Dopo aver bloccato le attività sportive in tutto il mondo, l’emergenza Coronavirus, ha pregiudicato anche il regolare svolgimento dei prossimi Giochi Olimpici. Infatti, il Comitato Olimpico Internazionale convinto dal primo ministro giapponese Shinzo Abe, ha deciso per il rinvio. Anche se c’è da aggiungere, che Australia e Canada avevano già annunciato il boicottaggio.
Questo quanto dichiarato dal Cio:
“I Giochi sono rinviati al 2021, non oltre l’estate, per salvaguardare la salute degli atleti e di tutti i partecipanti”.
Inoltre, come riferito dal governatore della capitale giapponese:
“L’Olimpiade manterrà il nome di Giochi olimpici e paralimpici Tokyo 2020″.
E il premier giapponese Abe, ha così commentato:
“I Giochi dell’anno prossimo saranno la testimonianza della sconfitta del virus”.
Intanto la fiamma olimpica rimarrà in Giappone, dove giovedì sarebbe dovuta partire da Fukushima.
La storia si ripete, con un denominatore comune: la Cina
Questo scenario riporta il Giappone indietro di 80 anni, al tempo della XII edizione dei Giochi Olimpici, che si sarebbe dovuta svolgere dal 21 settembre al 6 ottobre 1940, ma che non fu mai disputa. Oggi così come allora, c’è un unico denominatore comune in: la Cina.
Il paese nipponico dopo la grandissima crescita dal punto di vista industriale e militare di fine Ottocento, a partire dagli anni Trenta del XX secolo, comincia a balzare agli onori della cronaca anche per le sue imprese sportive. Infatti, il Giappone ai Giochi di Los Angeles 1932 riuscì a conquistare sette ori, sette argenti e quattro bronzi, mentre nel 1936 a Berlino, nel medagliere si annoverarono sei ori, quattro argenti e otto bronzi. Inoltre, già dall’edizione americana del 1932, i giapponesi cominciarono a lavorare per portare la rassegna a Tokyo e ci riuscirono per l’edizione del 1940, battendo la concorrenza finlandese con 36 voti a 27.
Grazie a questa assegnazione, la capitale del Giappone diventò una città in fermento pronta a cambiare pelle, per ospitare l’evento sportivo più grande della sua storia. Questo, almeno, fino alla notte tra il 7 e l’8 luglio del 1937, data dell’incidente del “Ponte di Marco Polo”, l’evento che fece da detonatore alla Seconda Guerra sino-giapponese. Nonostante ciò, sull’accaduto le versioni si contrappongono, in quanto da un lato c’erano i nipponici che presupponevano si trattasse di un attacco cinese, dall’altro questi ultimi accusarono i giapponesi di aver inscenato l’accaduto, proprio per legittimare la propria influenza in Cina.
Il Giappone rinunciò definitivamente a Tokyo 1940
Dopo aver bloccato le attività sportive in tutto il mondo, l’emergenza Coronavirus, ha pregiudicato anche il regolare svolgimento dei prossimi Giochi Olimpici. Infatti, il Comitato Olimpico Internazionale convinto dal primo ministro giapponese Shinzo Abe, ha deciso per il rinvio. Anche se c’è da aggiungere, che Australia e Canada avevano già annunciato il boicottaggio.
Questo quanto dichiarato dal Cio:
“I Giochi sono rinviati al 2021, non oltre l’estate, per salvaguardare la salute degli atleti e di tutti i partecipanti”.
Inoltre, come riferito dal governatore della capitale giapponese:
“L’Olimpiade manterrà il nome di Giochi olimpici e paralimpici Tokyo 2020″.
E il premier giapponese Abe, ha così commentato:
“I Giochi dell’anno prossimo saranno la testimonianza della sconfitta del virus”.
Intanto la fiamma olimpica rimarrà in Giappone, dove giovedì sarebbe dovuta partire da Fukushima.
La storia si ripete, con un denominatore comune: la Cina
Questo scenario riporta il Giappone indietro di 80 anni, al tempo della XII edizione dei Giochi Olimpici, che si sarebbe dovuta svolgere dal 21 settembre al 6 ottobre 1940, ma che non fu mai disputa. Oggi così come allora, c’è un unico denominatore comune in: la Cina.
Il paese nipponico dopo la grandissima crescita dal punto di vista industriale e militare di fine Ottocento, a partire dagli anni Trenta del XX secolo, comincia a balzare agli onori della cronaca anche per le sue imprese sportive. Infatti, il Giappone ai Giochi di Los Angeles 1932 riuscì a conquistare sette ori, sette argenti e quattro bronzi, mentre nel 1936 a Berlino, nel medagliere si annoverarono sei ori, quattro argenti e otto bronzi. Inoltre, già dall’edizione americana del 1932, i giapponesi cominciarono a lavorare per portare la rassegna a Tokyo e ci riuscirono per l’edizione del 1940, battendo la concorrenza finlandese con 36 voti a 27.
Grazie a questa assegnazione, la capitale del Giappone diventò una città in fermento pronta a cambiare pelle, per ospitare l’evento sportivo più grande della sua storia. Questo, almeno, fino alla notte tra il 7 e l’8 luglio del 1937, data dell’incidente del “Ponte di Marco Polo”, l’evento che fece da detonatore alla Seconda Guerra sino-giapponese. Nonostante ciò, sull’accaduto le versioni si contrappongono, in quanto da un lato c’erano i nipponici che presupponevano si trattasse di un attacco cinese, dall’altro questi ultimi accusarono i giapponesi di aver inscenato l’accaduto, proprio per legittimare la propria influenza in Cina.