E’ di poche ore il disastro ferroviario capitato in Puglia che ha visto scontrarsi due treni provenienti da Andria e da Corato, su una tratta a binario unico. La procura indaga e la pista finora confermata è quella dell’errore umano.
Quando penso alla Puglia, mi ritornano in mente i ricordi di bambina, quando nel lontano 1996 feci la mia prima gita in Puglia a vedere il Carnevale di Putignano, vicino Bari. Ricordo con affetto quei tempi innocenti, quando con mio padre e mia cugina mi ritrovai a fotografare gli immensi e bellissimi carri che sfilavano per le strade di Putignano, talmente grandi che non rientravano in una foto. Oppure vedere per la prima volta i trulli di Alberobello, quelle strane casette di pietra grigia e bianca, che mi facevano chiedere se ci abitassero degli gnomi o meno.
Poi ti svegli un giorno e apprendi che su quei bei ricordi è sceso un velo d’ombra. L’ennesima notizia di morte, in un Paese che ormai resta indifferente alle mille e una tragedie che avvengono. Un disastro ferroviario. Lo scontro tra due treni sullo stesso binario. La morte di decine di persone. Evidentemente, uno dei due treni non doveva essere lì in quel momento. Quello che ancora e per fortuna ci si chiede è: Come è stato possibile? Si parla di errore umano, un segnale sbagliato.
La paletta alzata del capostazione che indica il magico cerchio verde: “Ok. Puoi partire”. E il treno parte, sicuro. Il segnale c’è stato, un segnale vecchio di quarant’anni. Un segnale mandato dalle mani di un uomo esperto, che fa quello da una vita.
Ebbene sì, perché su quella tratta che va da Andria a Corato, si usano ancora i metodi vecchi di 60 anni. Lì che ancora si usa il cosidetto sistema del “blocco telefonico”, ossia la comunicazione via telefono del via libera su un binario unico. I due treni però erano moderni, dotati di sistemi frenanti di ultima generazione ma non funzionanti a causa di un sistema di rotaie vecchio e ormai obsoleto, non ancora dotato dei sensori Scmt, dispositivi che controllano la marcia del treno e avvertono il conducente in caso di velocità eccessiva.
Basta un attimo, svoltare la curva e trovarsi a fare i conti, faccia a faccia, con la vecchia morte che fa cadere la sua falce. 23 anime, 23 persone, uomini, donne, ragazzi, anziani. 23 vite interrotte, ieri, oggi, domani. Simbolo della vita interrotta, finita in pezzi, violentata, è l’immagine dei due treni dopo lo scontro: un turbinio di macerie. La metafora di questo nostro Paese, martoriato e ucciso, fatto in mille pezzi.
L’ immagine che ne esce fuori è l’ultimo tassello di un puzzle, vecchio 35 anni.
Anno 2016, Puglia: ultimo disastro ferroviario di una serie tristemente nota. Scontro su binario unico di due treni, uno proveniente da Andria e l’altro da Corato. 23 ad oggi, i morti.
Anno 2009, Viareggio: un treno deraglia a causa di un incidente tecnico ed esplode a causa della fuoriuscita di gpl, morte 32 persone, ferite 25.
Anno 2005, Crevalcore: scontro su un binario unico tra un treno interregionale e un treno merci. Bilancio: 17 morti e 80 feriti.
Anno 2002, Rometta Messinese: incidente ferroviario per un guasto ad un binario. 8 morti e 47 feriti.
Anno 2002, Ciampino: scontro tra due treni. Morte 6 persone.
Anno 1997, Piacenza: treno deraglia sulla curva d’ingresso della stazione a causa dell’eccessiva velocità. Muoiono 8 persone, i feriti sono 30.
Anno 1989, San Severo: il treno proveniente da Bari, deraglia e distrugge la parte sud del fabbricato della stazione. Bilancio: 8 persone uccise.
Anno 1978, Murazze di Vado: Il treno Lecce-Milano si scontra con il rapido Freccia della Laguna. Il rapido deraglia e finisce in una scarpata. Muoiono 42 perone, 120 i feriti.
Scrivere questa lista di stragi e rileggerla induce quasi l’occhio e la mente ad abituarsi a tutto ciò, a eventi fatali che sono capitati a persone sfortunate. La cosa fa paura, fa tanta paura. La morte fa paura, ma quella dell’altro, lontano da noi, dalla nostra casa sicura fa un po’ meno paura perché non ci tocca. L’appiattimento emozionale, lo stupore a cui fa subito posto il disinteresse fa paura. In un mondo in cui le notizie si rincorrono alla velocità della luce, notizie di fatti negativi, tragici, oscuri, misteriosi; l’essere umano non si stupisce più, non ha più un coinvolgimento emozionale.
La vita di 23 persone su di un treno è stata cancellata per sempre, con un colpo di flace. La vita dei restanti tre miliardi di persone nel mondo continua. Ed è in quell’appello di richiesta di sangue da parte dei soccorsi che si riscopre l’umanità, la carnalità. “C’è bisogno di sangue”. Se per i morti non c’è più nulla da fare, è per i vivi che bisogna combattere, per quelle 53 persone salvatesi, per quel sangue che ci rende ancora umani e di cui abbiamo tanto bisogno.
Il sangue di una vita, di quelle 23 vite. Il sangue che deve pur valere a qualcosa. Il sangue che ci rende uomini e donne e che ci rende uniti e non distanti nelle disgrazie, uguali su di un treno come a casa, in ufficio come nelle terre tra piante e ulivi secolari. Nelle istituzioni piccole e grandi, nello Stato che è formato da uomini e da donne che hanno il potere nelle loro mani per fare qualcosa. In un Paese, il nostro Paese, l’Italia, la cui parola distanza non deve esistere. Una distanza che ancora una volta si ritrova nelle parole di scherno, nello stereotipo del nord verso il sud, che va oltre la tragedia e ci fa dimenticare che siamo tutti sullo stesso piano e che davanti alla morte niente e nessuno può sentirsi superiore.
Paradossalmente, quella distanza che i treni colmano, viaggiando su e giù ogni giorno per portare le persone nei posti più disparati. Quella distanza che ad un certo punto s’accorcia pericolosamente, in un modo in cui non ci si augura che mai possa avvenire.
Laura Maiellaro