Ellis Island è un isolotto che si trova vicinissimo alla baia del New Jersey.
Gli indiani originariamente lo chiamavano “Kiosk”, isola dei gabbiani. Nel 1600 che ne presero il possesso i tedeschi, battezzandola “Oyster Island”, isola delle ostriche. Ma il nome attuale lo si deve a Samuel Ellis, che l’acquistò nel 1770. Per via della sua posizione strategica, divenne ben presto parte del sistema portuale difensivo di New York.
Ma perché questo isolotto è così famoso?
Fu a partire dal 1892 che se ne iniziò a sentir parlare con sistematicità, in relazione alle norme migratorie degli Stati Uniti. Se fino al 1890 i flussi migratori erano regolati autonomamente da ogni singolo stato, l’incremento dell’immigrazione impose controlli più sistematici per gestire “Il più grande continuo spostamento di massa della storia”.
Il viaggio degli aspiranti cittadini americani iniziava con un questionario composto da 29 domande.
Proseguiva con una estenuante traversata lunga dagli otto ai quindici giorni di navigazione. I passeggeri erano divisi in tre classi, e l’esperienza di viaggio cambiava radicalmente a seconda di questa divisione.
Tutti erano accomunati dal desiderio di raggiungere una terra in cui trovare nuove fortune. Gli occhi pieni di ricordi del paese di origine, la preoccupazione di venire rifiutati. Ma i passeggeri di terza classe dovevano fronteggiare anche altre difficoltà oggettive.
I loro alloggi si trovavano sotto il livello dell’acqua, vicino ai macchinari.
Erano costretti a sopportare condizioni di altissimo disagio: dai problemi di igienici e di areazione, al sovraffollamento. Corpi stipati l’uno sull’altro, sottoposti al continuo oscillare delle navi. Un esodo verso il sogno americano.
Una volta approdati ad Ellis Island, i passeggeri di prima e seconda classe avevano un ingresso privilegiato alle ispezioni.
Ogni giorno si esaminavano moltissime persone, arrivando a picchi di 12 000. I nomi degli immigrati erano registrati, molto spesso trascritti erroneamente. I nuovi nomi che corrispondevano alla speranza di una nuova vita.
Inizialmente i controlli erano esclusivamente di natura sanitaria.
“I vecchi, i deformi, i ciechi, i sordi e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano”. Venivano respinti, e gli aspettava un’altra traversata, quella della delusione.
Dal 1917 vennero introdotte nuove norme per ridurre il flusso migratorio.
Queste norme riguardavano sia test attitudinali e di alfabetizzazione, che numeriche. I controlli però riguardavano anche luogo di destinazione, disponibilità di denaro, riferimenti a conoscenti già presenti nel paese, professione e precedenti penali. Nuovomondo, un film del 2006 di Emanuele Craialese con Charlotte Gainsbourg, ci offre uno spezzato crudo e verosimile, raccontandoci il viaggio di una famiglia del Sud Italia in cerca di fortuna, una storia corale commovente e realistica.
Anche gli italiani erano avventori del nuovo mondo.
Dopo la prima guerra mondiale si sviluppò un’attitudine negativa nei confronti di coloro che provenivano da alcuni luoghi d’Europa, in particolare dall’Italia, la Bulgaria, la Grecia, la Polonia, la Serbia. Venne così introdotta la “Quota Law” che prevedeva l’accoglienza di un numero limitato di cittadini provenienti da quei paesi. Per esempio, se nel 1921 furono accolti 42.057 cittadini italiani, nel 1924 solo 3.845.
Coloro che provenivano da questa parte del mondo erano visti come “un veleno nel sangue della nazione”.
Questo si ripercosse, ovviamente, sulle esperienze degli emigrati di prima generazione, ma non solo. Scrittori come Jerry Mangione e Micheal Gold ce ne offrono un assaggio, ma sono solo alcuni nomi. La letteratura di emigrazione è un filone molto ricco e articolato che sicuramente vale la pena di approfondire. Una storia fatta di odori, memorie, precarietà, aspirazioni.
Esattamente come le storie di tutti gli emigranti che sono in cerca di un loro spazio nel mondo e un futuro migliore.
Sofia Dora Chilleri