La scoperta della plastica negli animali degli abissi marini è stata documentata su Royal Society Open Science.
Sondare gli abissi
Un team britannico ha scoperto della plastica negli animali degli abissi. Specificatamente, gli scienziati hanno catturato degli anfipodi, piccoli crostacei simili a gamberi che abitano i fondali delle profondità oceaniche. Più dell’ottanta percento degli esemplari raccolti conteneva fibre e particelle plastiche nel proprio tratto digerente. I ricercatori hanno utilizzato trappole con esca studiate per non contaminare accidentalmente gli animali. Esaminandoli hanno rilevato una prevalenza di fibre di plastica blu, del tipo utilizzato in ambito tessile. Più precisamente, il team ipotizzava che abbiano raggiunto l’oceano a partire dal flusso di scarico degli autolavaggi. Il metodo è stato applicato a cinque fosse del Pacifico occidentale e a una al largo della costa ovest sudamericana.
Il monito di Eurythenes plasticus
Una delle specie di anfipodi contenente plastica e ritrovato nella Fossa delle Marianne vanta, per così dire, il nome scientifico Eurythenes plasticus. Questa specie ha il corpo schiacciato sui lati, non supera i cinque centimetri di lunghezza e non ha un vero guscio protettivo. Il nome scelto dai ricercatori vuole essere un monito. “Con questo nome intendiamo lanciare un forte segnale contro l’inquinamento marino” dice il ricercatore Alan Jamieson che vuole rendere chiara la necessità di mobilitarsi a riguardo. Difatti, la plastica è una nostra responsabilità. A detta di Jamieson, se potessimo andare avanti nel tempo senza produrne , la plastica nei fiumi, nelle coste e nella superficie del mare sparirebbe. Però, arriverebbe sul fondo degli oceani dove “non c’è via d’uscita. Non può che accumularsi continuamente.”
L’emergenza microplastiche
La plastica negli animali degli abissi non è un fenomeno da sottovalutare. Ognuna delle fosse contiene plastica, in prevalenza PET (Polietilene tereftalato), così come l’ottanta percento degli organismi esaminati. Neanche il fondo degli oceani, che conosciamo pochissimo, sfugge alla nostra influenza inquinante. Jamieson sottolinea che, per quanto profonde, il fondale delle fosse rientra pur sempre nella distanza di pochi chilometri, non troppo lontana dalla nostra realtà. Nell’oceano ci sono 51 trilioni di pezzi di plastica (un trilione è un miliardo di miliardi, o 1018) e il novanta percento di questi è microscopico.
La plastica nella catena alimentare
Se siete così sadici da non voler agire sul problema plastica per il pianeta, fatelo almeno per voi stessi. Infatti il team di ricerca riflette sull’oceano come un’unico corpo d’acqua che copre quasi l’interezza della superficie terrestre, colma di milioni di animali che interagiscono tra loro. Susanne Brander, tossicologa della Oregon State University, avverte che “gli anfipodi contenenti le fibre plastiche diventano prede di organismi più grandi, a loro volta prede di animali sempre più grossi” fino a contaminare i pesci che finiscono sulle nostre tavole. “Stiamo trovando grandi organismi i cui intestini sono pieni di microfibre”, ha spiegato Brander. La nostra plastica raggiunge tutte le forme di vita oceaniche, dagli anfipodi alle balene. L’impatto di questa contaminazione incontrollata è devastante per l’oceano quanto per noi, ed è necessario agire in fretta per evitare il disastro.
Daniele Tolu