Il giorno dopo la visita a Nikko si riparte: destinazione Koyasan e Kyoto. Prepariamo un bagaglio a mano leggero ed essenziale, anche perché dovendo cambiare due treni, una metropolitana e una funicolare, nessuno ha voglia di trascinarsi una valigia lungo una montagna, per quanto sacra possa essere.
Il cielo è azzurro sopra Tokyo (cit.), così dopo una “ricca” colazione a base di cornetti microscopici e unti, caffè osceno e un piatto di spaghetti di soia alla piastra mangiato per la disperazione, si va a prendere il treno. Grazie al pass ferroviario possiamo salire su ogni tipo di treno, compreso lo shinkansen (l’equivalente di un frecciarossa), che ci porterà da Tokyo ad Osaka in meno di tre ore. L’unica seccatura è data dai numerosi tornelli, dove bisogna mostrare il pass (qui una testimonianza video) di continuo. Il treno, prima di partire, viene accuratamente pulito e solo dopo ci si può imbarcare. A bordo sono presenti delle aree fumatori che, dato il divieto di fumo onnipresente, vengono salutate come una benedizione. Dopo qualche ora arriviamo ad Osaka: lasciati i bagagli pesanti al deposito della stazione, siamo pronti ad affrontare la montagna!
Arriviamo alle 15 circa al monastero: subito ci vengono assegnate le ciabatte di ordinanza (non si può entrare con le scarpe) e ci viene mostrata la stanza. Questa è un tuffo nella tradizione dell’abitare giapponese, con porte e pareti in carta e legno riccamente decorate e tatami sul pavimento. Lasciati i bagagli, il monaco ci invita poi a seguirlo nella sala della meditazione, a cui parteciperemo anche noi. La meditazione buddista è un procedimento tanto semplice quanto efficace: seduti a terra («bisogna stare comodi, altrimenti una posizione dolorosa distrae») bisogna tenere gli occhi socchiusi e concentrarsi sul proprio respiro. Si inizia respirando normalmente con naso e bocca, poi bisognerà svolgere tutte le operazioni solo con il naso contando i respiri. Vanno contati da uno a dieci, per poi ricominciare. Potrebbe sembrare una sciocchezza, eppure è stato efficace. Per mezzora il mondo è rimasto fuori dalla sala, tutte le preoccupazioni erano state accantonate. Sorprendente.
Finita la meditazione, è già ora di cena (le 17:30!). I monaci ci conducono alla saletta privata dove “ceneremo” (ogni ospite/gruppo ha una saletta riservata), in cui è già stato allestito tutto. La cena consiste in una serie di coppette formato mignon piene di brodo vegetale, ognuna diversa. In una galleggiano due (si, due) funghi microscopici, in un’altra degli spaghetti di soia, in un’altra ancora due (rigorosamente due) baccelli di soia, e altre amenità che non starò a descrivere per non turbarvi l’appetito (sempre due per coppetta). A parte, vi è una enorme pentola piena di riso bianco, rigorosamente incollato e scondito, come accompagnamento per le zuppette. Infine, come bevanda, il te (ma si può avere anche l’acqua). Si mangia solo per la fame, dato il delicato sapore di cartone di molti piatti. Finita la “cena”, i monaci ci propongono di fare un tour guidato del cimitero del paese, ricco di leggende e fascino. Accettiamo senza esitazione.
Il monaco che ci guida sembra un androide difettato: deve aver imparato tutte le spiegazioni a memoria, e quando sbaglia una parola deve ricominciare da capo l’intera frase. Tuttavia, l’atmosfera notturna del cimitero (le fiaccole, una leggera nebbiolina) contribuisce a farci entrare nella giusta predisposizione, cosicché la visita diventa piacevole, nonostante le battute stile “Made in Sud” del monaco. Ci spiega che nei cimiteri viene seppellito solo l’osso della gola del defunto (il più importante nella tradizione buddista), mentre il resto del corpo è cremato e sepolto nel tempio più vicino alla casa del defunto. Il cimitero è come un grande parco, lungo qualche chilometro, ricco di alberi, ponticelli, torrenti e scale. Non fosse un cimitero, sarebbe anche bello. Ogni volta che vi sono dei gradini il monaco ci ricorda ridendo di non inciampare, altrimenti si morirà di lì a tre anni. Il gruppo è numeroso, e io non avevo mai visto tanta gente toccarsi in contemporanea. Comunque, dopo un paio d’ore arriviamo alla fine del tour, al tempio in fondo al cimitero. Il monaco ci spiega che lì dentro vive un altro monaco – che dovrebbe avere circa novecento anni – che però nessuno ha mai visto perché è barricato dentro a meditare. Bisogna fidarsi sulla parola. Solo un altro monaco era entrato, circa cinquecento anni prima, per tagliargli barba e capelli che lo avevano ricoperto completamente. Ecco a chi si sono ispirati per il personaggio del Maestro in “Esplorando il corpo umano”. Dopo quest’ultimo racconto il monaco ci congeda: la visita è finita, andate in pace e occhio agli scoiattoli volanti, alè!
Usciti dal cimitero, torniamo al monastero affamati (dopotutto avevamo cenato solo con un paio di zuppette, e pure piccole!), perciò ci mettiamo alla ricerca di un combinì (i piccoli supermercati giapponesi, che hanno anche un reparto rosticceria buono ed economico). Dopo alcune ricerche riusciamo a trovarlo, imboscato in una via secondaria della città, e diamo inizio al saccheggio. Santo combinì, mai benedetto abbastanza nel corso del viaggio. Nel mentre si è fatta una certa, per cui torniamo al monastero prima che ci chiudano fuori. I monaci avevano preparato il futon, il letto a terra tradizionale, sorprendentemente comodo. La mattina dopo sveglia alle 6, si assiste alla cerimonia del fuoco (si bruciano i nomi dei defunti incisi su tavolette di legno, pregando per loro) e dopo partenza. Si va a Kyoto, l’antica capitale imperiale.
Dopo una sosta ad Osaka di qualche ora, in cui riusciamo a provare la famosa polpetta di Marrabbio (l’okonomiyaki, davvero eccellente), arriviamo a Kyoto.
Qui, a differenza delle altre grandi città giapponesi, si è mantenuto una sorta di centro storico, dove si trovano le case delle geishe, templi e case più modeste in legno, tanto che, mettendovi piede, sembra di fare un tuffo nel Giappone d’epoca pre-Meiji. Per le strade del quartiere troviamo numerose persone vestite in abiti tradizionali, oltre ad alcune geishe che riusciamo a fotografare.
Le geishe, nonostante le leggende metropolitane che le accompagnano, non sono delle prostitute d’alto bordo: in realtà, esse sono prese in carico fin da bambine da famiglie che pagano i loro studi da geisha (l’arte del trucco, della pettinatura, e poi canto, danza e letteratura). Una volta finita la loro educazione, le famiglie offrono delle cene private molto costose in compagnia delle geishe, che in questo modo ripagano le famiglie che ne hanno pagato l’educazione. Insomma, quello che si legge in “Memorie di una geisha” di licenzioso è certamente vero, ma molto minoritario. Incontriamo anche alcuni occidentali vestiti con il kimono, che fanno la loro pagliaccesca figura. Poi uno dice che gli stereotipi sugli occidentali ottusi non siano veri.
I templi di Kyoto sono bellissimi, ma un filino impegnativi da raggiungere, trovandosi tutti in collina (da scalare rigorosamente a piedi). Tuttavia, una volta raggiunta la cima, il panorama ripaga sempre abbondantemente della fatica. Assolutamente da non perdere il tempio di Kiyomizudera e quello di Kennin-ji.
Quest’ultimo, dedicato agli dei dei tuoni e del vento, nella sala principale ospita un meraviglioso disegno di Koizumi Junsaku, realizzato in occasione dell’800° anniversario del Kennin-ji, oltre ad un immenso giardino zen. Visitiamo inoltre Nara (50 km circa da Kyoto), altro sito patrimonio UNESCO, famosa per il tempio Todaiji, dove si trova una delle statue di Buddha più grandi del Giappone. A fianco della statua si trova poi una colonna con un buco alla base: si dice che chi riesca ad attraversarlo raggiunga più in fretta l’illuminazione; tuttavia, è sempre un buco a dimensione giapponese, quindi gli occidentali in grado di entrarci scarseggiano, e il rischio di incastrarsi molto alto. Peccato.
La peculiarità del tempio rimane comunque il parco circostante, dove vivono numerosi cervi che cercano di convincere i turisti a comprare loro del cibo dalle bancarelle. I cervi non sono aggressivi, però alcuni cartelli mettono in guardia (soprattutto le vecchiette e le bambine) dal rischio di essere incornate o borseggiate dai cervi. Quindi noi siamo al sicuro.
Tornati a Kyoto, ci rendiamo conto che i quattro giorni di permanenza sono già finiti. L’indomani si ripartirà per Hiroshima, si è già a metà del viaggio, eppure sembra di non aver fatto in tempo a vedere niente. Ma non importa. La felicità di essere qui sovrasta ancora tutto il resto.
Fine seconda puntata.
Lorenzo Spizzirri
Leggi la prima puntata qui.