori della Qatar Meta Coats (QMC), impiegati nella costruzione dell’Al-Bayt Stadium, non sono stati pagati per mesi. La FIFA, che dovrebbe assicurare il rispetto dei diritti umani, e fare pressioni sul governo affinché applichi le riforme del lavoro, ha ammesso di non essere a conoscenza della situazione della Qatar Meta Coats. Secondo Amnesty International “il fatto che la FIFA non fosse a conoscenza della situazione dei lavoratori in un sito della Coppa del Mondo dimostra che non prende sul serio le violazioni dei diritti umani”.
In Qatar si continua a morire
Spesso non si tratta solo di mancati pagamenti e passaporti confiscati. Gli abusi nell’edilizia legata ai mondiali del 2022 va ben oltre. In Qatar, i lavoratori migranti continuano a morire a causa del caldo e dell’umidità che compromettono seriamente la salute, a volte in modo fatale.
La legge vieta di lavorare nelle ore più calde durante i mesi estivi. Ma spesso questa norma non viene rispettata, e gli operai sono costretti a faticare senza pausa sotto il sole inclemente del deserto. Dopo giornate di lavoro estenuanti, i lavoranti tornano ai loro squallidi campi, dove vivono in spazi sovraffollati e in condizioni terribili. Qui capita che, all’improvviso, qualcuno inizi a sussultare e ad annaspare, senza riuscire a respirare. E muore, a migliaia di chilometri da casa, rantolando sul pavimento, nell’ultimo disperato tentativo di riempire d’aria i polmoni. Intorno a lui i suoi compagni, che lo guardano con sconcerto, e si chiedo a chi toccherà la prossima volta.
Ogni anno in Qatar centinaia di impiegati dell’edilizia muoiono per quelle che le autorità indicano come cause naturali: insufficienze cardiache o respiratorie. Nessuno indaga su questi decessi. E i corpi vengono rispediti a casa. Nonostante le richieste delle ONG, i funzionari statali non danno informazioni chiare sui numeri e sulle cause delle morti nell’edilizia.
Nel 2017, 322 lavoratori stranieri sono morti per complicazioni cardiovascolari. Data la reticenza, è difficile stabilire se i cantieri da cui questi morti provengono siano legati ai mondiali. Negli ultimi 5 anni, il Supreme Committee for Delivery and Legacy ha riconosciuto la morte di 24 lavoratori impiegati nelle costruzioni per i mondiali 2022. 20 di questi decessi sono stati imputati a cause naturali. I numeri però non convincono, e sembra che le istituzioni giochino al ribasso.
Quando assisteremo ai mondiali del 2022…
Oggi, quando mancano 562 giorni al calcio d’inizio dei mondiali, in Qatar un esercito senza voce di migranti schiavi lavora senza tutele, senza diritti.
Quando i nostri atleti correranno negli stadi illuminati, e masse di tifosi si riverseranno nei nuovi alberghi di lusso, e noi, con una birra in mano, esulteremo o piangeremo per la nostra Nazionale, non dimentichiamoci che, dietro lo scintillio sfolgorante della Coppa del Mondo, è morta la dignità umana.
Camilla Aldini