La diffusione del contagio nelle carceri italiane durante questa seconda ondata di Coronavirus sta risultando più ampia di quella che si era registrata a Marzo.
I dati sono in continuo mutamento, ma si conta che il 40% degli Istituti penitenziari nel nostro paese ha avuto casi di contagio interno che ha coinvolto sia le persone detenute che il personale dipendente. Questo significa che in 75 carceri su 192 si sono verificati casi di positività tra gli ospiti e il personale.
Secondo le informazioni aggiornate al 15 Novembre i detenuti positivi sono 610, a questi vanno aggiunti gli 847 contagiati appartenenti al personale. Sono più di 1000 i detenuti in isolamento sanitario.
Risulta molto difficile avere dati puntuali circa il numero di contagiati interni alle carceri. L’Associazione Antigone sta cercando di tenere una mappa, aggiornata anche grazie alle segnalazioni, che tenga traccia dell’evolversi della situazione.
Osservando il grafico salta subito all’occhio l’alto numero di istituti in cui le condizioni sono piuttosto critiche.
Ciò che preoccupa particolarmente è il fatto che la crescita dei casi di contagio interni alle carceri ha registrato un’accelerazione repentina nelle ultime due settimane, il che fa pensare che anche l’incremento di questa tendenza possa risultare altrettanto veloce.
Questo timore sorge soprattutto perché, come denunciano diverse realtà sensibili all’argomento, come l’Associazione Antigone, il Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale e le Caritas diocesane, i provvedimenti adottati in occasione della prima ondata non sono sufficienti a scongiurare i rischi interni agli Istituti penitenziari.
Il problema principale rimane quello del sovraffollamento delle carceri italiane.
Durante il periodo del primo lockdown le presenze effettive all’interno dei penitenziari italiani erano state ridotte da circa 61.000 persone a poco più di 53.000. Nello stesso periodo, inoltre, era calato il tasso di reati commessi, con la conseguenza che gli ingressi di nuovi detenuti erano diminuiti in modo significativo.
Con l’allentamento delle misure per il contenimento del Covid, però, è tornato ad aumentare il numero dei reati e, quindi, delle persone in carcere che, nel corso dell’estate, sono salite a quota 54.767. In realtà, però, questo dato include anche individui che non si trovano fisicamente negli istituti detentivi perché godono di permessi premio speciali.
Coloro che si trovano effettivamente nelle prigioni italiane rimangono comunque un numero molto alto, pari a 53.992. Tutti questi dati, forniti dall’Associazione Antigone, vanno considerati in proporzione ai posti disponibili nelle carceri del nostro paese, che sono 43.131.
Già durante la settimana appena trascorsa alcune realtà e personalità lombarde tra cui l’Osservatorio Carcere Territorio Milano, il Garante dei Diritti delle persone private della Libertà personale comune di Milano, la Presidente della Sottocommissione Carcere del Comune di Milano, l’ordine degli avvocati di Milano, la Caritas diocesana, Associazione Antigone e molte altre, hanno firmato un appello indirizzato ai parlamentari della regione al fine di esortarli a prendere provvedimenti per cercare di limitare la portata della preoccupante situazione regionale e nazionale.
Il documento invita a trovare soluzioni concrete per arginare il problema dei contagi nelle carceri italiane considerando che il rischio arriva principalmente dall’esterno.
Secondo i firmatari è opportuno ridurre drasticamente le presenze negli istituti carcerari, tenendo conto anche della necessità di spazi aggiuntivi al fine di garantire l’isolamento sanitario di coloro che sono ritenuti a rischio di contrarre il virus.
Il pericolo di contagio nelle carceri proviene principalmente dall’esterno. La possibilità di ricevere visite dagli affetti, però, è già fortemente limitata e, nel caso delle zone rosse, azzerata. Bisogna quindi innanzitutto rivedere le entrate di coloro che provengono da uno stato di libertà.
La richiesta, quindi, è che le condanne di reclusione, come auspicato anche da Giovanni Salvi, Procuratore generale presso la Cassazione, siano in questo momento di emergenza applicate come extrema ratio, nel caso in cui ogni altra misura risultasse insufficiente.
Oltre a limitare le entrate, però, bisogna facilitare l’individuazione di misure alternative all’incarcerazione, almeno nei casi in cui è possibile farlo.
Nell’appello redatto dalle realtà lombarde, a tal fine, si chiede di “eliminare almeno una parte delle preclusioni all’accesso alla detenzione domiciliare per chi abbia una pena residua fino ai 18 mesi”. La prima tra queste limitazioni è il vincolo del braccialetto elettronico che viene definito “irrealistico” data la scarsità di dispositivi.
Un altro problema in questo senso è quello di coloro che non hanno una dimora adatta per il rilascio anticipato. Attualmente, secondo dati forniti dall’Associazione Antigone, ci sono 3.500 detenuti con residuo di pena inferiore ai diciotto mesi, senza contare coloro che si trovano sottoposti ad un regime di alta sicurezza. A più di mille di queste persone rimane da scontare meno di sei mesi di pena. Il problema è che un terzo di questi individui risulta senza fissa dimora.
Si pone quindi la necessità di uno sforzo coordinato tra diverse istituzioni.
Sempre al fine di ridurre la popolazione carceraria i firmatari dell’appello ai deputati lombardi propongono una modifica all’art. 29 del D.L. 137/2020, prossimo alla conversione al senato, che permetta “ai detenuti che fruiscono da tempo di permessi oppure di lavoro all’esterno di rimanere temporaneamente fuori dagli istituti”. In questi casi, infatti, non si porrebbe alcun problema di sicurezza dato che, in entrambi i casi, si parla “di persone la cui idoneità al reinserimento in società è stata già messa alla prova”.
C’è poi un’ulteriore questione che va tenuta in considerazione.
L’Associazione Antigone segnala che al momento si trovano nelle carceri italiane 33 bambini di età inferiore ai 3 anni, reclusi insieme alle loro madri. Due di questi minori sono risultati positivi al Coronavirus. É evidente che sia necessario lavorare affinché, in casi come questi, si possano individuare alternative al carcere almeno per il periodo di durata di emergenza.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato
Il testo citato è quello dell’art.27, comma 3 della nostra costituzione. La finalità del carcere, è bene ricordarlo, è rieducativa. In un periodo come quello attuale, in cui questo obiettivo è già messo fortemente in crisi a causa delle difficoltà nel portare avanti i percorsi di reinserimento nella società, è ancora più importante mantenere molto alto il livello di rispetto della dignità della persona. Nessun cittadino deve essere esposto a inutili pericoli, specialmente quando si trova sotto la tutela dello Stato.
Silvia Andreozzi