Sono passati quarant’anni dall’omicidio di Vittorio Bachelet, giurista e professore universitario, esponente democristiano e vicepresidente del CSM, assassinato il 12 febbraio 1980 dalle BR, all’apice del periodo di violenza che, in quindici anni, ucciderà quasi novanta persone, tra uomini di Stato, poliziotti, carabinieri e magistrati.
«Questo di oggi è il più grave delitto che sia stato consumato in Italia, perché il delitto Moro aveva un carattere politico, mentre quello di oggi è diretto contro le istituzioni; perché si è voluto colpire il vertice della magistratura, il vertice del pilastro fondamentale della democrazia».
Dal discorso del Presidente Sandro Pertini in apertura della riunione straordinaria del CSM, nel pomeriggio del 12 febbraio 1980, dopo poche ore dall’omicidio Bachelet
E’ il 12 febbraio 1980, mancano dieci minuti a mezzogiorno. Il professor Vittorio Bachelet, 54 anni, ha appena terminato la sua lezione di diritto amministrativo presso la facoltà di Scienze Politiche della Sapienza di Roma. Bachelet non è solo un professore universitario, è anche dirigente dell’Azione Cattolica ed esponente democristiano. Ma soprattutto è il vicepresidente del CSM, il Consiglio Superiore della Magistratura, a presidenza di Sandro Pertini. Mancano dieci minuti a mezzogiorno, dicevamo. Il professor Bachelet sta uscendo dall’aula 11, intitolata ad Aldo Moro, e sta chiacchierando con la sua assistente Rosy Bindi, mentre salgono le scale per raggiungere l’aula professori. Arrivato all’ultimo scalino, una donna, Annalaura Braghetti, lo afferra e gli spara tre colpi di pistola al ventre, per poi andarsene velocemente. Interviene poi Bruno Seghetti, che si china su Bachelet a terra, e gli spara altri quattro colpi, di cui uno alla nuca che lo finisce definitivamente.
La rivendicazione delle Br
La gente fugge, i killer si confondono tranquillamente tra gli studenti e i professori in preda al panico. Hanno tempo di raggiungere il cancello di viale Regina Elena, dove un’A 112 li aspetta per portarli lontano dalle pattuglie in arrivo. Tra i primi a giungere sul luogo dell’omicidio è il presidente Pertini, seguito poi dal ministro Rognoni e da Fanfani, vecchio amico di Bachelet. Arrivano poi la figlia e la moglie del professore. Intorno è il caos. Alle 14.33, alla sede del quotidiano Repubblica, suona il telefono. Una voce detta un annuncio: “Ascoltatemi bene. Qui Brigate rosse. Bachelet l’abbiamo giustiziato noi. Presto seguirà comunicato”.
Braghetti e Seghetti non sono nomi nuovi nella storia del crimine italiano: i due sono stati protagonisti del sequestro di Aldo Moro, avvenuto due anni prima. Seghetti aveva preso parte attiva al commando di via Fani, mentre la donna era stata la carceriera del presidente democristiano. Fanno parte delle Brigate Rosse, un gruppo terroristico di estrema sinistra costituitosi nel 1970 per portare avanti la lotta armata rivoluzionaria per il comunismo.
Chi sono le Brigate Rosse
L’omicidio Bachelet arriva nel periodo di maggiore violenza delle Brigate Rosse, che tra il 1977 e il 1980 passano in mano a una nuova generazione di brigatisti. I terroristi della prima ora, infatti, sono stati arrestati o uccisi tra il 1974 e il 1976, dopo la fase di “propaganda armata” all’interno delle fabbriche, con sequestri di imprenditori e magistrati. In questa nuova fase, non è più solo il Nord Italia lo sfondo degli attentati. Le Br si spingono anche a Roma e a Milano. I loro bersagli sono i politici, magistrati, industriali e forze dell’ordine. Vogliono dimostrare di poter influire sull’equilibrio politico italiano. E ci sono riuscite con il sequestro Moro.
L’annus horribilis: il 1980
Quando Bachelet muore, il 1980 è iniziato da quaranta giorni, ma è già l’amaro assaggio di un anno tremendo per l’Italia. Il terrorismo a gennaio ha ucciso tre poliziotti a Milano (Antonio Cestari, Rocco Santoro e Michele Tatulli) per “accogliere” in città il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, fresco di nomina alla divisione Pastrengo dei carabinieri. Tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio a morire sotto i colpi delle Br sono Silvio Gori e Paolo Paoletti, dirigenti d’azienda. Vittorio Bachelet, intanto, come vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, il 29 gennaio ricorda il primo anniversario dell’omicidio del PM milanese Emilio Alessandrini per mano del nucleo di Prima Linea. Dal 1977, le proteste e gli attacchi negli atenei si sono fatti più pressanti, in un paese in cui ogni settimana si contano nuove vittime della violenza come metodo politico.
Quasi novanta omicidi
Secondo quanto riportato nell’inchiesta La notte della Repubblica, di Sergio Zavoli, tra il 1974 e il 1988 le Br hanno ucciso 86 persone, soprattutto tra agenti di polizia, carabinieri, giudici e politici. L’organizzazione veniva finanziata attraverso azioni collaterali, come sequestri di persona e rapine. 911 persone sono state inquisite per la loro appartenenza alle Br. A queste vanno aggiunte altre 300 persone circa, che facevano parte di gruppi poi separatisi dal tronco principale, come il Partito Comunista Combattente o il Partito Guerriglia.
La fine delle Br?
Dopo il 1980, l’organizzazione sembra però in crisi. La società italiana la isola e le forze dell’ordine riescono a contrastarne l’operato. Fondamentale è l’introduzione della dissociazione nel diritto italiano, solo 6 giorni prima della morte di Bachelet. Troppo tardi per fermare l’azione delle BR e troppo presto perché se ne possano cogliere gli effetti. La dissociazione consentiva infatti cospicui sconti di pena ai membri di organizzazioni terroristiche che avessero rivelato l’identità di altri terroristi. Nel 1987 Renato Curcio e Mario Moretti, pilastri delle Br, firmano addirittura una dichiarazione in cui ritengono conclusa l’esperienza terroristica del gruppo. In realtà, nel 1999 la denominazione Br è ricomparsa per rivendicare nuovi attentati: una fase che sembra essersi conclusa nel 2003.
L’eredità di Bachelet
Il delitto Bachelet è uno dei più semplici sul piano organizzativo dei quasi novanta portati avanti dalle Br. Colpisce un uomo indifeso, indaffarato nel viavai quotidiano universitario. Come disse Pertini stesso, però, l’omicidio del professore è una sfida del terrorismo allo Stato. Quarant’anni fa Bachelet non veniva ucciso solo come vicepresidente del Csm, o come docente, ma come sostenitore del dialogo tra tutte le componenti della politica e della società, per il miglioramento delle condizioni della democrazia italiana. Bachelet era il nemico della lotta armata per eccellenza. E questo le Br non lo potevano accettare.
Così come forse non avranno potuto accettare le parole di Giovanni Bachelet, allora 25enne, figlio di Vittorio. Nei funerali del padre, svoltisi a Roma il 14 febbraio, prese la parola e lesse le preghiere dei fedeli, dichiarandosi sempre e comunque contro la violenza.
«Preghiamo per i nostri governanti: per il nostro presidente Sandro Pertini, per Francesco Cossiga. Preghiamo per tutti i giudici, per tutti i poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia, per quanti oggi nelle diverse responsabilità, nella società, nel Parlamento, nelle strade continuano in prima fila la battaglia per la democrazia con coraggio e amore.
Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri.»
Giovanni Bachelet ai funerali del padre Vittorio
Elisa Ghidini