Il report ISS (Istituto Superiore di Sanità), basato su un campione di 29.692 pazienti deceduti, conferma alcune caratteristiche già emerse precedentemente.
Riconfermata l’età media dei decessi, già diagnosticata su larga scala: 80 anni, per la precisione, il cui 60% prevalentemente maschile. Una media di 3 su 4 pazienti presentava sia febbre che dispnea (rispettivamente il 76% e 73%), mentre il 5,8 % alcun sintomo.
Le donne ricoprono solo il 39,8% dei decessi, con un’età corrispondente superiore alla media maschile (circa 85 anni). L’età media dei pazienti differisce di 20 anni rispetto ai deceduti, una spaccatura piuttosto consistente (sui 62 anni).
L’1,1% del campione (332 vittime) aveva un’età inferiore ai 50 anni, il che sottolinea l’incidenza sullo status fisico e patologico in determinate fasce di età rispetto ad altre.
Difatti, anche l’argomentazione patologie pregresse ha avuto riconferma: a seguito di un’analisi su 2.848 cartelle cliniche, risulta un’incidenza sul 59,8% delle vittime; l’insufficienza respiratoria resta in vetta alla classifica (il 96,8% dei pazienti); seguono danno renale acuto (22,0%), sovrainfezione (12,2%) e danno miocardico acuto (10,6%).
L’incidenza della terapia antibiotica è stata confermata in più di 5 pazienti su 6, al contrario dell’antivirale (58%) e della terapia steroidea (37%). Il report ISS, dunque, porta alla luce vecchi presentimenti e congetture.
Cresce l’apprensione per i minori sui recenti dati relativi la malattia di Kawasaki, la quale viene confermata come probabile “estensione patologica ” del Coronavirus. Attualmente, la condizione del Covid resta mutabile e, in gran parte, sconosciuta; per tal ragione, riconfermiamo come sacrosanto il senso di responsabilità in piena fase 2.
Eugenio Bianco