Per parlare degli orrori della Shoah, c’è bisogno di guardare anche alla storia dei carnefici. E’ ciò che fa Stefano Massini nel suo “Eichmann, dove inizia la notte”, in un dialogo immaginario tra Hannah Arendt e Adolf Eichmann.
Le settimane di fine gennaio sono quelle in cui, anche per caso, ci si imbatte in letture, film e spunti sulla Shoah. E’ questa del resto la funzione della Giornata della memoria. Siamo obbligati a ricordare, a fermarci un attimo, a pensare anche per un secondo a quello che, magari, abbiamo frettolosamente studiato sui libri di scuola, con numeri, date, nomi di battaglie. La Giornata della memoria, intrinsecamente, ha come scopo invece quello di togliere la fredda maschera della contabilità al Nazismo e di fare emergere tante storie, semplici, complesse, di singoli, di famiglie, finite tragicamente in un campo di sterminio in Polonia o, insperatamente, a lieto fine. Sempre che si possa parlare di cose liete, quando si sopravvive, certo come esseri viventi, ma si torna a casa con il fardello psicologico di quel che si è visto e vissuto.
Oltre la Giornata della Memoria
Il 27 gennaio, quindi, ha un senso perché le persone non siano più numeri. Si raccontano storie di persone normali, la cui quotidianità è stata devastata in modo insensato senza che, spesso, ne capissero il perché. Sono storie di sofferenza umana, di morte, di distacco dai propri affetti, di abbandono forzato delle proprie terre. Si comprende la dimensione umana della tragedia: tante piccole storie all’interno della Storia ci fanno capire meglio il dramma personale di ognuno. Se siamo umani, si empatizza: ci si chiede come si faccia a sopravvivere, a raccontare ai propri figli cosa sta succedendo, a lasciare tutto.
Poi la giornata della Memoria passa, la commozione rientra e noi torniamo alla nostra quotidianità. E’ proprio in questi periodi di minor “sentimentalismo”, se vogliamo definirlo così, che urge invece informarsi più a fondo. Sarebbe opportuno documentarsi quando il sipario sulla Shoah cala e, irrimediabilmente, diventiamo più vulnerabili. Il limitare la memoria a un giorno sul calendario ci conforta. Ci illudiamo che esista uno spartiacque netto tra l’odio nazista e l’intolleranza di oggi. Ci tranquillizza sapere che è tutto passato, che appartiene a cose scritte nei libri, lontane da noi.
Da dove partire?
Presi da commemorazioni, proiezioni di film e letture in materia, che sono sacrosante, beninteso, ci lasciamo andare alla commozione, rinunciando alla riflessione della nostra parte razionale. Per capire e studiare il fenomeno, invece, la giornata della Memoria dovrebbe essere solo l’apice di un lavoro di approfondimento che portiamo avanti durante tutto l’anno. Sì, ma da dove partire?
Per capire la sofferenza è d’obbligo leggere la storia delle vittime, ma per cogliere cosa abbia portato a tutto questo dolore è forse più adeguato guardare alla storia dei carnefici. Sondare le loro vite, guardare a ogni singola ambizione, a ogni quotidiana frustrazione, alla loro formazione, alle loro passioni e all’interno della loro normalità. Senza fini pseudolombrosiani, chiaramente. Rendersi conto che di pazzo o di folle non c’è assolutamente nulla. Che, nelle teste e nelle vite dei nazisti, è tutto perfettamente logico, organizzato, razionale. E la persona da cui bisogna partire, più ancora di Adolf Hitler, è Adolf Eichmann, il responsabile operativo dello sterminio degli ebrei.
Eichmann, l’essenza della mediocrità nazista
Per farlo, può essere d’aiuto servirsi di un testo a metà tra il teatrale e il biografico: “Eichmann, dove inizia la notte”, edito da Fandango. L’autore, Stefano Massini, costruisce un vero e proprio copione, mentre immagina un dialogo tra Adolf Eichmann e Hannah Arendt, la celebre politologa di origini ebraiche che riusci a emigrare dalla Germania prima che il nazismo suonasse alla sua porta. Autrice de “La banalità del male”, la Arendt è il personaggio che meglio ha colto, nella storia, l’essenza dei nazisti: persone banali. come potremmo esserlo tutti, che si trasformano in carnefici. Massini le assegna, nel suo copione, il ruolo di interlocutrice di Eichmann. Capace di farlo cadere in contraddizione, lo sfida, lo mette alla prova. Massini fa emergere la gigantesca statura culturale della Harendt, che si trova di fronte a un uomo minuscolo, che di gigante ha solamente la sua mediocrità.
Contro il mito del genio del male
Ma Massini non fa parlare la Harendt solo di massimi sistemi del mondo. Il dialogo è un’altalena continua tra aneddoti quotidiani e riflessioni sulla concezione di giusto e sbagliato, di bene e male. Eichmann parla della sua quotidianità, di quando da giovanissimo, è stato assunto grazie alla raccomandazione di un ebreo. Del fatto che mica odiasse gli ebrei: erano ebree anche le figlie dello zio, che Eichmann stesso aveva aiutato a scappare. Aveva avuto persino un’amante ebrea. La mediocrità del nazismo emerge in tutto il maldestro tentativo di deresponsabilizzazione, su cui si sono retti per anni, le difese dei nazisti sottoposti a processo.
“La colpa è degli altri, non ho scelto io“: è il fil rouge di tutto il dialogo. Non è stato Adolf Eichmann a scegliere di abbandonare la scuola, è stato il padre. Non è stato lui a convincere gli altri di essere ingegnere, pur non avendo il diploma, sono stati gli altri a crederlo da soli. Non è stato lui a ordinare la devastazione di sinagoghe e quartieri ebraici a Vienna, sono stati gli scalmanati che c’erano in giro. Le teste calde. Non è lui a voler fuggire in Argentina, sono gli altri ad averglielo offerto. Il ritratto che Massini ne fa è disarmante: emerge chiaramente come Eichmann pensasse che l’unica sua colpa fosse l’ambizione di voler stare nel posto in cui si decide e non quello in cui attendono le decisioni.
Benaltrismi di ieri e di oggi
Il lettore legge e vede le espressioni incredule di Hannah Arendt di fronte alla banalità di un uomo che, fino all’ultimo, già consapevole della condanna all’impiccagione, si perde in maldestri tentativi di benaltrismo. Il dialogo di Massini ricostruisce la storia, ma è allo stesso tempo terribilmente attuale. Le parole di Eichmann sono quelle che potrebbero benissimo essere digitate anche oggi, nel 2020, su un gruppo Facebook di negazionisti. E’ per questo motivo, che, ciascuno di noi, ha il compito di informarsi e di approfondire. E’ Massini stesso a spiegarci che, per un genio del male, esistono centinaia di persone normali, che lasciano correre, con l’alibi del “Hanno deciso gli altri”.
Elisa Ghidini