L’11 marzo 2020 la Lituania festeggia trent’anni dalla restaurazione dell’indipendenza. L’evento è significativo per l’intera Europa. Si celebra, infatti, il principio di libertà e di autodeterminazione dei popoli, in particolare dei piccoli popoli.
Lituania: la prima nazione sovietica a staccarsi dall’Urss
L’11 marzo 1990, il Soviet supremo della RSS lituana dichiarò l’indipendenza del Paese dall’Unione Sovietica.
Nel gennaio del ‘91, l’Urss tentò di ricondurre la Lituania all’ordine inviando carri armati a Vilnius per occupare il palazzo del Seimas e la torre televisiva. Una folla di 50.000 persone scese in piazza per bloccare i carri armati: 14 morirono sotto i cingoli, altri 700 rimasero feriti. I soldati dell’Armata rossa rinunciarono all’attacco e si ritirarono.
Dopo questa coraggiosa ribellione, cominciarono ad arrivare i primi riconoscimenti internazionali dell’esistenza di una Repubblica lituana indipendente.
Fu l’avvio del processo di destabilizzazione che portò alla fine dell’Urss, il 26 agosto 1991.
Qualche passo indietro…
Quando, con la Rivoluzione d’ottobre, crollò l’Impero zarista, la Lituania dichiarò per la prima volta la sua indipendenza, con l’Atto firmato il 16 febbraio 1918.
Ma fin da subito la situazione si profilò assai burrascosa.
La Polonia, ricostituitasi sulle macerie degli imperi tedesco, russo e austro-ungarico, non nascondeva le sue mire di espansione verso est. La Russia di Lenin intendeva invece esportare la rivoluzione bolscevica a occidente.
Ne sortì la cosiddetta Guerra polacco-sovietica (1919-20), in cui la Lituania divenne teatro di battaglia tra le due nazioni. Così cercò di approfittarne – alleandosi con la Russia – per riprendersi i territori di Vilnius, occupati dalla Polonia.
La querelle di Vilnius, città sentita dalla Lituania come propria capitale
Con il trattato di Mosca del 12 luglio 1920, la Russia assegnò alla Lituania un ampio territorio comprendente la regione di Vilnius. Ma tale trattato non venne riconosciuto dalla Polonia.
La querelle si trascinò fino in autunno, quando Polonia e Lituania stabilirono una bozza d’accordo. Ma il 9 ottobre, mentre gli ambasciatori discutevano e tracciavano linee di confine sulle loro carte geografiche, l’ammutinamento di un contingente dell’esercito polacco prese possesso della regione di Vilnius.
Il periodo interbellico
La Lituania entrò negli anni Venti come Stato indipendente a tutti gli effetti, riconosciuto dalla Lega delle Nazioni. I rapporti con l’Urss erano buoni; con la Polonia assai meno, stante l’irrisolta questione di Vilnius.
Verso la fine degli anni Trenta, la situazione internazionale cominciò a mutare. L’ascesa del Reich tedesco faceva tremare il sangue nelle vene. Anche perché Hitler non nascondeva di voler tenere sotto controllo tutti i territori occupati da tedeschi. Dalla parte opposta, l’Urss, saldamente controllata da Stalin, mirava a recuperare tutti territori appartenenti all’ex Impero zarista.
Una situazione senza apparenti vie di uscita.
Il patto Ribbentropo-Molotov
Nell’agosto 1939, il ministro degli Affari esteri tedesco, Joachim von Ribbentrop e il suo corrispettivo sovietico, Vjačeslav Molotov, firmarono un patto di non aggressione tra il Reich tedesco e l’Unione Sovietica. In questo patto imperialista, la Germania si assicurava la neutralità dell’Unione Sovietica rispetto ai suoi progetti di espansione.
Il 1° settembre, il Reich occupò la Polonia occidentale, dando inizio “ufficiale” alla Seconda guerra mondiale. Il 17 dello stesso mese l’Urss occupò la Polonia orientale (l’odierna Bielorussia), compresa la regione di Vilnius.
La “trappola” di Molotov
Ai primi di ottobre del 1920, Molotov invitò a Mosca il ministro degli Affari esteri, Juozas Urbšys, per discutere i termini della restituzione della regione di Vilnius.
La delegazione lituana si presentò all’incontro carica di ottimistiche aspettative. Tuttavia, una volta a Mosca, Molotov e Stalin cambiarono le carte in tavola: intendevano, sì, restituire Vilnius alla Lituania. Ma, in cambio, c’era un caro prezzo da pagare: la Lituania avrebbe dovuto collaborare con l’Urss a un progetto di difesa comune e accettare per dieci anni la presenza di distaccamenti dell’Armata rossa sul suo territorio.
L’indignazione della Lituania
Gli ambasciatori lituani protestarono vivacemente. Ma Stalin non era per le mezze vie. Così Urbšys tornò a Kaunas per avere istruzioni.
La proposta sovietica era decisamente offensiva nei confronti della dignità di uno Stato sovrano, ma la prospettiva di riavere indietro il territorio di Vilnius era troppo appetitosa.
Ciò che i lituani ignoravano era che il loro destino era stato già deciso a tavolino: il Paese era stato assegnato all’Urss nella bieca spartizione tra Hitler e Stalin.
Inconsapevoli, i lituani accettarono i termini del trattato
Per qualche mese tutto procedette senza problemi, poi, d’un tratto, nel maggio 1940, Molotov comunicò alle autorità lituane che alcuni soldati sovietici erano scomparsi, addossando a “noti agenti del governo” la responsabilità di averli catturati e soppressi.
Il governo lituano, incredulo, eseguì ricerche accurate in tutti i dicasteri, ma non risultò nulla.
Era evidente che si trattava di una provocazione.
L’invasione della Lituania
L’Urss pretese che fosse garantito libero accesso sul territorio lituano ai reparti dell’Armata rossa. Questo per garantire il corretto svolgimento del patto tra i due Paesi, messo in pericolo – dicevano loro – dalle “azioni provocatorie” lituane.
La disparità con le forze dell’Armata rossa già schierate lungo il confine era insostenibile. Ma i lituani erano pronti a combattere, per amore della propria terra e della propria libertà e anche per via delle assurde accuse loro mosse.
All’ultimo momento, il governo lituano decise di accettare i termini dell’ultimatum. O del “capestro”, chiamatelo come meglio credete.
Il 15 giugno 1940 – data scolpita nel cuore di tutti i lituani – l’esercito sovietico entrò in Lituania.
La Repubblica socialista sovietica di Lituania…
Il governo venne sciolto e, al suo posto, fu installato un “governo del popolo”. Le istituzioni repubblicane furono smantellate e venne creata una Repubblica socialista sovietica, trionfalmente accolta nell’Urss. Ma chi deteneva de facto il potere, in Lituana, erano degli agenti installati da Stalin: Vladimir Dekanozov, che fin dall’inizio tirava i fili del governo-fantoccio favorevole agli interessi sovietici, e Nikolaj Pozdnjakov, rappresentante del comitato supremo del Pcus, carica che gli permetteva un effettivo controllo del Partito comunista lituano.
Le purghe sovietiche in Lituania
Si calcola che almeno 130.000 lituani, tra intellettuali, dissidenti, potenziali oppositori del regime, vennero deportati in Unione Sovietica, inviati nei campi di lavoro o in remoti insediamenti della Siberia e dell’Asia centrale.
Tali deportazioni avevano il doppio scopo di eliminare la resistenza alla sovietizzazione e fornire mano d’opera nelle zone scarsamente abitate dell’Urss.
Circa 28.000 persone morirono nel corso di questi trasferimenti. E sebbene, dopo la morte di Stalin nel 1953, i prigionieri furono pian piano rilasciati, non a tutti fu permesso di tornare in patria, e solo 60.000 poterono far ritorno in Lituania.
La resistenza lituana
Gruppi di partigiani, i cosiddetti miško broliai, i “fratelli del bosco”, portarono avanti una resistenza armata contro l’occupazione. Nonostante la stampa sovietica li qualificasse come “banditi”, i “fratelli del bosco” agivano indossando la divisa militare dell’esercito repubblicano, a testimoniare lo status della Lituania come Paese occupato. Correndo pericoli gravissimi, per sé e per i loro familiari, i “fratelli del bosco”, uomini e donne, continuarono a contrastare i piani sovietici con azioni di guerriglia fino alla seconda metà degli anni Cinquanta, nella speranza di ricevere un aiuto da parte del mondo libero.
Dietro la “Cortina di ferro”
La Lituania era uno Stato sovrano, appartenente alle Lega delle Nazioni: perché è stata ignorata una così grave violazione del diritto internazionale, quale è stata l’annessione sovietica?
Forse perché il mondo libero, alle prese con gli entusiasmi del boom economico, poco o nulla sapeva di ciò che accadeva dietro la Cortina di ferro.
Mappa omogenea
Chi è stato a scuola negli anni Settanta e Ottanta, ricorda le cartine d’Europa appese alle pareti. A occidente, un tripudio di piccole nazioni colorate. Oltre la Polonia, un’immensa distesa monocroma arrivava al limite orientale della cartina.
L’Unione Sovietica veniva così presentata agli scolari di quarant’anni fa: una distesa anonima e omogenea.
Nessun libro di scuola segnalava la presenza di realtà etniche e nazionali quali la Lituania, la Lettonia, l’Estonia. Realtà che avevano avuto un breve intermezzo di libertà nel periodo interbellico, prima di venire fagocitate dall’uniforme impero sovietico.
Juozas Urbšys
Il ministro degli Affari esteri, anch’egli arrestato e deportato, dovette trascorrere sedici anni in vari carceri russi, prima di ricevere il permesso di tornare in Lituania, nel 1956.
Durante la protesta identitaria nel Baltico orientale (1989-1990), prese posizione in favore della restaurazione dello Stato indipendente e denunciò nel suo libro di memorie, La terra strappata, le innumerevoli violazioni del diritto internazionale che avevano permesso all’Unione Sovietica di annettere gli Stati baltici, nell’indifferenza del mondo intero.
Claudia Maschio