“Casa dolce casa”…anche ai tempi dell’ #iorestoacasa? Il Covid-19 sta mettendo alla prova molte delle nostre certezze, e mai come oggi niente sembra più essere scontato. Neanche lo spazio della vita quotidiana, quello della nostra casa.
Perché in tempi di quarantena bisogna restare, resistere, mai arrendersi. E mentre c’è chi questa guerra la combatte in ospedale, per strada, negli uffici, la nostra casa diventa la trincea di ogni giorno. Sta a noi prendere in mano le armi giuste, e cercare di non sbagliare neanche un colpo. Ma conosciamo davvero le quattro mura che delimitano il nostro territorio? Il filosofo francese Gaston Bachelard ne traccia una carta d’identità accurata, e approfondita, in ogni suo dettaglio. E innanzitutto la elegge spazio poetico.
Ne “La poetica dello spazio” la casa è il luogo in cui il mondo della realtà e quello dell’immaginario si fondono, comunicano e possono dare vita a esperienze meravigliose. Esperienze in cui cercare conforto e scoprire i luoghi della poesia. Secondo Bachelard la casa è un luogo privilegiato, fecondissimo per la rêverie, quello stato della coscienza che si traduce in immaginazione e si concretizza nella libertà di fantasticare. Che quando tutto manca, è quello che serve.
Dalla cantina alla soffitta (per chi ha la fortuna di averle entrambe) il nostro angolo di mondo diventa il nostro universo. Perché ogni spazio veramente abitato diventa vissuto. Stabile, come l’architettura che lo sorregge. Struttura portante della casa e di chi la abita. Il tetto, che ripara dalla pioggia e dal caldo, può scalfirsi, ma non si spezza né trema. La cantina nasconde i segreti e custodisce i ricordi. È spazio di sotterfugi, ma al tempo stesso rifugio. La casa è il luogo della tranquillità e della pace: più fuori è pericoloso, più dentro è sicuro. Difende senza combattere.
Aprire la porta significa lanciarsi verso la libertà, chiuderla rimanere entro la soglia della sicurezza, “in cui vivere deliziose ore di tristezza e attesa”.
Perché esiste un tempo per girare le chiavi e chiudere le porte, e uno per aprirle attraverso le maniglie. Uscire ed entrare, non necessariamente in realtà concrete, ma anche e soprattutto in spazi in cui creare e condividere diventano la stessa cosa.
E il passo dalla geometria architettonica alla licenza poetica è breve. Dal piccolo nido di una camera si può immaginare di dominare il mondo semplicemente mettendo un po’ d’ordine nei cassetti, e magari anche dentro noi stessi. Secondo Bachelard, in particolare, nell’atto di accarezzare i mobili si creano legami che dal passato arrivano al presente: curando un oggetto è come se si replicasse il lavoro che lo ha prodotto, come se ci si riavvicinasse un po’ all’origine. Che poi forse è quello di cui abbiamo bisogno in questo periodo.
Ripristinare i legami, attraverso le semplici routine quotidiane. Riscoprirli, valorizzarli e prendercene cura. Perché quando arriva la tempesta portata dal vento, o l’aggressione portata dall’uomo, la casa diventa il simbolo della resistenza, “capace di difendersi senza avere in animo di attaccare”. Una protettività simile a quella genitoriale: adulta, consapevole, educatrice. Che insegna a difendersi, se pur nella solitudine, attraverso il coraggio. E a vincere la paura.
Quando fuori l’universo è freddo e inospitale, la casa deve essere un invito a non cedere. A rivalutare quello spazio di intimità, protezione e consolazione che spesso non si avverte. Ma che a volte basta rispolverare un vecchio album di fotografie per rivalutare. Uno spazio architettonico o immaginario, da trovare sempre allo stesso posto. Lì dove il camino fuma, la luce è accesa, e dietro la porta c’è qualcuno che ti aspetta.
Emma Calvelli