Per anni la figura dello psicologo è stata accercchiata da una serie di pregiudizi e dicerie che ancora oggi sono difficili da estirpare.
Spulciando sul web, si nota che molte associazioni e ordini di psicologi puntano a fare chiarezza sull’annosa questione. Proprio per questo ho deciso di interpellare due dottoresse in materia Federica Micale e Giulia Amicone, psicologhe del benessere e co-fondatrici della piattaforma Apsicologa che gentilmente si sono offerte di rispondere alle mie domande e rendere più lucida la situazione.
1) Per iniziare, chi va dallo psicologo?
Intanto è importante chiarire cosa significa “andare dallo psicologo”. Lo psicologo opera al fine di conoscere, migliorare e tutelare il benessere psicologico e la salute nelle persone. Le attività che caratterizzano la professione di psicologo sono varie: prevenzione, di diagnosi, di sostegno e consulenza psicologica, di abilitazione / riabilitazione e di psicoterapia (quest’ultima può essere esercitata da psicologi e medici dopo una specializzazione quadriennale in psicoterapia).
Una persona può rivolgersi a uno psicologo per varie ragioni: ad esempio si trova di fronte a problemi quotidiani che coinvolgono casa, lavoro, università, relazioni e che stanno incidendo sul suo benessere psicologico e sulla sua qualità di vita. Insieme allo psicologo la persona esplora i suoi dubbi e le sue difficoltà relative a processi evolutivi o involutivi, fasi di transizione e di crisi. Lo psicologo, nel suo spazio di consulenza, si occupa di sostenere, motivare, abilitare o riabilitare la persona, rinforzando le sue capacità di scelta, di problem solving, e supportandola nella crescita personale e nell’empowerment.
Quindi chi va dallo psicologo? Chiunque può sentire il bisogno di andare: da chi vuole chiarire dei dubbi o problemi quotidiani, a chi è in una fase di cambiamento e vuole un supporto per orientarsi meglio in un momento particolare della sua vita, fino ad arrivare a chi ha bisogno di comprendere insieme ad uno psicologo e psicoterapeuta le caratteristiche di una difficoltà o di un suo stato di malessere importante che lo accompagna da tempo.
Ci si può andare per “curarsi” laddove presente un problema ascrivibile in una diagnosi, o si può andare per migliorare la qualità della propria vita, per prendersi cura di sé. Compiamo tante scelte al fine di “stare meglio”, “migliorare la nostra persona”, come andare dal parrucchiere, dall’estetista o in palestra. Rivolgersi a uno psicologo può essere anche un modo per tenere a se stessi, per allenare la propria vita relazionale ed emotiva.
2) Pensate che la chiusura italiana verso la psicologia sia più un fattore sociale o di eredità culturale?
Ricordiamoci intanto quali sono gli inizi della psicologia: era inquadrata come disciplina di introspezione, per far fronte al disagio e al malessere. Nasce e si sviluppa come appendice della medicina da una parte e della filosofia dall’altra. Motivo per il quale la psicologia è socialmente percepita come “meno della medicina” perché spesso non si basa su evidenze fisiologiche, ma anche come “credenza”, in quanto disciplina mediata dal “solo” strumento della parola, della relazione.
Ci sono diversi fattori che possono influire sulla chiusura italiana verso la psicologia e sia i fattori sociali sia quelli di eredità culturale giocano un ruolo importante. Nella nostra tradizione ricordiamoci che le relazioni sociali (famiglia, amici, coppia) hanno un ruolo importante nella vita della persona. Chi ci circonda tende ad essere molto coinvolto nella vita di una persona, facendo perlopiù anche da confidente. Spesso quindi, quando si ha un dubbio o un problema, si tende a cercare prima di tutto supporto dalle persone più “di famiglia”, piuttosto che consultare un professionista psicologo. Poi è anche presente il vecchio retaggio culturale per cui “i panni sporchi si lavano in casa” e quindi consultare uno psicologo può rappresentare un segno di debolezza e motivo di pettegolezzo, rispetto a qualcosa che non deve uscire dalle mura domestiche, specialmente in quei contesti sociali con una struttura patriarcale.
Un altro fattore è la percezione della parola “psicologo”, spesso associata a parole come “strizzacervelli”: questo contribuisce a creare un alone di mistero, e magari anche di timore nel chiedere un consulto a uno psicologo. E dall’altra parte, invece le persone possono avvicinarsi a figure professionali diverse, semplicemente perché il nome con cui si definiscono fa meno paura.
3) La psicologia è una scienza che in Italia sembra ancora essere non pienamente compresa, anzi spesso si sentono diversi pregiudizi a riguardo. Secondo voi qual è la percezione?
Uno dei fattori che sicuramenti incide è la mancanza di corretta informazione riguardo a cosa significhi operativamente “andare dallo psicologo”. Prima abbiamo parlato di sostegno, di supporto e di consulenza psicologica, ma spesso le persone non hanno queste informazioni e collegano “l’andare dallo psicologo” con la psicoterapia: questo riporta subito alle parole “analisi”, all’immaginario del lettino, che sono immagini ancora molto diffuse. Quindi senza dubbio c’è un forte fattore sociale, dato dall’immaginario costruito intorno alla figura del professionista psicologo.
Se da una parte la presenza di psicologi in quasi ogni serie televisiva ha contribuito a legittimare questa figura professionista, dall’altra lo ha fatto focalizzandosi solo sul ruolo clinico che uno psicologo può avere; dimenticando però decine di altri settori in cui il “professionista psi” è chiamato ad operare: dalle consulenze in ambito di benessere, al mondo dell’educazione, dalla psicologia dello sport alla psicologia ambientale.
Anche dal punto di vista scientifico, la psicologia ha una reputazione diversa rispetto ad altre discipline scientifiche; ciò accade perché le evidenze delle ricerche in psicologia devono essere ancor più contestualizzate nel mare magnum della complessità umana. Ma al pari delle altre discipline, è importante ricordarci del valore di un’accurata ricerca psicologica: una guida a livello teorico, e pratico da applicare in tutti i diversi aspetti, individuale, lavorativo, sociale e politico.
4) Alcuni enti/associazioni che si occupano di psicologia/psicoterapia hanno inserito una sorta di elenco dei pregiudizi più comuni sugli psicologi. Quali sono secondo voi e con quali avete avuto a che fare?
Di pregiudizi ce ne sono, vanno dal “ma che mi stai psicanalizzando?”, all’idea che i costi siano troppo elevati, al fatto che una consulenza con uno psicologo sia sostituibile con una chiacchierata con un amico.
Ed ecco allora che a prevalere è la paura di qualcosa che viene percepito come ambiguo e, quindi ignoto. Lo psicologo, quella strana persona in grado di leggere nel pensiero, capirti con uno sguardo, studiando e analizzando anche il minimo movimento del corpo.
Oltre ai pregiudizi sullo psicologo, può esserci anche una “barriera” all’accesso: spesso il primo contatto può non essere facile: dove cerco uno psicologo? mi faccio consigliare da un medico o lo cerco su internet? gli telefono? cosa gli dico? cosa devo chiedergli?
Un’altra idea diffusa che abbiamo riscontrato è che andare dallo psicologo significhi per molti intraprendere un “percorso” lungo, mentre è importante far passare il messaggio che la durata può essere quella di una consulenza o più, lo si stabilisce insieme al professionista in base ai propri bisogni e disponibilità.
Come disse Albert Einstein: “È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”, quindi per agire sul pregiudizio della gente, dobbiamo “cambiare” anche noi psicologi. I diversi Ordini degli Psicologi regionali sono già molto attivi per abbattere questi pregiudizi, e lanciano spesso campagne informative anche sui social network, perché la trasparenza delle informazioni è cruciale per far sì che le persone superino i pregiudizi. Anche noi stiamo agendo attivamente su questo fronte, rendendo l’accesso alle consulenze psicologiche sostenibile e smart e utilizzando una comunicazione “fresca” e contemporanea, sia sul sito che sui nostri canali social. Vogliamo aiutare le persone a superare tutti questi pregiudizi, e rendere la figura dello psicologo meno mistificata agli occhi delle persone, per diffondere l’importanza della cura del proprio benessere psicologico.
5) Uno di questi riguarda il fatto che la psicoterapia dura a lungo. Potete darci una delucidazione su cosa significa fare un percorso di questo tipo?
Anzitutto è doveroso capire cosa si intende per psicoterapia.
L’attività di psicoterapia è rivolta alla risoluzione dei sintomi, e delle loro cause, conseguenti a psicopatologia, disadattamenti, sofferenza.
L’attività di psicoterapia è esercitata dal medico o dallo psicologo che sono in possesso della idonea specializzazione, di durata almeno quadriennale (L. 56/89, art. 3): si tratta quindi di atto tipico ed esclusivo dello psicologo e del medico. (CNOP, 2015)
La psicoterapia può avere tempi diversi a seconda degli approcci, dei bisogni e delle necessità della persona. La durata viene sempre concordata con il professionista, uno psicologo o un medico specializzato in psicoterapia.
Ricordiamo però che come detto prima, andare dallo psicologo non vuol dire necessariamente intraprendere un percorso di psicoterapia. Si può aver bisogno di sostegno rispetto ad un ambito o tema della propria vita e quindi fare una consulenza psicologica. Ma anche voler far chiarezza su una propria difficoltà connessa con l’apprendimento, la comunicazione e richiedere una valutazione, o magari aver necessità di una consulenza di coppia, sessuologica o di un supporto genitoriale. Le attività che caratterizzano la professione di psicologo sono varie, così lo sono gli ambiti di intervento dei diversi professionisti psicologi e psicoterapeuti. Le consulenze psicologiche e la terapia sono “cucite su misura” sulla persona che lo richiede: avere un primo incontro con un professionista, aiuta sicuramente la persona a chiarire i suoi obiettivi e le sue necessità.
6) Spesso si sente dire di non rivolgersi a uno psicologo perché ci sono gli amici con cui confidarsi. È veramente così?
La rete di amicizie è fondamentale nella vita di una persona. Il confidarsi è una delle attività che funge da collante alla nascita e al mantenimento delle relazioni. Una confidenza può essere senz’altro utile nella comprensione di un problema. Un amico può fornirci il suo supporto, il suo spazio di ascolto genuino e questo è utile perché parlando riusciamo ad esplicitare un avvenimento emotivo. Quindi parlare consente di dare forma razionale a quell’accaduto.
Ma la confidenza è nettamente diversa da ciò che viene condiviso all’interno di una relazione con un professionista. Una confidenza può essere utile, ma un parere professionale è decisivo: spesso ci si aspetta che lo psicologo sia un dispensatore di consigli. Ma non è così. Non è bene chiamare ‘consigli’ le strumentazioni che un professionista ha a disposizione; sarebbe come chiamare ‘consigli’ gli strumenti tecnici che un idraulico ha per risolvere un guasto alla caldaia! Si ha la percezione che siano di dominio pubblico le competenze degli psicologi perché fatte ‘solo’ di parole. Ma non è proprio così. Basta provare a pensare: sono in grado di essere un idraulico? Posso sicuramente acquistare gli attrezzi giusti, saperli prendere in mano, ma poi so dove e come usarli? Ecco, lo stesso può valere con le parole.
7) Quali sono le differenze che notate maggiormente tra utenti nati prima o dopo gli anni Ottanta?
La nostra esperienza da professioniste si concentra perlopiù su un’utenza di nati dopo gli anni Ottanta. Per questo, ci confrontiamo con persone giovani, che hanno familiarizzato con i concetti di salute mentale e benessere psicologico. La rete contribuisce a diffondere informazione e, di conseguenza, la terminologia che dilaga tra i giovani è spesso connotata da espressioni verso patologie e sindromi. Basti pensare al termine “ansia” e al frequente uso che se ne fa: chi non ha mai detto di essere in ansia prima di un esame? O chi non ha utilizzato la parola ansia per intendere una sensazione di paura?
Nel bene e nel male i giovani sono più allenati ad includere questa professionalità nella loro vita. Anche il mondo dei social – che è quello che i nati dopo gli anni Novanta vivono di più – è un incredibile terreno fertile per trasmettere messaggi sociali, volti ad una sempre maggiore consapevolezza del proprio benessere psicologico. Proprio come facciamo noi portando il nostro servizio Apsicologa anche su Instagram, molti psicologi e psicoterapeuti utilizzano questi linguaggi per sentirsi più vicini alle persone.
8) Per concludere che consiglio potete dare a un ragazzo/ragazza che vorrebbe rivolgersi a uno psicologo o psicoterapeuta, ma che si blocca a chiedere aiuto perché influenzato da questi pregiudizi?
I pregiudizi sono insiti nell’uomo e certe volte ci difendono anche. Ma talvolta possono anche negare possibilità meravigliose.
Se ci si vuole rivolgere ad uno psicologo è perché si vuole intraprendere un cambiamento, piccolo oppure grandissimo. E il cambiamento fa paura. Ma l’atto numero uno del tuo cambiamento è già fare il primo passo.
Anche un piccolo supporto, che possa essere solo una o alcune consulenze psicologiche, aiutano realmente a far fronte a delle difficoltà che bloccano l’andamento della vita quotidiana o che sembrano insormontabili. E con un piccolo passo riesci a far molto per il tuo benessere, e a migliorare significativamente la tua qualità di vita.
Le cose si conoscono cambiandole. Sono le soluzioni che spiegano i problemi e non le spiegazioni che portano alle soluzioni (Nardone, Balbi, Boggiani, 2020).
Laura D’Arpa