Anche l’universo della moda deve fare i conti con l’allarme Coronavirus. Lo spauracchio del contagio intacca la Milano fashion week, di stanza presso il capoluogo lombardo fino al 24 febbraio. Il mondo è in ginocchio: almeno mille operatori cinesi – circa l’80% del totale degli addetti ai lavori – non potranno essere presenti all’evento più cool della città meneghina.
Tra questi ci sono anche tre marchi (Angel Chen, Ricostru e Hui), che non sfileranno perché non sono riusciti a completare le loro collezioni, a causa della chiusura delle fabbriche. Ma le defezioni non riguardano solo la Cina: la diffusione dell’epidemia rende difficili gli spostamenti pure dal Giappone, dalla Corea e da Hong Kong.
La Camera della Moda ha trovato una soluzione per chi è rimasto a casa attraverso il progetto “China we are with you”: tutte le sfilate saranno in diretta streaming su una piattaforma speciale, per consentire a giornalisti, influencer e compratori di conoscere, recensire e acquistare i capi delle prossime collezioni invernali.
Il Coronavirus è un problema notevole, il mondo (della moda e non solo) è in ginocchio: i consumatori cinesi rappresentano oltre un terzo del mercato del lusso.
L’impatto è ancora sconosciuto ma rende incerte le previsioni: potrebbe essere peggio dell’anno della Sars, in 6 mesi potremmo perdere anche 230 milioni di euro.
Spiega Carlo Capasa, presidente di Camera Moda. L’allarme Coronavirus non risparmia la Milano fashion week e rischia di causare una perdita dello 0,3% del Pil, secondo le stime di Confcommercio. Penalizzati dalla situazione anche gli albergatori e i ristoratori, che subiscono disdette e incassi diminuiti in una settimana mediamente da tutto esaurito.
Nei primi mesi del 2020 i ricavi provenienti dal settore moda e lusso sono scesi notevolmente. Molti tra i più importanti stilisti italiani hanno espresso la loro preoccupazione sull’argomento. Tra loro c’è Salvatore Ferragamo, che ha ammesso di temere un calo del fatturato:
Ancora non abbiamo fatto una stima esatta, però abbiamo molti punti vendita chiusi in Cina, altri a orario ridotto. Abbiamo tante persone che sono a casa in Cina, vengono comunque retribuite e quindi molti costi e pochi ricavi.
Chiara Dalmasso