C’è una grande falla nell’azione politica del governo relativa al contenimento del virus Covid-19 che riguarda la gestione degli istituti di detenzione.
La sicurezza nelle carceri non è ad oggi garantita. L’urgenza del problema è tale che è stata più volte ribadita anche da Papa Francesco.
Il pontefice, che già in occasione dell’Angelus di Domenica 29 Marzo aveva esortato il potere politico a prendere provvedimenti al fine di “evitare la tragedia nelle carceri”, è tornato a porre l’attenzione sulla questione della tutela dei reclusi e dei lavoratori degli istituti di detenzione dedicando loro la messa celebrata a Santa Marta lunedì 6 Aprile.
Sono state, però, soprattutto le voci degli esperti del settore a levarsi per richiamare l’esecutivo sulla necessità di varare delle misure migliori al fine di garantire la sicurezza nelle carceri.
Negli ultimi giorni, infatti, sono stati lanciati diversi appelli per chiedere di rivedere le norme adottate fino a questo momento.
L’aspetto fondamentale sottolineato da tutti è questo: dal momento che la pratica del distanziamento sociale viene indicata come misura principale di contenimento del virus, la situazione di grave sovraffollamento delle carceri italiane diventa un problema di violazione dei diritti ancora più grave rispetto a quanto avveniva in precedenza.
Secondo i dati del Ministero della giustizia, al 29 Febbraio 2020 in carcere erano detenute 61.230 persone. Tra queste vi erano 18.952 individui che non erano ancora stati raggiunti da condanne definitive. Bisogna precisare che la capienza massima delle carceri italiane è di 50.931 persone.
L’esecutivo non ha fatto abbastanza per risolvere il problema. I dati aggiornati al 20 Marzo, infatti, indicano la presenza di 59.132 persone detenute nelle prigioni della penisola. L’eccedenza, quindi, si aggira ancora intorno al 20 per cento.
All’articolo 2 del Decreto legge varato l’8 Marzo viene stabilito che i colloqui con i propri familiari, che prima si svolgevano nella forma delle visite di quest’ultimi presso gli istituti di detenzione, devono essere effettuati per via telematica. I permessi-premio per la semilibertà, inoltre, sono stati sospesi fino al 31 Maggio 2020.
A questo riguardo le associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti, come Antigone o il Coordinamento nazionale delle Cliniche legali, riportano il fatto che i soggetti nelle carceri riscontrano non poche difficoltà nella comunicazione con i propri cari.
Le misure più dibattute, però, sono quelle contenute nel D.L. 18/2020 del 17 Marzo.
All’articolo 123, infatti, si prevede che, fino al 30 Giugno 2020, quindi per un periodo limitato, coloro che hanno da scontare una pena di 18 mesi, anche residua, possono farlo presso il proprio domicilio. Questa possibilità, però, è vincolata all’obbligatorietà del controllo mediante mezzi tecnici.
L‘Associazione italiana dei professori di diritto penale (AIPDP) ha redatto una nota in cui ben si sottolinea il limite di un simile provvedimento. Il documento viene aperto dalla seguente affermazione:
Nelle attuali condizioni delle carceri non è possibile assicurare adeguatamente l’adozione delle misure
indispensabili per evitare la diffusione del coronavirus: distanza di sicurezza, igiene personale, sanificazione dell’ambiente. Sono tuttora carenti i dispositivi di protezione individuale. Si rendono pertanto necessarie misure volte ad affrontare questa situazione anche prescindere dal sovraffollamento, dato che anche in sua assenza il rischio di contagi rimarrebbe elevato: il che esige l’adozione di specifiche tutele, per i numerosi detenuti o condannati che presentino aspetti di accentuata vulnerabilità individuale all’infezione.
Il difetto principale delle misure varate dal governo, secondo l’Associazione italiana dei professori di diritto penale sta proprio nell’obbligatorietà del controllo tramite mezzi elettronici. La disponibilità delle strumentazioni per questo tipo di sorveglianza, infatti, è molto limitata e rischia di restringere significativamente l’applicabilità della norma in questione.
A questo appello per la salvaguardia della sicurezza nelle carceri si è aggiunto in data odierna quello del Coordinamento nazionale delle Cliniche Legali italiane, sottoscritto anche dall’Associazione Antigone.
Molte delle criticità riportate in tale documento sono identificabili con quelle già illustrate.
La richiesta avanzata all’esecutivo nell’appello citato è quella di rivedere, in sede di conversione del Decreto legge, alcuni aspetti della norma. Tra le modifiche proposte dal Coordinamento nazionale delle cliniche legali italiane vi è l’estensione della possibilità di scontare la condanna presso il proprio domicilio anche a detenuti con fine pena più elevati dei 18 mesi previsti nell’attuale misura del governo.
Queste le parole degli autori dell’appello:
Il Coordinamento Nazionale delle Cliniche Legali Italiane si unisce pertanto ai richiami formulati da figure autorevoli come Papa Francesco e il Presidente della Repubblica ed agli appelli promossi dall’Associazione Antigone, dall’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale e dalla Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà ai fini di chiedere che il Parlamento, in sede di conversione del d.l. 18/2020, emendi gli aspetti critici del medesimo decreto – estendendo l’ambito di applicazione della misura della detenzione domiciliare a detenuti con un fine pena più elevato, nonché restringendo le limitazioni ad oggi previste alla concessione della misura – ed incrementi le misure volte a ridurre la popolazione detentiva per prevenire la diffusione del COVID-19 negli istituti penitenziari, in accordo con le linee guida dell’OMS
È interessante citare anche la nota inviata dal Procuratore generale della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi, ai Procuratori generali delle Corti d’appello. Nel documento, che nelle intenzioni dell’autore deve rappresentare “una base per il lavoro comune”, il PG, visti anche i limiti degli strumenti forniti dall’esecutivo, invita ad intendere l’emergenza sanitaria come un “elemento valutativo”, cioè come un elemento fondamentale che deve essere preso in considerazione nell’attuale interpretazione delle leggi.
“Mai come in questo periodo”, aggiunge Giovanni Salvi, “va ricordato che nel nostro sistema processuale il carcere costituisce l’extrema ratio“.
Il governo ha finora affrontato molto poco il problema della sicurezza nelle carceri. Dopo un primo momento in cui l’attenzione era stata alta, anche a seguito delle rivolte dei detenuti, l’impressione attuale è che il Ministero della giustizia non stia facendo molto per accogliere le richieste che provengono da più parti.
Bisogna, per questo, ribadire che la questione non può e non deve essere trattata come secondaria.
Il diritto alla salute di coloro che lavorano negli istituti di detenzione deve essere garantito. Allo stesso modo devono essere tutelati i detenuti perché, è importante ricordarlo, non si cessa di essere titolari di diritti quando si varcano le soglie di un carcere.
La collettività sta attraversando un periodo molto difficile, certo, ma tra i componenti della realtà comunitaria italiana ci sono anche i detenuti, come ricordato dal Presidente della Repubblica Mattarella in una lettera a loro recentemente indirizzata.
Silvia Andreozzi