Mentre in Italia il numero di contagi sale vertiginosamente e la sanità lombarda si muove a carponi su un letto sfiancante che sembra non finire, la Cina si impettisce mostrando fiera i primi risultati delle misure contenitive attuate nel Paese.
Lo scorso 10 marzo, in Cina, grazie alla quarantena collettiva, si è toccato il minimo numero di contagi dall’inizio della pandemia. Diciannove contagi, di cui solo due arrivati dall’estero, gli altri tutti di Wuhan.
Riscatto per Xi
Colpo di riscatto per il presidente cinese, Xi Jinping, che allo scoppio dell’epidemia aveva tentato di nascondere sotto l’opaco tappeto della censura ogni informazione riguardante il nuovo coronavirus, sollevando numerose critiche. E, di fatto, questo ha rappresentato almeno all’inizio un grosso scivolo preferenziale alla diffusione del CoVid-19. Nelle settimane successive, tuttavia, il presidente cinese ha cambiato strategia. Sia sul fronte interno sia su quello estero. Ha cominciato a condividere informazioni con il resto del mondo come in una sorta di annullamento retroattivo freudiano. Ma, soprattutto, da morbide pacche sulle spalle al virus è passato al pugno di ferro per fermarne l’avanzata. Mentre in Europa osservavamo la situazione ancora stupiti, la Cina blindava intere città. Nessuno poteva entrare, nessuno poteva uscire.
O la privacy o la vita
I risultati ottenuti oggi dalla Cina sono i figli di una dittatura distopica e orwelliana in cui la non-scelta è tra privacy e la vita, propria e dei propri familiari. Per contenere il virus – alias controllare la popolazione – la Cina ha sfruttato intensivamente il suo ecosistema digitale profondamente diverso dal nostro. In superficie, sembrano cambiare soltanto i nomi. In Cina non usano come motore di ricerca Google, ma Baidu. Le persone non chattano su Whatsapp, ma su WeChat. In Cina, anche Amazon è posto in secondo piano: usano Alibaba. Ad un livello d’analisi più approfondito, però, ci si accorge come in realtà questi colossi digitali cinesi vivono in simbiosi connivente con il regime comunista del Paese. Proprio da queste aziende, malate di scopofilia digitale, è arrivato il rinforzo decisivo nella lotta al coronavirus.
Attraverso la profilazione e mappatura di ogni singolo cinese, ottenuta da una massiccia raccolta di dati registrati dagli smartphone, la Cina ha potuto mostrare al mondo la sua coda di pavone mentre dietro costringeva i suoi abitanti ad essere trattati come vacche col cartellino di riconoscimento.
“Sei sano?”
Nelle decine di città cinesi in cui le strade si svuotano e le case si gonfiano per la quarantena, le autorità cinesi hanno messo a punto un programma di contenimento in accordo con il gigante tecnologico Alibaba. Il programma si chiama Jiankangma, che vuol dire “Sei sano?”. Ad ogni cittadino il programma assegna un QRcode da cui dipenderanno le sue sorti. Il codice identificativo decide se puoi girare liberamente o se devi andare incontro alla quarantena. Sul verdetto, aggiornato ogni paio d’ore circa, pesano soprattutto i recenti spostamenti.
Chi proviene dalla regione dello Hubei e potrebbe essere infetto, si vede recapitato un codice rosso: quarantena domiciliare per 14 giorni. Chi, vivendo, è entrato in contatto con persone infette – il sistema lo sa, tu no – si vede attribuito un poco radioso codice giallo. In questo caso: quarantena di 7 giorni. Se, per caso, magari mentre stai recandoti a fare la spesa, sosti ad un semaforo vicino a qualcuno con il codice giallo, rischi che il tuo codice per osmosi cambi colore in giallo. Il programma, tuttavia, non è infallibile. In tutti i negozi aperti per entrare è richiesto un codice verde, ma per superare i controlli a volte basta mostrare lo screenshot di un codice verde.
Socialgoritmi
Al di là però degli aspetti tecnici, il programma cinese per contenere il virus solleva più di un interrogativo. Il destino delle persone, giovani o vecchie che siano, è tutto nelle mani di un Grande Fratello invisibile che, ironia della sorte, abita proprio negli smartphone tenuti sui palmi dagli utenti cinesi. Se questo è giustificabile per i cinesi, secondo cui gli interessi della società vengono prima di quello degli individui, non lo è per noi che viviamo in Europa, ampolla dei diritti umani e devota all’individualismo. Al prezzo della libertà, i cinesi vivono in uno Stato che garantisce per loro un pragmatismo sociale nel quale l’individuo è solo un tassello per riempire un puzzle sociale dai contorni opachi.
La Cina ci mostra, in una campana di vetro smerigliato, come lo Stato possa rendersi artefice di uno scippo massivo di dati e utilizzarli per governare i suoi cittadini. L’esperienza cinese, infine, ci insegna come non dovremmo trattare i nostri cittadini. Prendergli libertà, restituendogli una vaga ciotola di sicurezza.
Axel Sintoni