Cosa significa essere un migrante?
” Un migrante è, prima di tutto, un nomade che viaggia verso l’ignoto condividendo chilometri pieni di speranza con i suoi compagni. Fugge dalla sua terra per trovare la salvezza e attraversa la frontiera perché, molto spesso, non ha altra scelta.
Ai suoi occhi, il mondo appare in continuo mutamento. Ne vive le guerre e trova il coraggio di fuggirne, di affrontare il mare, il deserto, gli uomini e i loro sbarramenti, ma anche la morte: quest’ultima, il migrante l’ha guardata dritta in faccia, l’ha vista compiersi intorno a lui.
Il cielo stellato è il suo solo confine, la diversità è il suo territorio; chi è nomade ascolta, osserva, prende nota, disegna il destino che il mare gli riserva tra le onde spumose. Forse riuscirà a raccontare la sua avventura – o la sua tragedia – in veste di portavoce e testimone chiave di questa aspra realtà vissuta.
I suoi bagagli di viaggio sono i desideri, le speranze, i ricordi: questi diventano un timbro della propria identità, dignità, umanità e, stringendoli tra le mani, il nomade affronta il suo infausto percorso. È questa lotta contro l’infamia del destino a permetterci di comprendere come la storia umana sia composta di tante altre piccole storie, “pezzetti di viaggio” raccolti durante il cammino: sono le vicende di persone che hanno lottato per vincere, che sono state gettate a terra e hanno trovato la forza di rialzarsi.
Per noi l’Europa era terra di denaro e di speranza. Non sapevamo, però, che non facesse passare persone come noi. Troppo cara per le nostre possibilità, ci fu chiaro che sarebbe stato difficile posare sul suo suolo le nostre valigie leggere ma cariche di sogni. Sapevamo che l’Europa e le sue istituzioni si basano sul mercato libero, ma non potevamo immaginare l’esistenza di una servitù della gleba. Sapevamo che essa difende gli ideali di libertà e di dignità e che si propone di nutrire il pianeta, ma evidentemente i nostri ettari di terra fanno parte di un altro pianeta.
Siamo senza dubbio affascinati dallo sviluppo europeo, dalle sue attività culturali, dall’urbanizzazione delle città, dalla vita. Ma noi dove possiamo trovare posto? Se siamo sprovvisti di documenti, ci etichettano come clandestini. Forse non avremo documenti, però abbiamo sentimenti, pensieri, idee.
Per voi, i migranti che sbarcano sulle vostre coste sono numeri ingombranti che vi sottraggono precari posti di lavoro; per me, invece, sono esseri umani che il destino ha portato a navigare nel freddo della notte, al cospetto di una luna che si specchia sulle indomabili acque di un amaro mare. Quei clandestini hanno anche un nome, sapete? Qualcuno si chiama Mohamed, qualcun altro Rabin, Zenad, Moharem, Abdellah; molti avranno anche dei figli, dei mariti, delle mogli. Sarà il clan dei familiari a mantenere vivo il ricordo del loro vissuto, diventandone testimoni per il futuro.”
L’allarme per l’immigrazione clandestina coinvolge quasi tutti i Paesi dell’Unione; ciascuno risponde a suo modo in base alle proprie leggi nazionali. Per comprendere le dimensioni del fenomeno e valutarne le conseguenze è opportuno considerarlo nella sua globalità. Bisogna ricordare che, oltre ai clandestini, vi sono almeno tre tipi di immigrazione controllata all’interno dell’UE: quello dei lavoratori stranieri con regolare permesso di soggiorno, quello di coloro che chiedono l’ammissione per il “ricongiungimento familiare” e quello dei rifugiati che chiedono asilo politico.
Secondo le stime delle principali organizzazioni internazionali, attualmente nel mondo vi sono almeno 140 milioni di individui che hanno abbandonato la loro patria per emigrare in un altro Paese. Un quinto di loro si trova in Europa, un quarto ha scelto l’America. Il fenomeno migratorio è diretto soprattutto verso il mondo industrializzato, mentre la base di partenza è costituita in modo precipuo dai Paesi in via di sviluppo. Il primo Paese europeo per numero d’immigrati è la Germania, che ne conta circa 12 milioni; l’Italia, con circa 6.1 milioni di presenze, è quarta in classifica.
Circa la nazionalità degli immigrati, si può osservare che i turchi sono oltre 2 milioni e mezzo e il 70% di loro approda in Germania; dalle repubbliche della ex Jugoslavia sono arrivati circa un milione e 800 mila individui – in gran parte rifugiati di guerra – e la Germania ne ha accolti 350mila; i marocchini sono un milione e 100mila, gli algerini circa 560mila e i polacchi 410mila.
Per quanto riguarda l’Italia, soltanto un immigrato su tre proviene da un Paese Comunitario: la stragrande maggioranza arriva dai Paesi dell’Est e da quelli balcanici. Gli africani sfiorano il 30%; in testa ci sono i marocchini, seguiti dai tunisini, dai senegalesi, dagli egiziani, dai somali e dagli etiopici. La presenza straniera in Italia è assai variegata e frazionata; è un intreccio di culture, di religioni e costumi diversi.
Per tutte le nazioni ospitanti si pongono enormi problemi di convivenza e di inserimento degli stranieri nei rispettivi tessuti locali. L’accoglimento delle masse dei profughi viene sottoposto a valutazioni di opportunità politica e di solidarietà internazionale e l’immigrazione regolare risponde a criteri prevalentemente economici. Essa non viene scoraggiata, ma in molti casi è favorita dai Paesi dell’Unione poiché è assorbita dal mercato del lavoro, senza contare che spesso gli stranieri extracomunitari suppliscono a una carenza di manodopera in attività particolarmente faticose e poco remunerative.
In virtù di tali considerazioni e dati di fatto, mi chiedo come possiamo definire l’Europa di oggi, questa Europa di cui tutti parlano, che alimenta speranze e progetti.
Perché la paura dev’essere usata per fare propaganda elettorale? Noi migranti vogliamo semplicemente essere liberi di scegliere; è questo che vi fa paura? Abbiamo avuto il coraggio di affrontare il nostro viaggio, lottare contro le burocrazie, scrivere storie. Forse, non siamo ancora riusciti a combattere i preconcetti, a contrastare una mentalità che alcune volte non riesce ad andare oltre quei muri fisici e ideologici costruiti nel corso del tempo.
Platone diceva che la realtà è stata sempre letta attraverso le immagini e, dopo di lui, i filosofi hanno cercato di ridurre questa dipendenza dalle immagini indirizzando le menti verso il pensiero astratto. Se è così che leggiamo la realtà, allora chi sono i migranti? Quali sono le immagini attraverso le quali riusciamo a percepire la loro esistenza?
A. Migranti come vittime: migrazioni come espulsioni, migranti come rifugiati de facto.
B. Migranti come strumenti: spostamenti funzionali alla ricerca di un lavoro.
C. Migranti come soggetti: migranti che hanno scelto di lasciare il proprio paese basandosi su una decisione ben ragionata.
È difficile riscoprire sé stessi quando si è costretti a non avere un posto ben preciso dove vivere, come pure è difficile affrontare la discriminazione quando si sente ripetere ovunque la frase “tu non sei di qui, perciò non appartieni a questo paese”. Per il resto del mondo rappresentiamo l’incarnazione della diversità, ma noi quella diversità di cui tanto si parla la viviamo ogni giorno fuori da noi stessi, negli occhi di chi ci giudica, nei luoghi che vorremmo chiamare “casa” ma che spesso ci negano ospitalità e rispetto.
Se tu fossi un migrante, potresti sentirti disorientato; potresti provare la vertiginosa sensazione di essere uscito dal nulla, di non avere appartenenza alcuna. Potresti pensare di non avere il diritto di cantare un inno nazionale, di celebrare una festa o di avere un’opinione su quello che accade nel paese.
Migrare vuol dire spostarsi, muoversi, trasferirsi. Si può essere migranti sia fisicamente che spiritualmente. La cosa più importante è costruire un’umanità universale ovunque noi siamo. Penso che i migranti e i rifugiati abbiano posato la prima pietra per la costruzione di tale umanità universale: oggi possiamo impegnarci per l’agevolazione dei processi d’integrazione di persone che, proprio come me, cercano un mondo migliore.
E intanto il viaggio dei migranti continua. Loro sono l’immagine di questa realtà; avvicinatevi, non abbiate paura!
Jorida Dervishi