Ho avuto il privilegio di guardare “Parasite” a Brno, Repubblica Ceca, in un piccolo cinema gestito da studenti, curiosi ed affamati di contenuti, stanchi di Hollywood, leggermente delusi da Di Caprio nelle vesti di Rick Dalton nell’ultima fatica di Tarantino. La locandina all’entrata era promettente, essenziale, le recensioni online erano piene di stelle, le facce erano curiose e le aspettative salivano, insieme all’acquolina da contenuti, appunto.
Attenzione: spoiler
Il film inizia senza passare dal via, senza complimenti e senza introduzioni. Sono stato catapultato in Corea, tra corse folli per preparare la cena e borse piene di libri, lo scenario era una terra di frontiera, sporcizia e angoli stretti, lo spazio di manovra era chiaramente limitato. Il cast era impegnato in un flusso di coscienza infinito, con un unico scopo: sopravvivere alla giornata, ogni giorno. Uscire dallo scantinato in cui abitavano era una vittoria per tutti e quattro i componenti della famiglia, i protagonisti, i parassiti.
Capii subito di essere stato ingannato dalla locandina minimal che mi suggeriva di cercare l’intruso in mezzo a quel disordine, perché di sicuro l´intruso ero io. Il mio background occidentale cozzava decisamente con quanto stavo guardando: migliaia di cartoni di pizza erano stati piegati ed erano in attesa di essere consegnati, migliaia di annunci online a cui rispondere, un misero metro quadrato per contenere gli effetti personali, tutte cose a me estranee. Poi la realtà rivelatrice mi ha sussurrato che quella che stavo guardando era la moderna classe media ridotta all’osso, il ragazzo pieno di domande era una versione di me in un altro paese. Ho avuto poco tempo per entrare in empatia con ogni personaggio, la vita non aspetta, lo stomaco brontola, il tempo stringe. Compare sullo schermo una villa enorme, una famiglia l’ha acquistata nonostante nel quartiere si vociferasse che fosse abitata da un fantasma. Le vetrate si aprono e si vede un giardino immenso. L’arredamento è raffinato, accuratamente scelto per soddisfare i gusti del capofamiglia, un architetto famoso. La regina della casa è impegnata ad assicurare un’istruzione degna di nota ai pargoli, una femminuccia di 8 anni e un maschietto di 5. La domestica è in cucina, accenna vagamente al bunker sotto il pavimento, nel caso di attacco nucleare.
Svelate le carte e svelati i giocatori inizia un effetto domino molto repentino e imprevedibile, coerentemente senza preavviso. Grazie ad un incontro fortunato inizia una serie di eventi che, ad uno ad uno, porta i protagonisti a lasciare lo scantinato per trasferirsi. In una settimana la famiglia ricca consegna le chiavi di casa ai parassiti, consci e capaci di giocare con le insicurezze del prossimo, consapevoli che il domani tanto atteso può fintamente esistere. Il ragazzo sveglio impartisce ripetizioni alla bambina di 8 anni, il padre precario diviene l’autista di fiducia del facoltoso architetto, la madre disoccupata smette di piegare i cartoni della pizza per essere la nuova domestica, la ragazza con il maglione bucato si veste bene per insegnare arte al bambino di 5 anni. Un domani migliore prende forma, fino a quando, in una festa in giardino, tutto viene soffocato nel sangue.
Il messaggio è arrivato forte e chiaro, nessuno sottotitolo da interpretare, solo caratteri cubitali. Non c’è spazio per i sogni e per i piccoli piaceri della vita, porsi delle domande rispetto a come potrebbero cambiare le cose in positivo è un mero esercizio per lo spirito, solo per percepire ancora le emozioni. La cruda vita non ha nulla di spirituale. I piani a lungo termine sono per i perdenti o per chi può permettersi di sognare, la verità è che adattarsi vuol dire sopravvivere. Il successo arriva quando si smette di rincorrerlo, la felicità non è una miniera di diamanti da svuotare ma un campo di fiori bisognoso di cura costante.
Concluso il film nessuno applaude, la tragedia della vita è stata rappresentata ancora una volta, molti non hanno finito la loro birra. Oltre l‘ empatia probabilmente si palesa, per tutti, il vuoto dell’ indifferenza, sempre comodo e sempre pronto a rispondere ai nostri sogni. Di sicuro non rivedrò questo film, di sicuro merita ogni premio possibile, di sicuro tra empatia ed indifferenza è stato tracciato un nuovo confine. Era ottobre, ho detto a tutti i miei amici che questo film era diverso, meritava di essere visto. In molti non hanno visto “Parasite” tuttavia l’ indifferenza oggi ha perso.
Antonio Bruno