Turchia, abusi sessuali: secondo il dipartimento di cassazione turca che si occupa di violenze sessuali, i casi in cui uno stupratore evita il carcere grazie a un “matrimonio riparatore” con la sua vittima sono almeno 3 mila.
Tutto in funzione di tutto, non sfugge nulla: la donna come mero oggetto di piacere che mai e poi mai dovrà fiatare o esprimere un suo personale sentire. Sono solo incidenti, dopotutto; provocazioni, inciampi, mosse sbagliate. Sposami, ti tratterò come una regina.
Oppure continuerò a stuprarti, ma stavolta in maniera legale, concessa dallo stato: mi hanno regalato un talamo nuziale invece delle sbarre, non è meraviglioso, amore mio? Perché per lo Stato si può. Matrimonio “riparatore”, lo chiamano. Capisci, bocciolo di rosa? Io così riparo al mio torto. Se mai, certo, ne abbia commesso davvero uno.
“Dio ha affidato le donne agli uomini”, ha detto Erdogan l’anno scorso commentando l’ennesimo stupro avvenuto in Turchia e rispondendo al gruppo di femministe che tentava di smuovere le acque e le coscienze. Dio ha affidato le donne agli uomini. Nel 2013 una bambina è stata stuprata da 29 uomini. Erano tutti suoi babysitter? Avvengono reati di violenze sessuali e femminicidi quasi di continuo. Ma finché si potrà risolvere tutto con un matrimonio, atto vincolante e doppiamente violento per questo per chi è stata vittima di abusi, allora l’onore, il rispetto e la giustizia saranno ripristinati.
Il matrimonio è sempre un ottimo nascondiglio. Che adesso in una nazione come la Turchia sia un fatto legale, è irrilevante, per quanto sconvolgente. Ma in realtà è una pratica da sempre usata, ovunque. Ed è questa la cosa peggiore: la realtà circostante, l’onnipresente mentalità maschilista, macista mista a una grave e sovrastante ignoranza, da entrambi i sessi. Per non parlare della paura, del pudore, del senso di vergogna che porta a un totale mutismo e grande omertà da parte della donna. Tutti meccanismi sociali e psicologici che non portano libertà ma solo grovigli su grovigli di catene pesantissime e graffianti.
Gravidanza indesiderata? Matrimonio. Stupro? Matrimonio. La soluzione è in un paio di fedi pesanti come macigni da sollevare. Con questo anello io ti lego al mio volere e ti nego il tuo, finché morte non ci separi. Morte, naturalmente, che, date le circostanze, è nelle mie mani. Me ne approprio finché ho tra queste anche la tua vita.
Un matrimonio che è un contratto a una condanna. Chiedetelo a quelle donne, prima vittime e poi mogli, chiedeteglielo: è questo che volevi? È stato mai concesso loro la possibilità di esprimersi? In questa storia scritta dalla storia, non turca, non araba, ma mondiale, c’è stato mai davvero un riconoscimento di uguaglianza e di rispetto?
In alcuni paesi il sistema dei matrimoni riparatori è stato abolito, in altri invece, come è possibile leggere, ancora no. Ma è questa la mentalità che gira, che si alimenta ogni giorno.
E questa è una realtà che fa davvero troppa rabbia e troppa paura. Questa mancanza di libertà che soffoca e reprime, come si può accettare? La condizione di quelle donne va al di là della semplice costatazione del fatto: c’è da supporre che qualcuna di loro sia persino contenta, in qualche modo rassicurata da un matrimonio del genere. Perché la ferita più profonda che un crimine contro la libertà di una persona è questa: la manipolazione mentale che ne scaturisce. Una realtà tragica alla quale è difficile credere, ma che non è nemmeno troppo distante dalle nostre case.
Un incubo incorniciato dai fiori di arancio, per il giorno più bello di tutta la tua vita.
Gea Di Bella