Il rapporto tra donne e giornalismo ha una storia recente, di cui bisogna ancora scrivere le pagine più importanti: quelle che ci vedono protagoniste e non semplici destinatarie.
In questo breve ma essenziale excursus storico-culturale sul ruolo delle donne nel mondo dell’informazione, è importante che vi spieghi prima tre cose ovvie, che ancora oggi ovvie non sono. Uno, non esistono argomenti femminili e argomenti maschili, ma solo argomenti che suscitano interesse a persone con interessi diversi. Due, le donne non sono più facilmente impressionabili degli uomini di fronte ad avvenimenti particolarmente farti ma, anche in questo caso, esistono persone più o meno impressionabili in base al carattere e non ai genitali. Tre, il tardivo rapporto tra donne e giornalismo non è dovuto alla mancanza di merito, ma alla mancanza di opportunità. Detto ciò, procediamo.
Storia di un giornalismo femminile che non esiste
Durante tutto il 1800, un secolo dopo la diffusione dei primi giornali, le donne hanno iniziato a ricoprire un ruolo sempre più prorompente nella stesura dei magazine in circolazione in quel periodo. Magazine rosa, soft news, cronaca leggera, si intende: come pulire bene la casa, come vestirsi in maniera adeguata, come crescere i figli e altre linee guide per insegnare alle lettrici più colte e abbienti come indossare i panni della donna perfetta. Ma erano redattrici soltanto coloro che non potevano mettere in pratica le loro rubriche, poiché il lavoro si credeva togliesse tempo e dedizione agli impegni familiari.
Se per qualche strano motivo tu, donna giornalista, pecora nera del mondo dell’informazione, ti fossi fatta condizionare dall’idea di sposarti o, ancor più grave, di avere un bambino o, gravissimo, di volerti occupare delle hard news, quelle da uomini, come la cronaca nera, la politica, l’economia o la situazione sul fronte di guerra, avresti dovuto necessariamente ricorrere a uno pseudonimo, perché mai saresti stata accettata dall’opinione pubblica.
Dobbiamo aspettare il riconoscimento dei primi diritti politici alle donne per vedere un effettivo miglioramento nella nostra condizione di giornaliste donne. A partire dalla metà del Novecento, ci si è resi conto che uno sguardo plurale e pluralista dei fatti potesse essere un valore aggiunto al mondo dell’informazione. Paragoniamo le due metà del Novecento per cogliere l’aumento della presenza femminile nelle redazioni e un suo parziale, timido, riconoscimento sostanziale. Nel 1901 in Gran Bretagna, centro delle notizie mondiali, le giornaliste erano il 9% . Sessant’anni dopo, il 20% circa. Un numero decisamente basso e deprimente, senza dubbio. Ma è ancora più deprimente sapere che, oggi, la situazione non è migliorata più di tanto.
Prendiamo un cartaceo e contiamo le firme: quante sono donne?
Prendiamo un cartaceo e contiamo le firme, contiamo i nomi dei protagonisti degli articoli, contiamo i volti nelle fotografie che accompagnano i pezzi. Contiamoli e appuntiamoceli. L’European Journalism Observatory ha condotto così la sua analisi dedicata al rapporto tra donne e giornalismo nei giornali italiani, rilevando dati preoccupanti e sconcertanti in quattro testate molto note. “Su un totale di 594 firme riscontrate”, scrive l’EJO, “373 (63%) erano maschili e 123 (21%) femminili, mentre le rimanenti 98 erano divise fra “altro” e “agenzie”. Per quanto riguarda le foto, il 42% ritrae uomini, e solo il 12% donne”.
Grazie alla stesura del manuale “Tutt’altro genere di informazione’”, curato dal Gruppo di Lavoro Pari Opportunità del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, possiamo acquisire una consapevolezza maggiore sul ruolo delle donne all’interno dei giornali. “Vi era già la consapevolezza che le donne, nei telegiornali e sui quotidiani, erano rappresentate poco e male”, scrive l’Odg, “ma da questo studio emerge che le donne fanno notizia quasi esclusivamente se vittime di violenza. Solo in questi casi l’interesse per loro arriva al 48%. Sulle prime pagine di 102 quotidiani e nei sommari di 56 edizioni di telegiornali, la presenza femminile all’interno delle notizie è solo del 17% e le firme di donne sono il 20%, nonostante le colleghe rappresentino il 40% della categoria”.
Ai vertici del giornalismo: solo il 21% dei direttori è donna
Ai vertici delle dieci testate giornalistiche più lette troviamo solo in due casi una figura femminile: parliamo di Agnese Pini, direttrice de La Nazione, e di Norma Rangeri delManifesto. Discorso ancora più triste vale per la top ten delle emittenti televisive più ascoltate, in cui solo una sola giornalista, Giuseppina Paterniti Martello del TG3, assume il ruolo di direttrice. Ma questi dati ci stupiscono? Io credo non ancora abbastanza, ma il riconoscimento delle donne nelle cariche più alte è esiguo anche nell’Ordine stesso. Consideriamo che su venti Ordini Regionali dei Giornalisti, solo in quelli del Lazio e del Molise la presidenza è in mano a due donne: rispettivamente, Paola Spadari e Pina Petta.
Solo il 21% dei direttori è donna, contando non solo i quotidiani, ma anche i settimanali e mensili, poiché si contassero solo le testate giornalistiche di quotidiani la percentuale delle direttrici donne sarebbe prossima allo zero. Solo il 30% dei caporedattori è donna. Solo il 38% dei caposervizio è donna. Il 46% dei redattori è donna. E’ una questione di abilità, di merito? Ma non scherziamo. E’ una questione di percorsi di carriera disequilibrati, di opportunità di crescita professionale differenti: mentre una donna ha di fronte a sé delle scale da salire, un uomo si accomoda sulle scale mobili. Sono dati oggettivi che manifestano una disparità di possibilità nell’evoluzione delle carriere, una sbarra di accesso che per le giornaliste si alza con più difficoltà, e a un prezzo più alto.
Gender pay gap nel giornalismo: 13 mila euro l’anno di differenza
E il prezzo lo si paga a fine anno quando, tirando le somme, ci si trova davanti a una disparità ancora più grave: quella salariale. E il gender pay gap non è che la conseguenza di quella difficile ambizione di carriera, di quelle posizioni ai vertici difficilmente raggiungibili. Posizioni di potere, posizioni in cui si decide, posizioni in cui si può avviare un cambiamento. Per i giornalisti la retribuzione media è di 65 mila euro; per le giornaliste è di appena 52 mila. Calcoliamo: 13 mila euro l’anno in meno dei colleghi uomini.
La differenza salariale è ancora più accentuata nei primi incarichi giornalistici, come i praticanti e i neo-redattori e le neo-redattrici e i redattori e le redattrici ordinarie. C’è da chiedersi il perché, dove sta il senso di una retribuzione iniqua e non paritaria. E stipendi inferiori significa, parallelamente, pensioni inferiori, anche perché molte donne rinunciano alla propria carriera o si ritirano dal mondo del lavoro prima degli uomini.
Abbiamo familiarizzato con il termine gender pay gap proprio attraverso una testata giornalistica o un telegiornale. Gli articoli e i servizi di denuncia contro la disparità di genere sono pane quotidiano per il mondo dell’informazione. Ma è proprio all’interno delle redazioni che si consumano discriminazioni ed enormi contraddizioni. L’informazione al femminile è una pagina di storia che ancora dobbiamo scrivere.
Ilaria Genovese