Il sessismo latente nell’uso che facciamo della lingua italiana e, in parallelo, alcune proposte per un linguaggio inclusivo e attento alla parità di genere sembrano aver guadagnato centralità, da alcuni anni a questa parte, nel dibattito pubblico.
Ma come vengono affrontate di solito queste tematiche?
In rete, come spesso accade, l’utente medio non sembra realmente interessato ad approfondire la questione, cogliendone la complessità e le sfumature, piuttosto, sembra soltanto voler prendere una posizione – quasi sempre contraria a qualsiasi innovazione linguistica – da portare avanti nel modo più intransigente possibile; nel migliore dei casi, invece, si rifugia nel fastidioso benaltrismo di chi pensa che i veri problemi siano sempre altri.
Le proposte di Alma Sabatini per un linguaggio inclusivo
Nel 1987, la linguista, insegnante e attivista per la parità di genere Prof.ssa Alma Sabatini scrisse un breve ma rivoluzionario volume dal titolo Il sessismo nella lingua italiana, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questo libro ha avuto il merito di porre l’attenzione, dal punto di vista linguistico, sul genere di quei sostantivi che indicano professioni e cariche istituzionali non più prerogativa maschile, ma svolte e ricoperte, in numero sempre maggiore, anche da donne.
L’autrice presentò una lunga serie di usi linguistici (tratti da alcune testate giornalistiche) che mostravano quanto i media fossero lontani da un linguaggio in grado di rappresentare entrambi i generi; allo stesso tempo, venivano messi in evidenza i limiti dell’uso del maschile con valore generico (detto anche ‘non marcato’) per riferirsi a pluralità di persone (nel primo dei quattro esempi, le donne vengono addirittura citate come categoria a parte, come se tra neri e ispanici ci fossero soltanto uomini).
Esempi:
– «[…] gli elettori registrati sono oltre 125.000 […] neri, ispanici, donne, si sono registrati in massa»;
– «[…] il presidente del Senato, F. Cossiga, ha firmato assieme al ‘collega’ della Camera Nilde Jotti»;
– «[…] Il premier, scortato da […] si è incamminata»;
– «La dottoressa Fusco, segretario amministrativo della seconda università si è dimessa».
Le possibili strade
Le soluzioni proposte dalla Prof.ssa Alma Sabatini rispetto alle varie sfaccettature del problema (non solo nomi di titoli, cariche e professioni) sono ragionevoli e facilmente applicabili, purché i parlanti abbiano la volontà e l’accortezza di metterle in pratica, di utilizzare, quindi, un linguaggio inclusivo.
Alcuni esempi:
– «diritti umani» o «diritti della persona» anziché «diritti dell’uomo»;
– «Indira Ghandi sovrana di 700 milioni di persone» e non «[…] di uomini»;
– «le bambine e i bambini, i ragazzi e le ragazze» e non «i bambini e i ragazzi»;
– accordo del participio al femminile in caso di prevalenza di nomi femminili («Carla, Maria, Francesca, Giacomo, Sandra sono arrivate stamattina»);
– accordo con l’ultimo elemento in caso di parità fra maschili e femminili («Ragazzi e ragazze furono viste entrare nel locale» oppure «Ragazze e ragazzi furono visti entrare nel locale»).
Asterisco, schwa o forme sdoppiate?
Oggi, una delle studiose più attive nella promozione di un uso più inclusivo della lingua italiana rispetto alle questioni di genere è la Prof.ssa Vera Gheno, brillante sociolinguistica al centro, suo malgrado, di una polemica scoppiata alcune settimane fa tra il giornalista de La Stampa Mattia Feltri e il Presidente dell’Accademia della Crusca Prof. Claudio Marazzini. Al centro della polemica vi era una delle proposte della sociolinguista per indicare pluralità miste: lo schwa (ə), che, esattamente come l’asterisco, permette di includere sia il genere femminile sia quello maschile quando ci rivolgiamo a interlocutori di entrambi i sessi.
L’importanza di discuterne
Al netto della polemica e al di là delle possibili soluzioni (forme sdoppiate, asterisco, schwa, ecc.), è bene che un dibattito ci sia e continui ad esserci, un dibattito possibilmente maturo ed equilibrato che si affranchi da atteggiamenti snob o benaltristi. Perché il linguaggio non soltanto rispecchia i mutamenti in atto nella nostra società (anche per questo sarebbe opportuno fare qualche sforzo in più nel declinare al femminile i nomi di alcune cariche e professioni), ma è anche in grado di modificare la nostra percezione di categorie e fenomeni sociali (basti pensare agli effetti di un certo tipo di lessico sul tema immigrazione).
L’evoluzione linguistica
Con l’efficacia dei nuovi mezzi di comunicazione e con la volontà dei parlanti, è possibile, oggi, produrre cambiamenti nell’uso della lingua italiana veloci come mai lo sono stati in passato. In quanti giorni abbiamo fatto nostra la parola lockdown, ad esempio?
È arrivato il momento di riflettere seriamente sull’uso che facciamo della nostra lingua, sia in una prospettiva di genere sia nell’affrontare tutti quei temi che richiederebbero toni più pacati e una più attenta scelta delle parole da utilizzare.
Simone Rosi