Nonostante l’intervento delle forze internazionali, la guerra tra armeni e azeri per il “Giardino Nero”, il Nagorno-Karabakh, continua a peggiorare.
Gli scontri sono iniziati lo scorso 26-27 settembre. Da allora è guerra tra armeni e azeri: bombardamenti, missili sulle città, civili in fuga al suono delle sirene. Il Nagorno-Karabakh, ancora una volta, è diventato teatro di violenza e ferocia.
Tra Armenia e Azerbaigian l’odio è di lunga durata. Risale all’odio tra persiani e turchi. Il movente degli scontri attuali, come avvenuto già nel 1994, è il Giardino Nero, l’altopiano al confine tra i due stati, in cui abitano sia armeni indipendentisti che azeri. In una sola settimana la situazione è sfuggita completamente di mano: dai bombardamenti sui villaggi si sta arrivando pian piano ai grandi centri urbani.
Gli abitanti dell’altopiano scappano a destra e a manca, prendono corriere per arrivare nelle rispettiva patrie in cerca di rifugio. Intanto, tra giustificazioni, biasimi e accuse reciproche, entrambi i governi giocano una becera propaganda a suon di comunicati e post su Facebook e Twitter.
Il governo di Baku (azero), tuttavia, si è superato di gran lunga e sta mostrando in pubblica piazza, sui cartelloni pubblicitari sparsi per strada, i video degli attacchi aeri girati coi droni. Dunque, immagini di bombardamenti, morte, devastazione, mostrati in loop come un qualsiasi spot di saldi al supermercato. La guerra tra armeni e azeri è motivo di pubblicità e propaganda.
L’indecenza umana non ha limiti. Non bastava che i governi si accusassero a vicenda, tra l’altro sui social, senza alcun rispetto per chi è morto, chi sta morendo e chi sta combattendo. L’importante è portare acqua al proprio mulino, raggiungere accordi internazionali, vincere uno scontro che ha tutto il sapore di guerra energetica.
La zona del Caucaso è il crocevia di petrolio e oleodotti. Un prolungamento degli scontri potrebbe portare a conseguenti squilibri tra le nazioni. Poi ci sono le mire di Russia e Turchia, rispettivamente sull’Armenia cattolica e sull’Azerbaigian musulmano. A destra e a manca s’intima vivamente un cessate il fuoco (tranne Erdogan, per lui è tutto ok) per ristabilire un minimo d’equilibrio.
Quando il cinismo diventa virtù
Intanto gli scontri continuando, Baku pretende dal governo armeno delle scuse e il ritiro massiccio degli indipendentisti dall’altopiano per cessare i bombardamenti. Nel frattempo, per dimostrare ai cittadini azeri quanto bene stia svolgendo il proprio compito omicida, riproduce video di guerra.
Siamo nella nuova era della propaganda! Perdita e devastazione diventano degli ottimi punti da inserire in agenda elettorale. Quale politico non vorrebbe che i propri cittadini fossero a conoscenza di quanti morti il governo porta sulla coscienza?! E’ la teoria della trasparenza 2.0.
Oltre il cinismo, mostrare pubblicamente (su cartelloni pubblicitari!!) delle scene tanto delicate quanto eccezionalmente violente, non è motivo di riguardo verso i cittadini, per metterli al corrente della situazione, è una vera e propria violazione dell’umana decenza, un’eccessiva forzatura psicologica volta a creare abitudine.
E come si potrebbe mai considerare abitudinaria una guerra?! Eppure, immagini del genere, se postate in loop, perdono di valenza, perdono di significato, sembrano così distanti, da essere irreali. Nel frattempo, il dolore della perdita scompare, l’empatia verso i morti in guerra diventa indifferenza e si crea un velo d’illusione tra ciò che succede a chilometri di distanza e ciò che succede in patria.
Sarebbe il caso che qualcuno ai piani alti dicesse al governo di Baku che una propaganda del genere è ben fuori dal comune. Nessuno si vuole abituare a vivere né a vedere la guerra, nemmeno armeni e azeri. Un po’ di rispetto e dignità sarebbero più che doverose e decorose! Dopotutto, su quello schermo, c’è gente comune.
Antonia Galise