Incendi prima e pandemia Covid-19 dopo: come sta fronteggiando la situazione il criticato Primo Ministro Scott Morrison? E quali sono le altre problematiche che tornano a fare capolino?
Cerchiamo di fare una panoramica sulla situazione in Australia, Paese lasciato un po’ a margine dalle notizie nostrane.
Scott Morrison, l’uomo del carbone
Dopo i lunghi incendi che hanno devastato il suo territorio, l’Australia ha dovuto fare subito i conti con la pandemia mondiale. Eppure, nonostante le difficoltà e un Primo Ministro con un consenso elettorale al minimo, è riuscita a fronteggiare la situazione in modo eccellente.
Facciamo un breve punto della situazione per scoprire come Scott Morrison sia riuscito a ribaltare la sua sorte e quella del Paese.
Ex Ministro del Tesoro australiano, Scott Morrison viene eletto Primo Ministro nel 2018 a seguito di una crisi politica all’interno del partito Labourista. Nonostante un consenso non spiccatamente elevato, vince la seconda tornata elettorale nel 2019 contro ogni pronostico, definendolo lui stesso “un miracolo”.
Morrison viene spesso definito un negazionista climatico, perché? L’attuale Primo Ministro non ha mai fatto tesoro delle sue idee in appoggio all’industria mineraria australiana. Nel 2017 si presentò in Parlamento portando con sé un pezzo di carbone ed esordendo con «questo è carbone, non dovete averne paura». Un “teatrino” per rifiutare la proposta di una legge sulle emissioni dal momento che l’Australia è terza al mondo per contributo di Co2. L’industria del carbone, infatti, è molto prolifica e dà lavoro a migliaia di persone e la priorità, per l’uomo del carbone, è sempre stata l’economia del suo Paese tanto da arrivare a respingere il rapporto ONU sul clima.
La situazione del 2019: gli incendi
Ma dal giugno 2019, con una delle estati più calde mai conosciute, numerosi incendi devastano la nazione per 8 lunghi mesi lasciando un bilancio devastante. Oltre un miliardo di animali morti, 33 vittime e migliaia di persone costrette a lasciare la propria abitazione: la situazione in Australia è drammatica.
Il Primo Ministro non immaginava di dover fronteggiare un evento di tale portata; la sua mancata gestione, il viaggio alle Hawaii durante la tragedia, gli sono costati cari in termini di immagine.
Dopo la perdita totale della fiducia, però, è arrivata una nuova occasione di riscatto per Scott Morrison: il mondo si trova a fronteggiare la pandemia di Covid-19.
Come ha fatto, questa volta, a contenere davvero la crisi?
La ribalta con la pandemia
Sicuramente incidono fattori strutturali come la bassa densità di popolazione o il fatto che molti cittadini hanno una casa indipendente con giardino, rendendo il distanziamento facilitato.
Ma anche le politiche di destra attente alla questione finanziaria hanno giocato un ruolo fondamentale. Sebbene Scott Morrison fosse più interessato alla ripresa economica, ha saputo agire in modo deciso e tempestivo trovando anche l’appoggio dell’opposizione, diversamente che da noi.
Per prima cosa il Primo Ministro si è affidato a scienziati ed esperti ascoltando le loro opinioni, cosa che non fece durante gli incendi. Inoltre, quando l’OMS non riteneva ancora necessaria la chiusura dei confini, lui prese da subito questa decisione chiudendo gli aeroporti agli arrivi dalla Cina, consigliato dal Chief Medical Officer Brendan Murphy.
Punta, poi, su grossi investimenti per garantire l’assistenza ai cittadini contagiati ma anche per tracciare e isolare i casi. Anche in Australia, infatti, si è ricorso ad un’app per tracciare i contagi, scaricata da 3.5 milioni di cittadini.
Questa volta ScoMo ci ha messo la faccia e si è buttato a capofitto nella risoluzione dell’emergenza dichiarando un anno di lockdown, se necessario.
Ma la situazione in Australia non è ancora sotto controllo: le conseguenze di questi mesi cominciano a pesare e sorge un nuovo timore. Secondo il Centro per la Salute Mentale dell’Università di Sidney, infatti, ci sarebbe il rischio di un aumento dei suicidi tra la popolazione. Gli strascichi della pandemia, sul lungo termine, potrebbero mietere più vittime del virus stesso. Tra stress psicologico e difficoltà finanziare, si è stimato un aumento dal 20 al 50% dei suicidi nel corso dei successivi cinque anni. In pericolo soprattutto la popolazione giovanile, rimasta senza lavoro e prospettive.
La sfida della ripresa
Ora, dunque, la sfida si gioca in campo finanziario ed economico. Al momento il governo sta lavorando assiduamente per garantire posti di lavoro e supporto economico. A questo scopo il Primo Ministro ha annunciato la sostituzione del COAG (Council of Australian Governments) con il National Cabinet. L’intento è snellire le comunicazioni tra Stato e leader del territorio australiano, per garantire soluzioni governative mirate a livello statale e federale.
Il ruolo del National Cabinet sarebbe quello di creare nuovi posti di lavoro negli anni successivi alla pandemia.
La situazione in Australia non è semplice, soprattutto se si tiene conto dell’incrocio di due eventi nefasti nel giro di pochi mesi. Apparentemente, però, Scott Morrison sta tenendo testa agli eventi e si mostra totalmente presente.
Riuscirà a recuperare la fiducia persa durante la stagione degli incendi? I numeri parlano chiaro: ad oggi l’Australia conta circa 7mila contagi e un totale di 103 morti, su una popolazione di 24 milioni di abitanti.
Questo successo, però, non deve far dimenticare il pensiero di Scott Morrison sul clima. Tornato sui suoi passi, non nega l’esistenza dei cambiamenti climatici e di un loro ruolo negli incendi ma propone un “adattamento” ad essi. Per ora, dunque, non sembrerebbe propenso a riconvertire l’industria mineraria. L’auspicio è quello di non dover di nuovo avere che fare con incendi indomabili e disastrosi.
Vecchie e nuove problematiche: la protesta degli Aborigeni
Un’altra questione da prendere in analisi, anche alla luce dei recenti accadimenti in America e dei popoli in Amazzonia, riguarda gli Aborigeni australiani.
Ovunque nel mondo i popoli indigeni sono vittime inascoltate. Non solo la minaccia del coronavirus, ma anche i governi che non si occupano della loro sicurezza e della tutela dei diritti. E la situazione in Australia non fa alcuna eccezione.
Le ultime denunce, sulla scia delle proteste americane, riguardano proprio gli abusi della polizia ai danni della popolazione indigena.
Un agente è stato ripreso mentre arrestava un ragazzo indigeno, buttato a faccia in giù su dei mattoni; altre proteste sono nate, aderendo al movimento Black Lives Matter, in sostegno alla popolazione aborigena. Dal 1991 si calcolano circa 431 morti di indigeni tenuti in custodia o in carcere.
Storia e situazione del popolo Aborigeno
Il popolo degli Aborigeni australiani lotta da anni con le conseguenze della colonizzazione. Essi furono espropriati delle loro terre dai coloni britannici secondo il principio della terra nullis: la terra, considerata vuota e di nessuno, può essere occupata. Questo principio è rimasto in vigore fino al 1992 e da allora sono trascorsi anni di contestazioni per la restituzione delle terre.
Nel 2016 una restituzione viene fatta ai popoli Larrakia, sotto il Premier australiano Malcolm Turnbull e mediata dall’aborigeno Jason Singh.
Ma per la vittoria di un popolo, ce ne sono ancora molti vittime del land grabbing, in Australia e nel mondo.
A tutto questo si aggiunge l’incolmabile ferita della Stolen Generation, la generazione rubata. Per anni bambini e ragazzi indigeni sono stati allontananti forzatamente dalle loro famiglie e portati nell’Australia “civilizzata”. L’allontanamento è avvenuto per mano del governo e di istituzioni missionarie religiose, allo scopo di educare i giovani secondo una nuova cultura bianca.
La scusante? Una supposta inadeguatezza di quella vita “primitiva”, considerata dannosa per i bambini, specialmente i meticci nati da unioni (spesso non consensuali) con donne indigene. E così, una volta allontanati, sono stati messi in orfanotrofi o dati in adozione a famiglie bianche.
Australia e questione razziale
È bene rimarcare che fossero bianche, così come la cultura di fatto imposta a questi ragazzi, perché è il nodo centrale del problema che affligge queste popolazioni. Si tratta dell’ennesima violenza a base razziale, riconosciuta solo di recente come tale e condannata come genocidio dall’ONU.
Nonostante un’inchiesta negli anni Novanta e le scuse tardive del governo, la Stolen Generation è una ferita impossibile da rimarginare.
Ma la tragedia non finisce: nel 2019 gli Aborigeni australiani conoscono una triste ondata di suicidi. Le morti riguardano molti giovani anche al di sotto dei vent’anni. Le cause scatenanti sono il retaggio delle Stolen Generation, violenze subite dalle famiglie adottive, ghettizzazione e abuso di droghe; ma anche la povertà, gli sfratti, il razzismo e l’emarginazione con cui questi popoli devono ancora fare i conti.
La situazione attuale
Oggi, saturi di queste violenze, si uniscono al movimento americano BLM, per dire basta ai soprusi su base razziale e rivendicare i loro diritti. La democratica e liberale Australia deve fare i conti con queste realtà, specchio di un’insofferenza globale che inizia a farsi sentire sempre di più.
La situazione in Australia, dunque, presenta diverse sfaccettature e le sfide per Scott Morrison sono molteplici.
Anche se non si parla delle proteste degli Aborigeni australiani, anche se i popoli indigeni del mondo vengono messi da parte, la loro voce si unisce alle proteste mondiali di questi giorni creando un movimento unitario.
Lo stesso vale per la questione ambientale –cara ai popoli dell’Amazzonia e tornata in auge durante la pandemia– ancora non affrontata con la giusta serietà.
Da ogni parte del mondo i cittadini stanno chiedendo ai governi azioni forti. La situazione in Australia è il riflesso di quanto sta accadendo ovunque in Occidente, a partire dal baluardo dell’America.
La polvere non potrà essere messa ancora a lungo sotto il tappeto.
Marianna Nusca