La figura di Tiresia riesce ancora oggi a colpire il nostro immaginario. In questo articolo, ripercorrendo la storia e la fortuna del personaggio, cercheremo di capire le ragioni della sua attualità.
Riapparizioni recenti di un personaggio immortale
Chiamatemi Tiresia.
L’11 giugno 2018 Andrea Camilleri a Siracusa esordiva così la propria interpretazione dell’indovino tebano. Ormai cieco a sua volta, lo scrittore conversando sulla scena austera con un pubblico incantato si preparava a raggiungere Tiresia oltre le soglie dell’eternità.
Quasi un anno esatto dopo, il 5 giugno 2019, compariva su Neflix Striking Vipers, primo episodio della quinta stagione della serie televisiva Black Mirror. Incentrato sul rapporto tra sessualità e videogiochi, esso presentava – come vi raccontavamo qui – moltissimi riferimenti al mito di Tiresia. Queste due, però, sono soltanto le più recenti rivisitazioni di una figura che nella storia delle arti ha goduto di una sconfinata fortuna. Ma perché Tiresia ci affascina così tanto? Per comprenderlo, proviamo a ripercorrere la storia di questo personaggio.
Secondo il mito, l’indovino nacque a Tebe dalla ninfa Cariclo e da Evenore, discendente degli Sparti, fondatori con Cadmo della città.
Una divinità minore per madre, un padre illustre: garanzie sufficienti di un destino straordinario. Su come sarebbe diventato l’indovino capace di cambiare i destini di Ulisse ed Edipo, però, gli antichi sono discordi. L’autore noto come Pseudo-Apollodoro, nel I secolo d.C., riporta tre diverse tradizioni. In tutte la cecità deriva da una punizione divina; le ragioni, però, differiscono. Secondo la prima, Tiresia sarebbe stato punito perché, già chiaroveggente, avrebbe rivelato agli uomini segreti proibiti. Nella seconda, invece, Tiresia avrebbe perso la vista a causa di Atena, adirata perché il ragazzo l’aveva sorpresa nuda mentre si bagnava in una fonte. Poi impietosita dalle suppliche di Cariclo la dea, non potendo revocare la punizione, l’avrebbe compensata col dono della profezia. La terza tradizione, tuttavia, è quella più affascinante.
Secondo questa, Tiresia fu punito con la cecità da Era, moglie di Zeus, e da quest’ultimo risarcito con il dono di vedere il futuro.
L’indovino, infatti, si era inimicato la dea schierandosi con il marito in una curiosa controversia. La disputa riguardava il sesso: per Zeus il piacere maggiore spettava alla donna, Era invece affermava il contrario. Secondo Tiresia, nel rapporto la donna proverebbe nove volte più piacere dell’uomo. Il suo parere risultava decisivo perché egli aveva vissuto anche in un corpo di donna. Da ragazzo, infatti, Tiresia aveva cambiato sesso per aver ucciso in un boschetto sacro sul monte Citerone la femmina di un serpente durante l’accoppiamento. Per sette anni, dunque, aveva sperimentato tutti i piaceri possibili per una donna. Infine, tornato al boschetto e ucciso il maschio, era ridiventato uomo. L’unico uomo a sapere cosa significhi essere donna.
La fortuna di questo personaggio, quindi, deriva da uno sguardo doppiamente eccezionale. Quello dell’indovino e quello di chi ha vissuto un’alterità apparentemente impossibile.
La prima declinazione dello sguardo è stata esplorata dagli antichi fin da Omero.
Infatti Tiresia, nell’oltretomba, rivelerà a Ulisse come tornare a Itaca. Questo episodio, raffigurato spesso in epoca moderna, ha trovato la propria realizzazione più straordinaria in un dipinto di Johann Heinrich Füssli. Straziante – come nell’Edipo re di Sofocle – o interessata – come nell’interpretazione di Orazio –, la preveggenza renderà comunque Tiresia un interlocutore cruciale per molti personaggi. Che, senza saperlo, domandandogli il proprio destino (ri)costruiranno la propria identità. Tra le più fortunate rivisitazioni di questa declinazione possiamo ricordare il racconto La morte della Pizia di Friedrich Dürrenmatt. Ma anche la canzone di Vinicio Capossela Dimmi Tiresia, inclusa nel disco Marinai, profeti e balene del 2011.
E, naturalmente, il film Edipo Re di Pier Paolo Pasolini, in cui Tiresia fu interpretato da Julian Beck.
La seconda, invece, gode di particolare fortuna in epoca moderna.
In realtà, già Dante cita il cambio di sesso nel ventesimo canto dell’Inferno. Tiresia qui è un fraudolento costretto a camminare con la testa innaturalmente rigirata indietro. La sua colpa non è tanto la profezia quanto l’aver contravvenuto all’ordine divino mutandosi in donna. Tale colpa, nel Novecento, diventerà un esercizio di conoscenza e di libertà. Anzitutto nella commedia surrealista di Guillame Apollinaire Le mammelle di Tiresia. In essa la protagonista, Thérèse, diventa un barbuto Tiresia rifiutando al marito un erede. Poi, nel romanzo Orlando di Virginia Woolf, che dipana la vicenda di Tiresia tra il regno di Elisabetta I e la contemporaneità. Infine, nel racconto di Primo Levi Tiresia, incluso ne La chiave a stella. In esso l’autore racconta una diversa metamorfosi – non da uomo a donna, ma da uomo a non-uomo – rischiata nei campi di concentramento. Metamorfosi evitata grazie al potere salvifico della poesia.
Continuare a vivere con Tiresia
Oggi Tiresia è una figura particolarmente cara alla cultura transessuale. Il suo nome, ad esempio, intitola un film di genere che nel 2003 è stato candidato alla Palma d’Oro al festival di Cannes.
Tuttavia, la vicenda di Tiresia costituisce una risorsa non soltanto per chi si trova a vivere suo malgrado in un corpo sbagliato. Essa, con la verità criptica propria del mito, ricorda le opportunità insite in ogni trasformazione. Forse il fascino inesauribile del personaggio sta proprio in questo. Cioè nel fatto che ci invita a mutare pelle coraggiosamente. Coinvolgendoci, in ogni tempo, in un vertiginoso esercizio di sguardo.
Valeria Meazza