Alla luce degli ultimi avvenimenti legati al Coronavirus nel Sud Italia, vorrei approfondire il discorso dedicando qualche rigo a una faccenda ormai nota.
Il totale disinteresse per le esigenze del Mezzogiorno porta alle problematiche di cui oggi veniamo a conoscenza, come per esempio la mancanza di una stabilità sanitaria; la fuga dalla Lombardia ha portato a rientri inaspettati su tutto il territorio e per il Sud Italia è una corsa contro il tempo.
I numeri non sono confortanti: in media, il Paese spende 1.800 euro per il controllo sanitario, cifra minima se si pensa ai 2.800 medi dell’UE. Il Mezzogiorno riscontra il 35,6% delle famiglie che vorrebbero ricevere aiuto, ma solo il 12,5% viene accontentato; il Sud ha il più elevato tasso di emigrazione ospedaliera verso le regioni del Centro-Nord.
Eppure, oggi come oggi, l’emergenza è in tutta Italia: di fronte al virus, siamo un Paese “unito”, in quanto le difficoltà sono le medesime.
I timori sono tanti. Il temperamento dei pazienti muta di giorno in giorno, la pressione si fa sentire: all’ospedale Cotugno di Napoli, un uomo presentava sintomi febbrili ed era in attesa del tampone; in conclusione, il suddetto si è spazientito, è andato in escandescenze e ha sputato contro la dottoressa e l’infermiere – i quali tentavano di calmarlo. Risultato: i due sanitari sono stati posti in quarantena.
Senonché, il discorso ruota continuamente attorno alla paura, disorientamento, reazione di pancia; non è azzardato il parallelo con la comunità fuggita da Milano in preda al panico. La logica ferrea che dovrebbe trattenerci nelle nostre abitazioni non può colmare gli errori dell’istinto; idem per chi non comprende a pieno il proprio status e si arroga il diritto di sputare sul personale ospedaliero.
Di base, la radice del problema resta un senso civico altalenante, rappresentante gran parte del popolo italiano, senza distinzione di cultura regionale.
Come sovrascritto, attualmente e per forze di causa maggiore, siamo un Paese unito. Le differenze sono poche, ma mi permetto una piccola parentesi sul Mezzogiorno: dati che confermano l’incuria dello Stato, la diffidenza culturale maturata in qualche decennio; un Paese disinteressato alle problematiche di una porzione del proprio territorio.
Problematiche che oggi presentano il conto da pagare. Perché oggi, in Italia, si muore; e con ritardo, si comprende la sufficienza con cui non ci si è posti il problema di proteggere omogeneamente il proprio territorio.
Il Mezzogiorno, ultima ruota del carro da decenni, accusa la totale indifferenza dei propri connazionali, della propria politica, nonché quel briciolo di razzismo che mai è mancato; si parte da un titolo di giornale, si finisce per tornare indietro di 60 anni, ai tempi delle grandi migrazioni post guerra verso Torino. Oggi la situazione non è mutata: già dallo scorso anno, due milioni di meridionali si spostavano verso le floride regioni del Nord; un flusso che avrebbe dovuto parlare già da sé. L’ultima spiaggia per una bella fetta del Paese, le cui ambizioni mirano al raggiungimento di un’unica differenza concettuale: le opportunità del Nord, la povertà del Sud.
Il 2020 è ancora l’anno delle distinzioni. L’emergenza Coronavirus ci rende omogenei, almeno all’apparenza.
E poi? Quando tutto sarà finito, cosa accadrà? Ci si riscoprirà italiani, insieme, uniti? O tornerà il momento dei futili paragoni, tentando di giustificare le proprie noncuranze, le problematiche di un Paese da sempre disunito, che specula sulle etichette sociali piuttosto che individuare il bandolo della matassa ? Chi farà finta di nulla, al prossimo giro? Chi sarà il primo a chiamarli “terroni”, ancora una volta?
L’unica testimonianza dell’Unità d’Italia è ormai il libro di storia.
Eugenio Bianco