A cavallo tra i due conflitti mondiali, nel 1930, nacque l’idea della prima Coppa del mondo di calcio della storia.
Un’autentica avventura di uomini e passioni in un secolo falcidiato dai totalitarismi e dalle guerre distruttrici.
METTI UN GIORNO AD AMSTERDAM
Dopo il grande successo dell’edizione estiva dei Giochi Olimpici di Amsterdam 1928, la Fifa si riunì proprio nella città olandese per riprendere in mano un discorso già avviato: istituire un torneo di calcio riservato a tutte le nazioni del mondo.
Le prove generali si ebbero nel 1904, anno della fondazione del massimo organismo calcistico mondiale, ma la scarsità di mezzi non permise di realizzare il progetto.
IL PADRE DELLA COPPA DEL MONDO
Si deve a lui, presidente Fifa dal 1921, l’impulso decisivo alla nascita del torneo calcistico più ambito in campo internazionale. Jules Rimet non fu soltanto un uomo di sport, ma politico a tutto tondo, abile diplomatico e amante delle arti.
Convinto che il calcio esercitasse un ruolo fondamentale di collante sociale e di promotore di fratellanza e moralità tra i giovani, il democristiano Jules spese tutta la sua esistenza nell’opera di rafforzamento dell’egemonia della Fifa, osteggiando la nascita di federazioni continentali (Uefa su tutte) che, a suo dire, rischiavano di minare “l’unità della famiglia”.
L’OSPITE SGRADITO
Non restava che decidere quale tra le nazioni aderenti avrebbe avuto l’onore di ospitare la prima Coppa del mondo di calcio della storia. Si candidarono Italia, Svezia, Spagna, Ungheria e Paesi Bassi per l’Europa e Argentina e Uruguay per il Sud America.
La celeste, la selezione uruguaiana, poteva vantare gli ultimi due titoli olimpici del 1924 e 1928, una squadra ricca di campioni famosi anche in Europa, come il bomber eccentrico Hector Scarone e soprattutto l’appoggio incondizionato del presidente Fifa Rimet che intendeva onorare la ricorrenza dei cento anni della costituzione repubblicana con l’evento. L’Uruguay, oltre a garantire il rimborso delle spese a tutte le federazioni ospitate, prometteva la costruzione dello stadio più grande di sempre, il Centenario, un impianto da oltre 80mila posti che fu completato a tempo di record in cinque mesi e inaugurato al debutto della nazionale padrone di casa.
Tutti elementi che fecero propendere la scelta per il piccolo Paese affacciato sull’Atlantico e che costò la rinuncia in blocco di molti paesi europei, scoraggiati dalla lontananza e umiliati dalla Fifa che aveva dato precedenza alla “scuola” sudamericana.
IL BLOCCO SUDAMERICANO
La prima edizione del mondiale vide partecipare tredici nazionali. La maggiore rappresentanza fu quella sudamericana, con ben sette squadre. Oltre agli organizzatori dell’Uruguay, c’era l’altra finalista di Amsterdam 1928, l’Argentina del doble ancho (armadio a due ante) Luisito Monti.
Seguiva il Brasile a quasi totalità carioca, fatta eccezione per un solo elemento del campionato paulista, il centravanti leader del Santos Arakem Patuska.
Aderirono con entusiasmo anche Perù, Bolivia, Cile e Paraguay a cui si unì il Messico e la nazionale statunitense, forte di diversi elementi naturalizzati provenienti dalla Scozia.
IL «CONTE VERDE»
Impoverita dalle numerose defezioni, la spedizione europea contò sulla partecipazione spontanea di Jugoslavia e Romania, alle quali si aggiunsero il Belgio e la Francia, quest’ultima soltanto dopo un’intensa opera di convincimento da parte dello stesso presidente Fifa Rimet. In particolare grazie a lui i giocatori ottennero permesso che gli consentiva di assentarsi dal lavoro per sessanta giorni.
Fu così che, nell’estate del 1930, partì da Genova diretto nelle Americhe il piroscafo italiano Conte Verde, con a bordo le nazionali europee (gli slavi partirono da Marsiglia) che si confondevano tra la folla di borghesi in vacanza, artisti ed emigranti in cerca di fortuna.
IL TABELLONE
Le tredici squadre partecipanti vennero suddivise in quattro gironi all’italiana, di cui solo il primo composto da quattro squadre. Seguivano le due semifinali, tra le vincenti dei gironi e la finalissima. La prima edizione del 1930 fu l’unica senza finale per il terzo e quarto posto.
A causa di ritardi nei lavori per la costruzione dell’estadio Centenario, dovuti soprattutto al maltempo che si abbatté sulla città, le prime gare si svolsero negli altri due impianti già esistenti nella capitale: il piccolo Pocitos, tana da 1000 posti del Peñarol e il Gran Parque Central, casa del Nacional.
Il 13 luglio del 1930 alle ore 15:00, in contemporanea, Francia-Messico (4-1) e Stati Uniti-Belgio (3-0) davano ufficialmente inizio alla prima Coppa del mondo di calcio della storia.
I GIRONI
Fu l’Argentina a vincere agilmente il primo girone a punteggio pieno. Durante la gara con la Francia, vinta per 1 a 0 proprio nei minuti finali, si consumò il giallo dell’arbitro Almeida Rêgo che fischiò la fine della partita con 6 minuti di anticipo interrompendo una chiara occasione da gol per i transalpini che avrebbero potuto pareggiare.
Il girone 2 vide trionfare a sorpresa la Jugoslavia sul Brasile, dato tra i favoriti per la vittoria finale. Fanalino di coda la Bolivia con zero punti, protagonista della prima coreografia della storia calcistica, avendo fatto indossare agli atleti delle magliette che, schierate in fila,
mostravano la scritta “Viva Uruguay”. Da segnalare, tra le fila della Jugoslavia, il capitano Milutin Ivković, tra gli attivisti del movimento di boicottaggio delle Olimpiadi naziste del 1936, arrestato e giustiziato dal regime fantoccio di Milan Nedić nel maggio del 1943.
Nessun problema per l’Uruguay nel girone 3, vinto grazie alle vittorie su Perù e Romania. Proprio nella gara iniziale tra Perù e Romania fu fischiata la prima espulsione della storia dei mondiali e la partita detiene ancora il record di minor numero di spettatori, circa trecento.
Gli Stati Uniti si imposero come quarta semifinalista eliminando il Belgio e il Paraguay nel girone 4 e lasciando sgomenti gli addetti ai lavori che puntavano sui belgi.
VERSO LA RIVINCITA
Dopo essersi sbarazzate rispettivamente di Stati Uniti e Jugoslavia con identici punteggi, due roboanti 6-1, Uruguay e Argentina si trovarono faccia a faccia in finale. Appena due anni dopo Amsterdam andava in scena il secondo atto della partita delle partite.
Il porto di Montevideo che accolse le centinaia di piroscafi che trasportavano gli oltre 20mila argentini era in assoluto fermento.
La gara era sentita in maniera viscerale dalle rispettive tifoserie e non mancarono scontri e violenze che costrinsero l’organizzazione a un dispiegamento di forze mai visto per una competizione sportiva. All’ingresso dello stadio, il giorno della partita, la polizia eseguì perquisizioni in cui requisì di tutto, tra petardi, aste, bastoni e coltelli.
La federazione argentina lamentò di aver subito pressioni e minacce per non entrare in campo. In particolare l’uomo simbolo Luis Monti dichiarò che anche la madre era stata minacciata di morte. Persino l’arbitro dell’incontro, il belga Langenus, ricorse a misure straordinarie, accettando di dirigere l’incontro soltanto il giorno prima della partita e dopo aver firmato una polizza assicurativa sulla vita. In mancanza di giornalisti europei, furono proprio i suoi resoconti a fungere da cronaca nel Vecchio continente.
LA PARTITA
Uno stadio stracolmo con ancora le rifiniture in cemento non del tutto asciutto ospitò la finalissima.
Dopo la prima frazione erano gli ospiti dell’albiceleste a guidare la partita per 2-1. La ripresa vedrà l’incredibile rimonta dei padroni di casa che si imporranno per 4 reti a 2. In rete per gli argentini Peucelle e Stàbile. Dorado, Cea, Iriarte e Castro in gol per l’Uruguay.
La sconfitta valse molte critiche al duo Olazar-Tramutola, i ct argentini, accusati di non aver dato una organizzazione difensiva a una squadra interamente votata all’attacco e bucata dalle incursioni in contropiede degli uruguagi.
Il successo della prima Coppa del mondo di calcio della storia, tanto sul piano economico e commerciale quanto su quello sportivo, spazzò ogni resistenza residua inaugurando un appuntamento che, ogni quattro anni, scandisce il ritmo agli anni sportivi degli appassionati di tutto il mondo.
Alessandro Leproux