Come i suoi predecessori, anche il Presidente Giuseppe Conte ha deciso di affrontare il tema dell’Italia in Europa per riconquistare un ruolo degno del suo titolo di fondatore dell’Unione.
Qui c’è un appuntamento con la storia. L’Europa deve dimostrare se è all’altezza di questa chiamata (…) Mi batterò fino all’ultima goccia di sudore, fino all’ultimo grammo di energia per ottenere una risposta europea, forte, vigorosa, coesa.
Sabato sera il Presidente Giuseppe Conte ha illustrato, come di consueto, manovre e sviluppi per il piano di contenimento dei danni provocati dall’emergenza Covid-19. Affiancato dal Ministro per l’Economia Gualtieri, Conte ha risposto anche alle domande dei giornalisti sui principali temi settimanali. Come prevedibile, il braccio di ferro con l’Europa sui temi economici e finanziari per fronteggiare la crisi è stato l’argomento più caldo della conferenza. Una dichiarazione decisa quella fatta da Giuseppe Conte, dimostrando di voler affrontare la sfida dell’Italia in Europa.
“A tu per tu con l’UE”
Non è certamente la prima volta che un Presidente del Consiglio dei Ministri si trova a fronteggiare un dibattito diplomatico. Con l’evoluzione degli equilibri nella Zona Euro e il ripercuotersi della crisi finanziaria mondiale su alcuni Stati membri, l’Unione appare essere terreno per una guerra di trincea. Il rigore imposto da grandi potenze centro e nord europee a Paesi mediterranei, ha inciso in maniera differente a seconda del contesto e delle sue difficoltà.
Il tramonto dell’era Berlusconi e l’alba del profilo di “responsabilità” montiano, hanno drasticamente influito sulla situazione italiana interna e sui rapporti con i partner europei. Il momento di cesura del 2011 non è che però solo un passaggio nel progressivo peggioramento della posizione italiana a Bruxelles. Un’involuzione alla quale hanno contribuito tanti fattori nel corso degli anni e che nessun primo ministro italiano è mai riuscito davvero a fermare. A seguire gli anni di governo del Cavaliere di Arcore, la dottrina del “lacrime e sangue” tese al raggiungimento dello status di “scolaro virtuoso” e apprezzato dai Membri rimasti quasi indenni alla crisi finanziaria. La necessità di uscire dalle sabbie mobili create da anni di malgoverno avevano così condotto il Paese alla scomoda posizione di attore gregario. Un ruolo che personalità più moderate come Letta e Gentiloni hanno approcciato con pragmatismo e consapevolezza delle carenze italiane.
L’immagine di un’Italia debole nei confronti di un’Europa conservatrice, forte, ha dato la possibilità alla destra di Salvini e Meloni di attaccare le maggioranze, chiedendo a gran voce di rialzare la testa. Un approccio da campagna elettorale perpetua che continua ancora oggi, a discapito della reale condotta a livello continentale delle due realtà sovraniste.
Il dilemma della doppia faccia
Se gli equilibri a Bruxelles e Strasburgo sono estremamente favorevoli all’idea di Unione basata sul rigore imposto e il rifiuto di una flessibilità di fronte alle difficoltà, l’immagine in politica interna doveva apparire differentemente. Berlusconi, prodigatosi per anni nel mostrare alla nazione il rapporto con l’amministrazione Bush e quello con le altre realtà conservatrici occidentali, provò a dipingere le relazioni con la nascente Germania del rigore quale fiero asse d’intesa diplomatica. Un tentativo audace, naufragato sugli aguzzi scogli del rigore. Senza dimenticare i coloriti e volgari epiteti dell’ex-presidente alla cancelliera.
A distanza di qualche anno, un altro leader carismatico provò nell’ardita impresa. Anche Matteo Renzi provò, senza riuscire nell’impresa, di sostenere il proprio operato, trasmettendo l’idea di un’Italia più forte, grazie al lavoro svolto per dimezzare il fantomatico spread e rispettare i dettami d’austerità. La posizione del Paese dopo gli anni di sacrifici avrebbe consentito al governo di far breccia nell’arcigna retorica nord-europea e far spazio alla collaborazione. Anche in quella fase, il tentativo di portare il Paese verso un’autorevole futuro nelle istituzioni fallì e la disparità rimase.
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Conte e la sfida con una storia di emergenza
Siamo quindi giunti a una nuova speranza? A prima vista potrebbe sembrare. Giuseppe Conte ha mostrato di potersi fare largo tra le mille avversità postesi sul suo cammino nelle due esperienze di governo. La prontezza d’intervento con la quale il Consiglio dei Ministri ha saputo approcciare l’emergenza Covid-19 ha ulteriormente favorito il consolidamento della sua immagine. La scelta di parole di sabato sera è certamente corretta sotto tanti punti di vista. Un modo chiaro e semplice per mettere retoricamente il fronte contrario alla creazione di fondi europei condivisi davanti alla inderogabile sfida. Siamo chiaramente di fronte ancora una volta a un crocevia per l’UE.
Potrebbe essere la consacrazione finale di Conte. A frapporsi tra il Presidente e l’obiettivo è però un fattore comune al passato. Da anni ormai questa UE appare sempre di più quale terreno di conquista per forze politiche animate da antichi sentimenti coloniali di soggiogamento del vicino. Uno scacchiere dove finanza e politica si stringono la mano per farsi spazio in un mondo che ha superato i secoli di eurocentrismo. Questo potrebbe impedire a Conte, come ai suoi predecessori, di vincere la sfida contro la cieca mentalità nord-europea del rigore e del capitale.
Fabio Cantoni