Il mio terzo tempo – Nel calcio e nella vita valgono le stesse regole è l’ultimo libro di Claudio Marchisio edito da Chiarelettere.
“Quando il calciatore e il calcio insegnano alla politica” sarebbe stato un titolo altrettanto azzeccato per il volume della bandiera della Juventus. Non perché Claudio Marchisio si voglia ergere a maestro – anzi, l’ex centrocampista bianconero specifica proprio di non voler fare il tuttologo e di riconoscere di non avere le competenze e il ruolo per affrontare il dibattito sulle principali problematiche sociali – ma perché un calciatore – ma prima di tutto un uomo intelligente – è riuscito dove rinomati intellettuali e politicanti hanno spesso fallito: fare arrivare con semplicità e in un modo accessibile a tutti tematiche immensamente complicate e importanti, senza mai per questo banalizzarle o scadere nel politically correct.
Il mio terzo tempo è prima di tutto rivendicazione: del diritto di parola, di interessarsi di certi argomenti, di discuterne, di sensibilizzare. Lo stereotipo del calciatore poco sveglio e interessato solo a macchine, soldi e belle donne e per questo non in grado di argomentare certe tematiche con Marchisio viene accantonato fuori dalla finestra nelle prime pagine di introduzione. Le restanti, sono una piacevole scoperta.
Gli aneddoti sui lunghi anni alla Juventus, fatti di tante vittorie, qualche delusione e molte lezioni di vita condivise con i suoi lettori non mancano a beneficio di tutti gli appassionati di calcio, ma si alternano e si inseriscono in riflessioni ora sull’omofobia, ora sulla salvaguardia ambientale, e poi ancora razzismo, sessismo, istruzione e molto altro. Il tutto, condito da una buona dose di umiltà e autocritica su quante pecche il mondo del pallone abbia in questi ambiti, e quanti benefici tutti potremmo avere se l’universo calcistico iniziasse passo dopo passo a dirigersi verso la giusta direzione.
Un esempio ne è proprio Il mio terzo tempo. Il messaggio che invia Marchisio risuona forte e chiaro: si può essere calciatori, e attenti al sociale. Ricchi, e interessarsi di ciò che ci circonda. Avere una bella macchina, e preoccuparsi di diritti civili e uguaglianza. Non solo…I calciatori sono idoli, e la loro voce conta. Come anche quella di chi legge. Interessarsi è un dovere di tutti. C’è poi un’altra componente….una essenziale. Il calcio è un gioco semplice. Arriva dritto al cuore. E’ del popolo e per il popolo. Il suo linguaggio è immediato, dritto al punto, sintetico e per questo incredibilmente efficace.
Il calcio ha un potere magico, quello di superare ogni barriera, quello di far convivere sotto lo stesso tetto identità radicalmente differenti e magari anche incompatibili. Ha il fantastico potere di trasformare la solidarietà, la collaborazione, l’aiuto reciproco in elementi imprescindibili, che uno respira insieme all’aria. Con uno sforzo comune possiamo sperare che il calcio passi dall’essere il simbolo dei nostri fallimenti culturali al modello a cui tendere. Di strada da fare ce n’è moltissima.
Marchisio è un uomo di calcio. Perché poche parole, buone intenzioni e umanità possono arrivare più di qualsiasi legge, citazione o lettura erudita. Perché cultura e intelligenza non sempre vanno di pari passo, e perché tutte le parole del mondo non servono senza dietro altre due componenti: umiltà ed empatia.
E alla base di tutto c’è quel concetto fondamentale. Una verità così banale, eppure così spesso dimenticata da lasciare quasi interdetti: non tutti hanno le stesse opportunità, e chi pensa di essere bravo, ricco, o di successo spesso è semplicemente nato nella parte “giusta” del mondo.
Tutti dovremmo avere le stesse opportunità. Semplice no? Eppure così tremendamente complicato. Per questo serve il calcio. Per un messaggio che arrivi inarrestabile e puntuale, come quegli inserimenti che hanno reso Marchisio una leggenda bianconera. Allora ad esultare erano solo i tifosi della Vecchia Signora, in questo caso invece la sfida di Marchisio è anche per chi juventino non è. Per l’occasione anche io dico “Vai, Principino!”, che il gol questa volta bisogna segnarlo per tutti. E a voi, di qualunque fede calcistica voi siate, una buona lettura. La vita, in fondo, come insegna Il mio terzo tempo, è come una partita: si vince sempre di squadra.
Beatrice Canzedda