L’economia del nostro Paese è fra le più colpite. Ma in pochi sanno che, in Italia, abbiamo il primato per numero di partite Iva in Europa
Quando si parla di primati, in fatto di economie Ue, non capita spesso di pensare all’Italia. Mai come oggi, che ci troviamo a vivere quasi un secondo lockdown, capita di pensare a quanto sia precaria la condizione dei lavoratori italiani. Eppure in pochi sospetterebbero che in Italia abbiamo il più alto numero di partite Iva in Europa. La pandemia sta scuotendo l’economia del nostro Paese e solamente qualche mese fa fece indignare al notizia secondo cui cinque parlamentari “furbetti” ricevettero il bonus partita Iva. Un paradosso che aveva messo in evidenza la lacunosità normativa che aveva prodotto tale sovvenzione. E con le numerose chiusure che stanno interessando i lavoratori autonomi italiani, sorge una domanda: quanto è consistente questa categoria? Potrà adattarsi allo smart working? È quest’ultima la domanda principale, visto che stiamo progressivamente tornando alle modalità lavorative che abbiamo conosciuto già nei mesi di marzo e aprile.
Numero di partite Iva: Italia e Ue a confronto
Secondo Eurostat, dal 2018 ad oggi si nota un elevato numero di lavoratori autonomi in tutta Italia. Si stima che la loro densità per quell’anno sia stata del 14%, anche se la ripartizione geografica sul territorio è tutt’altro che omogenea. La maggior parte di quel 14% si colloca infatti nel nord Italia, mentre circa un terzo si colloca nel mezzogiorno e nelle isole. Un numero comunque consistente che nel 2019 significava circa 5 milioni di partite Iva in tutto il Paese, staccando di netto Germania (3,5 milioni), Spagna e Francia (3 milioni entrambe). Il numero è cresciuto ulteriormente nel corso dell’anno attestandosi intorno ai 5,3 milioni di partite Iva attuali: di queste 178’313 sono aperte da under 35. Si tratta di circa il 22-23% della popolazione attiva: un dato piuttosto significativo. Anche considerando le elevate condizioni di difficoltà che affrontava l’imprenditoria italiana, già prima dell’emergenza da coronavirus.
Lo smart working
Un gran numero di italiani sceglie il lavoro autonomo, ma non siamo i più digitalizzati d’Europa. Secondo Eurostat, nel 2018 meno del 4% dei lavoratori autonomi italiani era in grado di lavorare da casa. A fronte del 5,2% consistente nella media europea. Vi sono poi alcuni paesi virtuosi che spiccano per la notevole digitalizzazione, come la Finlandia, con un numero di lavoratori da casa pari al 46% di quelli in proprio. Il dato diventa più chiaro, poi, se si aggiunge che gli italiani che lavorano da casa sono quasi tutti dipendenti: quelli autonomi sono circa il 12 % degli smart workers. Non lavoratori autonomi, quindi: un dato che riflette quanto l’imprenditoria italiana resti ancora legata al territorio, contrariamente a quella europea. Conducono Paesi Bassi, Finlandia e Lussemburgo, con oltre il 40% dei lavoratori autonomi in grado di lavorare in smart working.
“Il lavoro a distanza è il futuro del lavoro” (Alexis Ohanian)
Il decreto novembre
Con il nuovo Dpcm sono arrivate nuove restrizioni e nuove norme, tristemente simili a quelle già conosciute la scorsa primavera. Tuttavia sono arrivati anche una serie di provvedimenti destinati al sostegno economico dei liberi professionisti: ossia quelli maggiormente colpiti dalle chiusure forzate. Lo Stato, in particolare, prospetta di sostenere gli imprenditori con i cosiddetti contributi a fondo perduto per i possessori di partita Iva. Si ipotizza, pertanto, anche l’impiego dei fondi stanziati ma non utilizzati dai precedenti decreti: Cura Italia, Liquidità e decreto Rilancio. Verrà probabilmente riconfermata, per i lavoratori dipendenti, la cosiddetta Cassa integrazione straordinaria. Per i possessori di partita Iva, invece, il Ministro dell’Economia e delle Finanze – Roberto Gualtieri – ha dichiarato che per accedere agli aiuti sarà necessario dimostrare un calo del 33% nel fatturato rispetto allo scorso anno.