Di Carlo Nesti
Io credo che considerare Muhammad Alì il campione dei campioni, il più grande di sempre, sia riconoscere come lo sport, da molto tempo, non è soltanto più l’esaltazione dell’esercizio fisico.
E’ un terreno, ben radicato nella società, sul quale si possono combattere battaglie decisive, per il bene di tutti, grazie alla straordinaria cassa di risonanza.
In epoche neanche troppo lontane, lo sport, quando unì, avvicinò Stati Uniti e Cina, mediante una sfida di ping pong, e quando divise, allontanò Stati Uniti e Unione Sovietica, mediante i boicottaggi olimpici degli anni Ottanta.
E’ stato palcoscenico della violenza: dai Giochi di Monaco 1972, con i palestinesi, alla Maratona di Boston 2013, con i ceceni, fino alla tentata strage di Parigi 2015, con l’Isis.
Il record a Peshawar, in Pakistan, nel 2010, con 105 morti, causati dai talebani.
Ma è stato anche occasione di pace, e se l’ex Cassius Clay è diventato una leggenda, non è soltanto per il suo modo unico, e inarrivabile di boxare, per il suo modo di volare come una farfalla e pungere come un’ape.
Lo è diventato perché ha sacrificato una parte della carriera, e della vita, in omaggio ai diritti razziali, civili e religiosi.
Sul piano razziale, è stato il Martin Luther King dello sport, in un’era in cui i neri, negli Stati Uniti, erano sottoposti ad ogni forma di umiliante discriminazione.
Sul piano civile, ha pagato con la condanna a 5 anni di carcere l’obiezione di coscienza, nel momento in cui si rifiutò di combattere in Vietnam.
Sul piano religioso, ha diffuso il credo di un Islam pacifico, e quanto avremmo bisogno di sentire certe parole oggi, dinanzi al pericolo dell’Isis!
Dal 3 giugno, giorno della sua scomparsa, il suo ricordo ha cominciato un viaggio infinito, perché non verrà mai dimenticato: per le future generazioni, conta anche questo.