Il 15 marzo è la Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, nata nove anni fa per sensibilizzare le persone su un problema tanto diffuso quanto troppo spesso dimenticato: i disturbi del comportamento alimentare (DCA).
Mia figlia Giulia aveva 17 anni quando è morta di bulimia. Era il 15 marzo del 2011.
Così racconta Stefano Tavilla, fondatore dell’Associazione Mi Nutro di Vita, istituita a Genova pochi mesi dopo la sua scomparsa affinché “non ci siano altri figli che muoiono quando potevano essere salvati”.
Intorno a Stefano si sono raccolti tanti amici, che insieme percorrono un sentiero costellato di obiettivi sociali concreti: oltre alla divulgazione e all’informazione sul tema, si punta a creare reti tra individui, famiglie e associazioni, per favorire confronto e reciproco aiuto.
La Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla dall’anno scorso è riconosciuta dalla legge.
Abbiamo presentato la prima petizione popolare nel 2012. Dopo varie proposte di legge, nel 2019 finalmente il Ministero della salute è intervenuto in via ufficiale con un decreto.
Così continua Stefano. Un grande passo in avanti: mentre la percentuale di coloro che soffrono di DCA aumenta, non diminuiscono i pregiudizi intorno alla questione. Uno dei più radicati è che si tratti di un problema prevalentemente (se non esclusivamente) femminile.
Il disturbo alimentare è prima di tutto un disturbo della comunicazione: arrivi al punto in cui non riesci più a esprimerti con la voce, e allora inizi a farlo con il corpo.
Spiega Sebastiano Ruzza, filosofo biellese, che dall’anoressia nervosa è uscito dopo un lungo iter di ricoveri: la sua esperienza ora è racchiusa nel libro Corri, corvo, corri (Undici), che si intitola come la frase con cui spesso veniva bullizzato ai tempi del liceo. L’anoressia maschile esiste ma spesso è più difficile da accettare, perché l’uomo è in questo caso vittima di un paradosso sessista al contrario.
Sono stato anoressico dal 2006 al 2012. Molti medici, però, non riconoscevano la mia malattia. Facevano diagnosi sbagliate, oppure mi isolavano dal gruppo di pazienti in cura: sostenevano destabilizzassi il gruppo, perché ero l’unico uomo.
Dopo aver lottato e vinto contro il disturbo, Sebastiano ora è in prima linea contro il pregiudizio. Socio di “Mi nutro di vita” nel distaccamento biellese, oggi racconterà la sua storia durante la conferenza “Anche un uomo”, trasmessa in diretta streaming (dalle 15.30) sulle pagine Facebook e Instagram dell’Associazione.
L’emergenza COVID-19 ci impone misure che provocano un senso di solitudine diffuso. Nelle persone malate di un disturbo alimentare tutto questo può diventare insostenibile: e allora #coloriamocidililla insieme, anche se #stiamoacasa.
Chiara Dalmasso