Giulio Regeni, cinque mesi dopo. Ancora “verità per Giulio”, ancora nulla, anzi: sempre più falsità.
La procura di Roma ha aperto una terza rogatoria a seguito della nuova ipotesi sul depistaggio delle prove fornite dalle autorità egiziane: esse sostenevano che il giorno in cui Giulio Regeni è scomparso, a sequestrarlo e torturarlo fosse stata una banda criminale presente al Cairo; avevano inviato agli investigatori italiani il materiale per indagare, dagli spostamenti della banda ora per ora, il 25 gennaio, ai nomi delle stazioni dove ipoteticamente avrebbe incontrato e rapito Giulio Regeni.
Ma a seguito delle indagini della Procura, si è scoperto tramite i tabulati telefonici che il cellulare del capo di questa banda criminale, Tarek Saad Abde El Fattah Ismail, è stato registrato e agganciato per tre volte ad Awlad Saqr, a 130 chilometri da Il Cairo.
Una riflessione:
La verità non è mai minacciata alla stessa maniera. Non abbiamo mai concezione di quello che può accadere né di come ci verrà trasposto. Ora, è evidente che la censura del governo egiziano sovrasti il caso di Regeni, e quello che c’è da domandarsi è quanto l’Italia sia davvero disposta a spendere per sapere la verità, ché presumibilmente è scomoda per tutti, dal momento che evidenzia più colpevoli, non solo uno. La situazione di stallo potrebbe essere stagnante o, sperando, fluire, cercando di donare giustizia a un caso attualmente irrisolto. Ricordiamoci tutti, per quanto scriverlo possa sembrare pomposo e banale, che Giulio Regeni è una nostra realtà, ci appartiene, siamo noi. E finché non si chiarisce la questione, in questo paese manca qualcosa che possa ridare fiducia al nostro quotidiano: nessuno merita di andare all’estero per studiare e seguire i propri ideali e finire, invece, in un putrido dimenticatoio di corruzioni e falsità.
Ancora, finora: verità per Giulio.
Gea Di Bella