Rosario, Argentina, 10 Febbraio 2020. Tra qualche giorno al Gigante de Arrojito, lo stadio di una delle due principali squadre di Rosario, si sarebbe giocata la partita di Primera Division fra il Rosario Centràl e il Gimnasia la Plata, squadra allenata da Diego Armando Maradona. Quel 10 Febbraio all’hotel dove alloggiava il Gimnasia si avvicinò un vecchio, accompagnato dai dirigenti del Centràl. Un uomo trasandato, capelli grigi, stanco, ma che conservava un portamento da leone. La sicurezza si fece prontamente avanti per cacciarlo ma apparse lui, el Diez, si fermò e abbracciò forte quell’uomo, gli parlò all’orecchio per 10 minuti, gli firmò una maglietta e, prima di congedarlo, gli sussurrò: “Trinche, eri migliore di me”. Quell’uomo era Tomàs Felipe Carlovich, El Trinche.
In bilico tra realtà e fantasia
La storia di Carlovich è un cocktail di leggenda e fantasia. Figlio di un’idraulico croato e una donna rosarina, El Trinche conta solo 2 presenze in Primèra Divisiòn, zero partite in nazionale e una carriera passata per la maggior parte nelle fila del Centràl Cordoba, la terza sconosciuta squadra di Rosario. Esatto, perchè al Trinche i soldi non sono mai interessati. Citando Buffa Carlovich era il classico giocatore che non giocava per vivere ma viveva per giocare. Espressione di un calcio che non esisteva già più, perfetto figlio de la nuestra, la parola con cui gli argentini intendono il loro modo di fare e, sopratutto, di amare il calcio. Elegante nonostante la sua altezza, faccia da cattivo dei film western anni ’70 e vestiti da perfetto slavo. I capelli lunghi e i prominenti baffi erano il suo marchio di fabbrica fino a quando non entrava in campo, perché lì per riconoscerlo bastava toccasse la palla.
Le leggende che circolano su di lui sono infinite: si dice che una volta, in trasferta, fu espulso e in seguito richiamato in campo perché la tifoseria ospite voleva godersi almeno una volta l’anno le sue giocate; si dice che una volta dimenticò a casa la carta d’identità, e che pur di vederlo giocare il dirigente della squadra avversaria convinse l’arbitro a fare un’eccezione; si dice che ricevesse un bonus per ogni tunnel fatto, e che quindi fosse discretamente benestante; e si narra anche che ogni volta che lui era in campo il Central Cordoba issasse in cima allo stadio una bandiera con su scritto “Esta noche juega el Trinche“, il prezzo del biglietto chiaramente cambiava.
El Trinche e la Selecciòn
Ma la storia più famosa su El Trinche risale al 1974, quando in vista del mondiale la Selecciòn organizzò un’amichevole con una selezione di giocatori rosarini. Fine primo tempo, la selezione rosarina ha spadroneggiato e guida già con il risultato di 3-0. Nello spogliatoio rosarino entrò l’allora CT dell’albiceleste Cap, che umiliato chiese all’allenatore avversario di togliere dal campo quel numero 5 che aveva fatto impazzire l’albiceleste. Quel 5 ovviamente era El Trinche…
Sugli spalti dello stadio Gabino Sosa si sedettero ad ammirarlo tutti i grandi del calcio argento. A partire da Marcelo Bielsa che non si perse una sua partita per 4 anni, fino a El Flaco Menotti. Menotti lo invitò addirittura a giocare per la sua albiceleste, che poi vincerà il mondiale, ma el Trinche disse che non poteva, doveva andare a pescare.
Anarchico, mal digeriva gli schemi, e spesso i suoi compagni di squadra dovevano prenderlo di forza per portarlo agli allenamenti. Aveva offerte da tutta l’Argentina e anche in Europa, ma non volle mai lasciare la casa dove è nato. Quando gli chiesero perché non volle andare a fare fortuna altrove el Trinche rispose: “Non mi è mai piaciuto stare lontano dal mio quartiere, la casa dei miei genitori, il bar dove vado di solito, i miei amici e “il Vasco” Artola, che mi ha insegnato come colpire la palla quando ero un ragazzo”. Questo era El Trinche.
Un epilogo tutto argentino
Quel 10 Febbraio quando Maradona gli dissè quella famosa frase Carlovich disse: “La mia vita è completa. Dopo aver incontrato Maradona posso andare via da questa vita in silenzio.” E così ha fatto.
Ieri infatti el Trinche ci ha lasciati. Era in coma dopo che qualche giorno fa un gruppo di malviventi lo aveva picchiato per rubargli la bicicletta. Un epilogo tutto argentino, per la storia tutta argentina di un personaggio tutto argentino. Adìos Trinche.
Michele Larosa