Mentre il virus avanza in tutto il mondo, l’isolamento e il distanziamento sociale diventano un obbligo in sempre più paesi. Sono miliardi ormai le persone costrette a restare in casa, e non sempre è facile. Per questo si inizia a parlare dell’emergenza nell’emergenza, ossia quella della violenza domestica. Se erano già molte le donne vittime di abusi in casa, in la quarantena la violenza aumenta.
L’aggravarsi della situazione si può ricondurre a tre motivi. Sicuramente si trascorre più tempo a contatto, e inoltre il divieto di uscire limita le scuse con cui la donna può allontanarsi per chiedere aiuto. In secondo luogo va segnalato che sui comportamenti violenti influisce in modo negativo la tensione prodotta da questa circostanza. Infine la quarantena espone di più i bambini all’atteggiamento violento.
In Italia nel 2019 più dell’80% dei femminicidi sono avvenuti in ambiente domestico. Nonostante in questi giorni notiziari e politica diano la precedenza alle vittime di coronavirus, i maltrattamenti non si sono fermati. In quarantena la violenza aumenta, e non dobbiamo rischiare di accorgercene troppo tardi.
La Cina può essere presa in esame non solo per la curva epidemica ma anche per le implicazioni sociali della pandemia. Wan Fei, ex poliziotta e fondatrice di una ONG per la difesa delle donne, ha spiegato che in Cina il numero delle vittime è duplicato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nonostante ciò le loro storie solo in pochi casi hanno avuto rilevanza mediatica. Una di queste è quella di una donna, nella regione cinese dello Shanxi, che si è gettata dall’undicesimo piano, esausta del comportamento violento di suo marito.
La politica non può occuparsi solo dei numeri del bollettino e delle questioni economiche, ma deve anche reagire alle questioni sociali. Partendo da questo presupposto i vari governi si muovono alla ricerca di soluzioni.
L’idea spagnola è quella di una parola segreta – “Mascarilla 19” – da pronunciare in farmacia per avere aiuto immediato. Il primo problema infatti è proprio quello di fornire alle donne dei canali sicuri per denunciare. Chiamare i numeri predisposti o recarsi personalmente dalle forze dell’ordine può essere per loro pericoloso.
“Mascarilla 19” è quindi il codice con cui viene avviato il processo di denuncia e quello di protezione della vittima. Importante è infatti che ogni denuncia vada in porto. Il ministro della Giustizia spagnolo ha lasciato operativi i tribunali che si occupano di violenza di genere proprio per questo.
La strategia messa in atto dalla Spagna potrebbe essere d’ispirazione per i suoi vicini europei, ma non per l’Italia. Michela Cicculli – attivista della Casa delle Donne Lucha y Siesta – aveva suggerito l’uso del codice segreto al supermercato, cioè in un posto ancora più facile da raggiungere. In un primo momento sembrava che l’opzione fosse sul tavolo, ma poi nei giorni scorsi il dipartimento per le pari opportunità ha dichiarato che “misure quali l’utilizzo di un codice “segreto” non sono state tenute in considerazione, in quanto ritenute non sicure e non efficaci per le donne.”
La ministra Bonetti, in alternativa, ha lavorato insieme alla Lamorgese per assicurarsi che l’autocertificazione non rappresenti un limite per le donne che vogliono recarsi a denunciare. In un’intervista ha esplicitamente garantito che “è vero che abbiamo detto di stare a casa, ma se la casa è un incubo – perché luogo di violenza- si deve davvero chiedere aiuto: recarsi in una struttura, telefonare al 1522 o chattare sull’app.”
In Italia se si è vittime di violenza si può infatti chiamare gratuitamente, 24 ore su 24, il numero 1522. Inoltre molti centri antiviolenza mettono a disposizioni contatti whatsapp, in modo da poter ottenere aiuto via chat. La denuncia alla Polizia può essere fatta tramite l’applicazione “Youpol”.
L’app era già in uso per denunciare gli episodi di bullismo e/o spaccio nelle scuole, fornendo in tempo reale foto e video alle forze dell’ordine. Dato che in quarantena la violenza aumenta, lo strumento è stato adattato. La peculiarità è che la segnalazione della vittima viene geolocalizzata, e questo permette agli agenti di intervenire in tempi brevi.
Nonostante ciò la situazione rimane complessa se non si garantisce che la denuncia vada in porto, e che il violentatore venga allontanato. I centri antiviolenza italiani lamentano la mancanza dei fondi, delle protezioni e di spazi dove tenere in sicurezza le vittime. Per questo la Bonetti ha annunciato l’arrivo dei 30 milioni che i centri non hanno ricevuto l’anno scorso, e ha chiesto alla Protezione Civile di dare priorità a queste strutture nella distribuzione delle mascherine.
Tuttavia i fondi – o meglio il saldo dei debiti – sembrerebbero ancora lontani. Lo testimonia Antonella Veltri – presidentessa della rete D.i.Re. che comprende 80 centri antiviolenza in 18 regioni- chiedendo che i soldi vadano diretti alle strutture senza passare per la regione.
In quarantena la violenza aumenta ma le denunce continuano a diminuire. Questo ci porta a pensare che gli stumenti adottati non sono sufficienti.
Secondo Telefono Rosa le denunce nelle prime due settimane di marzo sono -47.7% rispetto all’anno precedente. D.i.Re. ha notato una diminuzione del 50% delle chiamate. Al contrario invece i centri per uomini violenti, attivi via Skype, testimoniano di avere nuovi arrivati.
Il calo delle denunce è dovuto in primo luogo al timore di essere scoperte e punite dal maltrattante. Influisce però anche, secondo le attiviste, la paura di dover restare a casa con l’uomo anche dopo l’intervento delle autorità. L’altra problematica da risolvere è infatti quella degli alloggi per le vittime.
La fondazione Pangea segnala che molte case-rifugio sono già piene, e altre non possono accogliere perché potrebbero compromettere la salute degli ospiti. La questione è arrivata alle istituzioni. La ministra Lamorgese ha chiesto ai prefetti di cercare e mettere a disposizione strutture per le vittime di violenza.
Marika Moreschi