Di Dario Arkel
Premessa
In un periodo dominato culturalmente in Europa e nei nascenti Stati Uniti d’America (Jefferson, Franklin, ecc.) dal positivismo, ovvero dal concetto che la Scienza potesse risolvere ogni problema dell’uomo a seguito dell’illuminismo, non mancarono voci laterali di mantenimento di un pensiero a difesa della religione e del conservatorismo. Al pensiero di Rousseau, Diderot e Voltaire, Beccaria, corrispondevano forti resistenze che si conclusero con la temporanea vittoria della Restaurazione politica e sociale del 1815.
Eccezionalmente, in Francia, e quindi in Europa, le due fazioni possono suggestivamente e sinteticamente venire incarnate da due fratelli savoiardi. Joseph e Xavier De Maistre. Il primo, nato a Chambéry nel 1753, fu uno strenuo oppositore di ogni riforma, sia essa sociale sia essa politica, il secondo, nato a dieci anni di distanza da Joseph sempre a Chambéry, s’impose in senso opposto, per i suoi scritti portatori di un umanitarismo pedagogico tendenzialmente libertario, pur essendo un militare di carriera e successivamente un diplomatico.
Parte Prima
Joseph De Maistre fu riconosciuto come il campione del tradizionalismo cattolico, in un modo talmente esacerbato da essere citato da Isaiah Berlin come il paradigma del “Legno storto dell’umanità”. Il savoiardo scrisse infatti diversi testi inneggiando al Papa Re, ad una posizione della Chiesa come unica entità politica e di riferimento sociale e educativo: in questi termini vedeva il futuro di una civiltà sostenuta dal lavoro umano del “quarto stato” e dalla supremazia del clero e dell’aristocrazia. Clero e aristocrazia rappresentavano l’ordine costituito e garantivano il mantenimento della civiltà spirituale. Isaiah Berlin nel suo prezioso saggio sopra citato, riporta le agghiaccianti parole dell’ “Elogio del boia”. In questo testo, il maggiore dei De Maistre trattò del boia di Parigi. Questa figura, così osannata dal popolo e rispettata dal Potere, per lui era un “professionista”, niente altro. Similmente all’esistenza dei macellai, esiste anche chi tortura e uccide uomini. Questo per volontà di un Potere assoluto e assolutista che impone l’obbedienza ai suoi dogmi d’ordine e di semplificazione, quindi se uno compie un atto malvagio deve cessare di vivere, inutile è stare a discutere. Bisogna eliminare il problema alla radice. Chi uccide, deve morire. Ma deve morire anche chi non rispetta le regole costituite, emanate da un’élite prepotente e crudele, arbitraria e d’opinione, che applica leggi con ferocia verso i più deboli, il popolo e i poveri in genere, e comprensive – se non inesistenti – verso chi è complice del Potere. Il passaggio, un po’ complesso, potrebbe essere ulteriormente spiegato mediante il concetto espresso da Elias Canetti Il Potere è come la morte, ineluttabile; questa frase, nella semplificazione di Joseph, può leggersi tout-court Il Potere è la morte, direttamente. Infatti per il maggiore dei fratelli, compiere atti non ottemperanti il regime è sempre un atto contrario alla civiltà, e diventa allora inutile incarcerare, tra l’altro a spese dello Stato, bisogna anzi troncare subito la cattiva pianta, il frutto marcio, il legno storto. La semplificazione consiste nel passare sbrigativamente alla esemplare punizione, senza differite, perché essa, pubblica, in piazza, eseguita dalle mani esperte del carnefice, corrisponde a qualcosa di più di una vendetta; è un vero e proprio rito di pulizia mentale, come una lavagna sulla quale si passa il cancellino senza neppure leggere quanto vi è scritto. Tutto ciò non ha importanza. La vita non ha importanza, ma la morte, questa sì. Nascere per i poveri non dev’essere un privilegio e quindi la vita di questi dev’essere obbedienza e sacrificio, ignoranza e morte-per-fatica o per decreto. Questa freddezza che ricorda la banalità del male dei carnefici nazisti e, in questo momento storico riporta alle stragi del fanatismo religioso, ci spinge a osservare che la semplificazione più ancora della banalità è l’ordine del giorno di un’umanità con il mal di pancia perenne. L’insofferenza verso l’altro ha un solo colore che si risolve, alla fine della fiera, nello sterminio del cosiddetto “altro”. Salvare me significa eliminare gli altri. Malthus, il demografo che affermò la necessità delle guerre per “sfoltire” il pianeta, fu buon profeta, e pure Hobbes che lamentava “l’uomo lupo per l’uomo”. E nessuna solidarietà appare più possibile nei confronti della morte. Lo vediamo bene in questi giorni luttuosi: ogni nuovo ucciso desta in noi minore attenzione, minore pietà. Ci stiamo assuefacendo a convivere nell’omicidio totale, e ci prepariamo, con il beneplacito dell’effigie di Joseph De Maistre (che appare un dilettante rispetto agli avvenimenti dell’oggi), come cavie da laboratorio, ad accettarne le conseguenze. Le informazioni sono talmente tante e varie da rendere vitale ciò che è mortale (il pregiudizio e la paura, la chiusura delle frontiere, l’allontanamento dai principi del rispetto e dell’accoglienza).
La responsabilità dell’uomo fa sì che la sua libertà personale trovi prima o poi un limite; questa responsabilità, che porta dunque al rispetto per i viventi si esprime, nel suo massimo sociale, col termine solidarietà. Questa può dunque essere considerata il punto più elevato della responsabilità, ed essa mantiene i suoi punti fermi nella comprensione e nell’attiva consociazione. L’uomo si è dotato dei termini pietà, solidarietà, responsabilità, appositamente per condividere le azioni del vivere con gli Altri. Da qui è sorta l’idea di associarsi, fin dai primordi, in forma comunitaria fino alla creazione dei villaggi, delle città e delle regole della convivenza. Il Potere si intromette in tutto ciò e scatena una battaglia tuttora in corso contro l’unità pensante del popolo: o la pensi come me o… vai a morire. L’assolutismo e ogni dittatura si regge su questo assioma oscurantista. Non c’è spazio per chi non è me.
Le pagine de “L’elogio del boia” si concludono in maniera poetica e pietistica. Paradossalmente, Joseph De Maistre immagina il “povero” boia rientrare a casa solo, dopo la sua dura giornata di lavoro. Ne prova pietà. I suoi figli non gli vanno incontro, e della moglie neppure l’ombra. Tutto è oscuro come la notte che avanza. Non è il sole della piazza di Parigi con la folla plaudente. Il boia si rinchiude tra le sue mura e nessuna voce lo accompagna, anzi, d’un tratto le case intorno alla sua sembrano allontanarsi, distanziarsi, inclementi, senza alcuna solidarietà.
(A breve seguirà la seconda parte. Xavier De Maistre e “Il lebbroso della città d’Aosta”)
Aspettando la seconda parte,del lebbroso della città di Aosta,lascio un commentino sul boia di Parigi. Innanzitutto ringrazio il prof Arkel per approfondire temi a me cari. Il sunto di quanto è scritto sopra è semplicemente racchiuso nella parola Dignità. La vita,è un concetto completamente diverso dalla morte intesa da De Maistre e continua addirittura anche dopo di essa. Nessuno è autorizzato a decidere se una vita vale la pena o meno di essere vissuta e spesso,al giorno d’oggi,ci si sente “padroni” delle vite altrui. Ognuno dovrebbe vivere nell’ essenziale e nella solidarietà dell’ altro non contro l’altro.
Grazie, Ignazio. Sei sempre puntuale e acuto nei tuoi commenti
Il “male” inteso come “banalità” è un altro bene di consumo, un altro bisogno indotto dai poteri legittimati e da quelli “oscuri”… Si perde costantemente il senso della propria coscienza perchè si è facilmente condizionati dal tornaconto personale a dispetto di quella che dovrebbe essere la “coscienza collettiva” che genera criticità e senso sociale. Questa disaffezione al bene sociale è un’arma a doppio taglio…procura isolamento, arroganza, ferocia e…tanto sgomento quando s’intravede un raggio di luce tra le strettoie del proprio egoismo e di quella ignoranza che fa comodo palesare!
vero. Per questo, a Joseph farà riscontro tra breve l’emblematico “Lebbroso della città d’Aosta” del fratello F.Xavier, in cui si tratta dell’amore per l’uomo e il vivere nell’umiltà dell’essenziale. Grazie, Nita
Ringrazio il professor Arkel per questi preziosi articoli. Leggendo mi sono resa conto che questi pensieri sono attuali più che mai, ancora oggi ci sono uomini che decidono il destino di altri uomini.. Ma questo com’è possibile? Nessun uomo può decidere quanto valga la vita degli altri.
Non ho mai letto “Elogio del boia”, di Joseph De Maistre: posso solo intuire, da questo articolo che egli possa essere annoverato tra i cosiddetti Legittimisti, fieri oppositori della Rivoluzione, e profondamente imbevuti di fedeltà al Trono e all’Altare, atteggiamento che si potrebbe riassumere nell’aggettivo “vandeano”.
Ancora oggi, in Francia, molta parte del cattolicesimo rimane attaccato a concezioni preconciliari,per così dire e come è noto.
Ma il punto nodale, per me, è stata la descrizione del boia al suo triste e solitario ritorno a casa. Pensiamoci: lo strumento del Potere viene messo da parte quando i suoi servigi non interessano più, marionetta senza volontà, a cui nessuno riconosce il diritto ad un cuore.
Forse non dobbiamo commettere l’errore di credere che idee di 200 anni fa non possano più riaffacciarci nelle nostre società, e per difenderci ci rimane, secondo me, una sola strada: guardare all’altro con rispetto, e per quanto possibile, amore, o se volete com-passione.
Molto interessante. Ho letto la parte prima e la chiusura mi è parsa avere, inusitatamente, un sapore poetico. Proprio così! Il boia che rientra in casa dal “lavoro”, in solitudine, senza amici né famiglia con cui possa dialogare. Mi ha fatto anche pena…
Dario Arkel in questo articolo, attraverso la sintesi del saggio “Elogio del boia” di Joseph De Maistre ci porta a riflettere su come il partire da posizioni oscurantiste e fanatiche, allora come oggi, non può che portare a giustificare l’eliminazione, anche fisica, dell’altro.
Chiara ed incisiva l’immagine di chi cancella la lavagna senza neppure leggere ciò che vi è scritto sopra, (anche quando cancellare è sinonimo di privare della vita),.
La morte dell’altro, del diverso, di chi non si adegua, di chi commette anche reati perché disperato è frutto della semplificazione di chi è contro per principio, di chi non si sforza di comprendere.
Diverso è l’uomo che si muove nel rispetto dell’altro, nella sua compassione, (intesa come sentire comune), nella solidarietà, nel vivere insieme.
Forse persino Joseph De Maistre, nell’immagine riportataci da Arkel in chiusura del suo saggio, sembra percepire che il boia (l’atteggiamento di essere contro) porta alla solitudine all’allontanamento dalla compagine sociale, ad un’autocondanna.
Grazie Dario , ignoravo del tutto l’esistenza di un De Maistre ” buono ” e adesso , per saperne finalmente qualcosa , attendo le tue prossime riflessioni .
vorrei aggiungere qualcosa e soffermarmi sulla “trasversalità” dell’atteggiamento mentale che caratterizza le persone come De Maistre : figlio della più reazionaria aristocrazia sabauda , il buon Joseph fu , conseguentemente , devoto servitore di casa Savoia ed accanito sostenitore di una forma di governo sostanzialmente teocratica .Il potere costituito è , assolutamente , indiscutibile , in quanto diretta espressione di un Ordine Superiore che , insindacabilmente , decide quali debbano essere gli “eletti ” e quali , invece , debbano rassegnarsi a recitare la parte degli sfigati . La sua concezione elitaria del potere è confermata anche dalle svariate esperienze massoniche che lo videro protagonista di svolazzi da una loggia all’altra . Però , la sua cinica e spietata concezione della conduzione di uno Stato , non la riscontriamo solamente in chi crede nell’esistenza di un disegno divino dinanzi al quale ci si debba tutti uniformare , ma anche in chi si convince di aver letto , da bambino , i ” libri giusti” e di essere , pertanto , poiché animato da un’illuminazione vincente , autorizzato a disporre , senza porsi scrupoli di coscienza , del destino e dell’esistenza di chiunque altro . Scrivo queste cose . poiché io stesso – e penso che Dario stesso lo ignori – , in passato , fui vittima di una travolgente infatuazione ideologica e , facendomi ancora paura adesso quando penso a come ero , non posso che rabbrividire quando leggo o sento le affermazioni di qualcuno che non pone la tutela della vita umana , quale valore primario della sua cultura .
Intanto grazie ad Arkel perché scopro due storici personaggi savoiardi di cui non conoscevo l’opera e quindi l’esistenza. Ciò mi rinfresca la memoria anche su quanto peso e politica importanza la Savoia mitteleuropea abbia avuto per il nostro vecchio continente. E’davvero curioso però, dopo essermi documentato un po’in rete sui fratelli De Maistre, notare delle incongruenze che portano a convergenze, come delle consonanze provenienti da ossimori: Il fratello maggiore, Joseph, teologo, filosofo e politico, fu antirivoluzionario e restaurazionista, ultramontanista fino sostenere l’inquisizione; ma nella stessa famiglia, di dieci anni più giovane c’è il fratello Xavier che dicono fosse spensierato in gioventù, educato alla carriera militare, che si rese famoso per il romanzo nato dalle sensibili conversazioni con un lebbroso aostano, qui citato da Arkel.
Joseph, il fratello maggiore, oggi sarebbe definito di “destra”, reazionario e ultraconservatore mentre il fratello minore come progressista e libertario. Eppure leggo che Xavier era il fratello prediletto di Joseph e che fu lui, ben più famoso, a portare alla fama il fratello col romanzo del ‘lebbroso’ addirittura correggendolo, modificandolo e favorendolo nelle edizioni. Leggo anche che Joseph (il ‘cattivo’ per capirci) fu profondamente formato da un’educazione cattolica e teologica mentre il minore Xavier trascorse la vita nell’esercito; coi parametri di oggi sarei più propenso a ritenere che il primo fosse stato educato maggiormente alla tolleranza, al rispetto e alla considerazione per la vita altrui mentre il secondo, per cultura militare, l’avrei visto più come un reazionario, un guerrafondaio dalle drastiche soluzioni. Ebbene no, fu il contrario. Secondo me ne potremmo ricavarne anche uno spunto su come e quanto cambiano le cose nel mondo. Se tornassimo indietro a quei tempi infatti è abbastanza comprensibile come nel caso di Joseph l’educazione cattolico/moralista abbia ben avallato la formazione di un reazionario di allora, irrispettoso dell’uomo e delle sue scelte e come, di contro, l’ambiente di caserma, anche col senso civico e laico possa essere stato favorevole alla sensibilità più moderna e pedagogica di Xavier. Sono solo riflessioni, forse anche un tantino azzardate, che spetterebbero magari all’Arkel pedagogista, ché io sono un semplice lettore che aspetta la seconda parte di questo articolo.
Grazie Dario… lettura che stimola il pensiero…
La semplificazione e la banalità del male: concetti fondamentali che tu affronti spesso nei tuoi scritti, con una visione da intellettuale ma senza mai allontanarti dalla pura osservazione della realtà.
Dopo aver letto il tuo pezzo sul boia di Joseph De Maistre (attendo con curiosità la seconda parte, sul fratello “reazionario”!) mi è venuto spontaneo associarlo al boia Sanson, descritto in una mirabile pagina di drammaturgia da Stefano Massini (che conoscerai in quanto giovane e talentuoso erede di Ronconi e responsabile artistico del Piccolo di Milano).
La piéce è tratta da un testo di Honoré de Balzac.
E… i boia, in modalità diverse, esistono ancora… eccome!
“SANSON
(fissando gli scacchi) …Guardate questi pezzi. Guardateli: c’è un Re, una Regina, un Alfiere… e molte Pedine, senza valore. Ora pensate – per un attimo – che questi scacchi di legno abbiano, ognuno, i loro pensieri, i loro piani, le loro storie. Pensate che abbiano una faccia, degli occhi. Abbiano un nome… (muovendo uno dei suoi pezzi) Eppure la mia mano li muove. Poi tocca a voi ed è la vostra mente a decidere se farli vivere, morire, se farli restare o partire…
Il giovane, rapito dalle parole di Sanson, muove lentamente uno dei propri pezzi sulla scacchiera.
SANSON
Questo è l’uomo, signor D’Arthez: c’è sempre una mano che lo muove. C’è sempre qualcuno che lo spinge, da una casella all’altra. E vale per tutti: per il Re, per la Regina, per l’Alfiere… Vale per Sanson che fece il boia. E per la Pedina che perse la testa in Place de Grève. La partita finisce e ne inizia una nuova, sempre: altri Sanson, altre Pedine. Non ha senso, ma questo è il gioco.
GIOVANE
Quale gioco?
SANSON
La finta libertà.”
Un abbraccio
Per Joseph-Marie de Maistre la rivoluzione è il peccato sociale, vale a dire la distruzione dell’ordine naturale: un pensatore che, non lo nego, mi è particolarmente inviso, soprattutto per il suo propugnare l’ultramontanismo. A tutt’oggi, nonostante il pietismo di cui è intriso “L’elogio del boia”, non riesco a farmelo piacere: sarà che le sue parole puzzano più di incenso che non si un sentire evangelico. Trovo più interessante Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta, er boja de Roma, nonostante le sue memorie siano in realtà un falso, un falso però basato sul diario che il boia effettivamente teneva. E non posso non sorridere ripensando ai sonetti che Giuseppe Gioachino Belli dedicò a lui e a quanti la vita la finirono per sua mano.
E temo che, oggi come oggi, il pensiero di Joseph-Marie de Maistre sia fin troppo attuale: il destino degli uomini è in mano a pochi uomini, che fanno il bello e il cattivo tempo, ma sempre assicurando all’opinione pubblica che si decide l’altrui morte nel nome del Bene.