Qualche giorno fa, lo chef Gordon Ramsay ha twittato una rivisitazione di un piatto assai noto: la carbonara.
Chiaramente – e senza sorpresa – non sono mancati i commenti critici da parte del popolo italiano, una cronologia tuttora in aggiornamento. Spicca però un intervento in particolare: il commento della Barilla, la quale, con pacata ironia, posta un video riguardante la preparazione della “vera” carbonara.
Il movente è chiaramente pubblicitario e su questo c’è poco da discutere; tuttavia, tra il suddetto video risposta e i vari commenti, ho avuto una sorta di déjà vu: ricordate il Winner Taco? La petizione, seguita da una vasta raccolta firme, ha riportato l’omonimo gelato in commercio – risultato di una nostalgia piuttosto fuori controllo.
Dunque, l’algoritmo ha un senso: il nostro Paese mostra segni di unità soprattutto (e quasi esclusivamente) quando si tratta di alimentazione; lotte fra precursori di ricette popolari, tra la rivendicazione di una pietanza e l’altra. È più giusta la mia esecuzione o la tua? Di chi è la carbonara? Il pesto? La pizza più buona?
Lascio libero giudizio al lettore, ma trovo tutto questo imbarazzante: è esilarante che nel 2020 esista ancora un Paese come il nostro, la cui priorità è lo stomaco pieno piuttosto che gli stati di emergenza, la lotta ai soprusi, ad una politica trasparente, alla disinformazione; paradossale la Barilla, un’industria tutt’altro che 100% italiana, vista l’importazione del grano. Spero il lettore sappia quanto sia effettivamente difficile mangiare pasta totalmente italiana. Consiglio una ricerca immediata sulle marche più sicure e la Barilla certamente non ne fa parte.
Ogni tanto dimentichiamo di essere, ormai da qualche decennio, nella piena globalizzazione.
Nel caso della carbonara, in particolare, dobbiamo sottolineare le radici storiche non del tutto accertate: si parla di un piatto povero, plausibilmente nato da ingredienti prettamente americani successivi all’arrivo delle truppe alleate. Wikipedia recita:
Difatti, il piatto viene ricordato per la prima volta nel periodo immediatamente successivo alla liberazione di Roma nel 1944, quando nei mercati romani apparve il bacon portato dalle truppe alleate.[3][5] Questo spiegherebbe perché nella carbonara, a differenza di altre salse come l’amatriciana, pancetta e guanciale vengono riportati spesso come ingredienti equivalenti
Ovviamente, il piatto ha subito un’evoluzione nei decenni successivi, ma è fondamentale comprendere la base storica di ciò che oggi abbiamo. Questi particolari didascalici non sono certo per screditare l’ottima cucina del nostro Paese – che, io per primo, amo -, né tantomeno le migliorie apportate sulle ricette originarie; resta però paradossale che l’Italia si dimostri comunitaria esclusivamente quando si parla di cibo, sulla scia della presa in giro o dell’insulto.
La simbologia è passata dall’essere funzionale (per ciò che concerne la cultura di un popolo) a becera e fine a se stessa.
Io amo la carbonara; ho avuto anche il piacere di assaggiare la cosiddetta “carbonara scientifica”: un piatto perfetto e che valorizza la tradizione. Consiglio spassionato.
Nondimeno, sono certo che questo Paese abbia bisogno di un briciolo di umiltà, atta a valorizzare realmente il tesoro che possiede; criticare un piatto rivisitato, frutto di uno chef del calibro di Gordon Ramsay, è piuttosto stupido, soprattutto nel campo della cucina contemporanea.
L’arte culinaria evolve, muta a piacimento di chi ha una vasta conoscenza degli ingredienti, di chi si può permettere nuove proposte, influenti o meno sulla tradizione. Le critiche sono fondamentali, il gusto personale va al di sopra di ogni tecnica; ma gli insulti (o le pessime figure di certe aziende) forse sono un po’ eccessive.
Siamo ancora lo stereotipo dell’Italia in Vespa: pieni anni ’50, senza pensieri e quel sapore di quotidiano popolare.
Eppure il 1950 è finito da un pezzo: sold out per l’Italia del sole, le calde accoglienze, della pizza e del mandolino; tutto questo, oggi è pura barzelletta, poiché le problematiche sono di ben altra caratura e le soluzioni ancora lontane. L’apparenza inganna e la volontà di un popolo, di un’istituzione, si vede a occhio nudo.
Inoltre, sono abbastanza certo che assaggiare la carbonara di uno chef 18 stelle Michelin sia un piacere per il palato; ciò non vieta, in ogni caso, una maggiore preferenza per la nostra carbonara. A prescindere da ciò, è un argomento che dovrebbe andare al di là di qualche bisticcio culinario; magari con quel briciolo di dignità in più.
Eugenio Bianco